Sembrava una immortale torre di guardia. E' invece è volato via dalla terra nella giornata di ieri, al New York Presbiterian Hospital, alla veneranda età di 94 anni, il più longevo folksinger americano, quel magico folletto che rispondeva al nome di Pete Seeger.
Nato il 3 maggio 1919,
per quasi un secolo c'è sempre stato in ogni battaglia nonviolenta in difesa degli oppressi, della cultura e dell'ambiente, questa vera e propria leggenda del folk e dell’impegno politico, che ha realizzato oltre 100
album durante la sua lunga carriera, scrivendo e cantando canzoni che tutti conoscono: da "If I had a hammer" a "Where have all the flowers gone?",
che è diventata nei decenni la canzone antimilitarista per eccellenza.
Impensabili senza di lui gli itinerari umani, artistici e politici di Bob Dylan e Joan Baez. Seger è stato attivo fino all’ultimo - a settembre l'ultimo concerto dal vivo al Farm Aid al Saratoga
Performing Arts Center di Saratoga Springs, insieme con Wille Nelson, Neil Young, John Mellencamp e Dave
Matthews.
martedì 28 gennaio 2014
giovedì 23 gennaio 2014
mercoledì 22 gennaio 2014
Le parole insidiose
Il filosofo del linguaggio Jason Stanley (Yale University) venerdì prossimo terrà una conferenza alle ore 16.30 all'Auditorium di Roma, nell'ambito del
Festival delle Scienze. Il quotidiano il manifesto ieri ne ha anticipato un estratto che di seguito pubblichiamo.
Platone aveva una scarsa considerazione della
democrazia. Riteneva che la politica fosse un’arte ed era convinto
che per comprendere l’essenza di quell’arte bisognasse avere delle
competenze. Il filosofo ha sempre sostenuto che non c’è alcuna
speranza che la moltitudine possa conseguire le abilità
richieste per governare, poiché viene facilmente ingannata dai
sofisti. Da ciò ne è conseguito, per il pensatore greco, un rifiuto
netto per la democrazia come sistema di potere praticabile. È
«probabile che le origini della tirannia si trovino proprio in un
regime democratico e in nessun altro luogo» (Platone, La Repubblica).
Un giusto sistema di governo deve insediare al potere i filosofi,
sono loro gli unici in grado di comprendere l’essenza delle cose.
Platone aveva ragione a considerare le sue opinioni incompatibili con la democrazia. L’idea che i cittadini non siano capaci di dare giudizi sull’amministrazione pubblica, che l’economia e la politica siano aree di competenza, come il campo medico, è qualcosa di profondamente antidemocratico. Cosa è necessario dunque per una democrazia al fine di evitare la minaccia che si «trasformi in tirannia»? Secondo quanto affermato da molti studiosi, la democrazia esige una cittadinanza informata, qualcuno che possa impegnarsi in dibattiti pubblici motivati su questioni politiche. È uno standard elevato.
Un’idea più «modesta» dei requisiti necessari alla democrazia è tuttavia difendibile: i cittadini devono avere una ragionevole capacità nel riconoscere quando un’azione politica viene fatta nel loro interesse. La visione di Platone è antidemocratica perché parte dal presupposto che anche questo livello sia troppo alto. La moltitudine sarà sempre ingannata dalla propaganda e dalla falsa retorica, indotta a votare contro i propri interessi.
Una profonda comprensione di come il linguaggio venga utilizzato per insidiare la democrazia stessa è, quindi, essenziale in ogni stato democratico.
Non è necessaria nessuna specializzazione in filosofia del linguaggio o in linguistica per riuscire a individuare alcuni usi della propaganda. Per esempio, è pratica comune negli Stati Uniti dare un nome fuorviante ai disegni di legge. Quello del 2001, che ha permesso alle forze governative di violare la Costituzione degli Stati Uniti, con lo spionaggio dei suoi cittadini, senza un mandato, è stato chiamato «Patriot Act», un nome che ha indebolito la possibilità di fare opposizione.
Più di recente, nel novembre 2013, la Camera dei Rappresentanti americana ha approvato la legge «Swap Regulatory Improvement Act». Il nome del disegno di legge suggeriva che quel dispositivo avrebbe dovuto migliorare la regolamentazione del mercato nel campo dei derivati, lo stesso che provocò il crollo del sistema finanziario mondiale nel 2008 e obbligò al salvataggio di grandi istituzioni finanziarie in Usa. Eppure, scritto quasi interamente dalla megabanca Citigroup, il disegno di legge permette proprio alle banche di utilizzare i depositi assicurati dal governo federale per speculare sul mercato dei derivati. Tutela in tal modo le stesse banche: saranno infatti nuovamente «salvate» se i mercati dei derivati, ancora una volta, subiranno un collasso. È questo in realtà l’unico «miglioramento normativo» che il disegno di legge propone.
