La resistenza nonviolenta non e' un metodo per codardi; essa e' autentica resistenza. Se uno usa questo metodo perche' ha paura o semplicemente e' privo degli strumenti di violenza, costui non e' un vero nonviolento. Questa e' la ragione per cui Gandhi spesso diceva che se la vilta' e' l'unica alternativa alla violenza, e' meglio combattere. Egli fece questa affermazione conscio del fatto che c'e' sempre un'altra alternativa: non e' necessario che un individuo o un gruppo si sottomettano a qualche ingiustizia, ne' che usino la violenza per riparare tale ingiustizia; c'e' la via della resistenza nonviolenta. Questa e' in definitiva la via dell'uomo forte. Non e' un metodo di stagnante passivita'. La frase "resistenza passiva" offre spesso la falsa impressione che questo e' una sorta di "metodo del far niente", in cui il resistente accetta il male quietamente e passivamente. Ma nessuna affermazione e' piu' lontana di questa dalla verita'. Perche', mentre il resistente nonviolento e' passivo nel senso che non e' fisicamente aggressivo verso il suo avversario, la sua mente e le sue emozioni sono sempre attive, costantemente cercando di persuadere l'avversario che egli e' nel torto. Questo metodo e' passivo fisicamente, ma fortemente attivo spiritualmente. Non e' non-resistenza passiva al male, e' invece attiva resistenza nonviolenta al male.
Un secondo fatto fondamentali che caratterizza la nonviolenza e' che essa non cerca di sconfiggere o umiliare l'avversario, ma di conquistare la sua amicizia e comprensione. Il resistente nonviolento deve spesso esprimere la sua protesta attraverso la non-cooperazione o il boicottaggio, ma egli comprende che questi non sono fini in se stessi; essi sono semplicemente mezzi per svegliare un senso di vergogna morale nell'avversario. Il fine e' la redenzione e la riconciliazione. La conseguenza della nonviolenza e' la creazione della comunita' nell'amore, mentre la conseguenza della violenza e' la tragica amarezza.
Una terza caratteristica di questo metodo e' che l'attacco e' diretto contro le forze del male piuttosto che contro le persone alle quali succede di stare facendo il male. E' il male che il resistente nonviolento cerca di sconfiggere, non le persone ingannate dal male. Se sta combattendo l'ingiustizia razziale, il resistente nonviolento ha l'intuito di capire che la tensione fondamentale non e' fra le razze. Come mi piace dire alla gente di Montgomery: "La tensione in questa citta' non e' fra la gente bianca e quella nera. La tensione e', in fondo, tra giustizia e ingiustizia, fra le forze della luce e le forze delle tenebre. E se ci sara' una vittoria, sara' una vittoria non semplicemente per cinquantamila neri, ma una vittoria per la giustizia e le forze della luce. Noi siamo fuori per sconfiggere l'ingiustizia e non uomini bianchi che eventualmente siano ingiusti".
Un quarto punto che caratterizza la resistenza nonviolenta e' una disponibilita' ad accettare la sofferenza senza vendetta, ad accettare le percosse dell'avversario senza restituirle. "Fiumi di sangue devono forse scorrere prima che conquistiamo la liberta', ma deve essere sangue nostro", diceva Gandhi ai suoi compatrioti. Il resistente nonviolento e' disposto ad accettare la violenza se necessario, ma mai ad infliggerla. Non cerca di evitare il carcere. Se andare in prigione e' necessario, egli entra in prigione "come uno sposo entra nella camera della sposa".
Qualcuno potrebbe chiedere giustamente: "Qual e' la giustificazione del resistente nonviolento per questa prova alla quale invita gli uomini, per questa applicazione politica di massa dell'antica dottrina di offrire l'altra guancia?". La risposta si trova nel riconoscimento che la sofferenza non meritata e' capace di redimere. La sofferenza (lo capisce il resistente nonviolento) ha tremende possibilita' di educare e trasformare. "Le cose di fondamentale importanza per il popolo non sono assicurate dalla sola ragione, ma devono essere acquistate con la sua sofferenza", affermava Gandhi. Egli aggiunge: "la sofferenza e' infinitamente piu' potente della legge della giungla per convertire l'avversario e aprire le sue orecchie, che altrimenti sono chiuse alla voce della ragione".
Il quinto punto riguardante la resistenza nonviolenta e' che essa evita non solo la violenza fisica esterna, ma anche la violenza interiore dello spirito. Il resistente nonviolento non solo rifiuta di sparare all'avversario, ma rifiuta anche di odiarlo. Al centro della nonviolenza sta il principio dell'amore. Il resistente nonviolento sostiene che, nella lotta per la dignita' umana, i popoli oppressi del mondo non devono soccombere alla tentazione di divenire pieni di rabbia o di indulgere a campagne di odio. Reagire nella stessa maniera non farebbe altro che intensificare l'esistenza dell'odio nell'universo. Lungo il corso della vita, qualcuno deve avere giudizio e moralita' sufficienti per troncare la catena dell'odio. Questo puo' essere fatto soltanto proiettando l'etica dell'amore al centro delle nostre vite.
Martin Luther King
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