La strategia è particolarmente diffusa nella politica economica, in cui le parole utilizzate per raccontare ciò che sta accadendo con gli Stati vengono prelevate dai contesti che descrivono le finanze di una famiglia normale. La parola «debito» è diversa se applicata all’Unione europea, che può stampare la propria moneta, piuttosto che ad una famiglia, che non può farlo. Ma un capofamiglia, che si identifica in colui che cerca di evitare di debito, può essere ingannato e appoggiare politiche che, di fatto, vanno contro gli interessi della sua famiglia; l’imbroglio sta nell’incapacità di comprendere che «debito» significa qualcosa di molto differente se riguarda un governo o una unione politica.
Ci sono poi forme più sottili di propaganda, per le quali un’analisi dettagliata del linguaggio e dell’uso linguistico risulta assai utile. I linguisti distinguono tra ciò che è presupposto da un enunciato e il punto focale del medesimo. Chi è in disaccordo, deve accettare prima i presupposti di quell’enunciato. Se affermo: «È Giovanni che ha risolto il problema», e qualcuno non è d’accordo, deve suggerire che un altro abbia agito. È difficile dire «no» e voler con ciò asserire che il problema non sia stato affatto risolto. L’espressione «È Giovanni che ha risolto il problema» fa presumere che qualcuno lo abbia comunque districato.
Allo stesso modo: «È stato il presidente Obama a causare il disastro», ci dice qualcosa circa il suo tentativo di ampliare l’accesso alle cure sanitarie, ma ipotizza che la legge sanitaria sia catastrofica, affermando però che la causa è proprio il presidente Obama (piuttosto che le assicurazioni sanitarie). L’attenzione al dibattito in linguistica circa il «presupposto» è essenziale per comprendere a fondo cosa stia accadendo.
Un altro tipo di esempio. Lo slogan di canale Fox descrive l’emittente come «imparziale ed equilibrata». Ma è abbastanza ovvio, anche al suo stesso pubblico, che il canale Fox News non sia né l’uno né l’altro. La ragione per cui sfoggia questo slogan è quello di invitare a pensare che non esiste qualcosa che sia giusto ed equilibrato — che non vi è alcuna possibilità di dare notizie obiettive, esiste solo la propaganda. Lo scopo è quello di insinuare che tutti i media siano generalmente insinceri. Gli effetti di un tale pregiudizio sono evidenti nelle società in cui i media statali usano il linguaggio soltanto come un meccanismo di controllo, invece che come fonte di informazione. I cittadini che crescono in uno stato in cui le autorità distribuiscono esclusivamente propaganda non sviluppano alcuna domestichezza con i meccanismi della fiducia.
Quindi, anche se i membri di quella società hanno accesso a notizie attendibili, magari via Internet, non si fidano. Sono addestrati al sospetto. Senza fiducia, non vi è alcun modo, per qualsiasi speaker, di essere preso sul serio nel pubblico dominio. Il risultato di questo atteggiamento? È una società in cui le distinzioni tra politici e clowns svaniscono.
Uno Stato democratico è quello in cui l’ingresso delle persone comuni nelle scelte politiche le rende legittime. Ma la diffusione e l’accettazione della propaganda da parte dei politici e dei media mina la pregnanza della loro partecipazione. Se l’opinione pubblica è stata disorientata dalla propaganda costruita da chi detiene il potere, l’entrata in politica dei cittadini è irrilevante e lo stato non democratico. Uno Stato democratico necessita una cittadinanza sempre vigile, in grado di monitorare e punire i suoi politici e i media quando piegano il linguaggio ad un meccanismo di controllo, dimenticando che è invece una fonte di informazione.
Platone aveva ragione a considerare le sue opinioni incompatibili con la democrazia. L’idea che i cittadini non siano capaci di dare giudizi sull’amministrazione pubblica, che l’economia e la politica siano aree di competenza, come il campo medico, è qualcosa di profondamente antidemocratico. Cosa è necessario dunque per una democrazia al fine di evitare la minaccia che si «trasformi in tirannia»? Secondo quanto affermato da molti studiosi, la democrazia esige una cittadinanza informata, qualcuno che possa impegnarsi in dibattiti pubblici motivati su questioni politiche. È uno standard elevato.
Un’idea più «modesta» dei requisiti necessari alla democrazia è tuttavia difendibile: i cittadini devono avere una ragionevole capacità nel riconoscere quando un’azione politica viene fatta nel loro interesse. La visione di Platone è antidemocratica perché parte dal presupposto che anche questo livello sia troppo alto. La moltitudine sarà sempre ingannata dalla propaganda e dalla falsa retorica, indotta a votare contro i propri interessi.
Una profonda comprensione di come il linguaggio venga utilizzato per insidiare la democrazia stessa è, quindi, essenziale in ogni stato democratico.
Non è necessaria nessuna specializzazione in filosofia del linguaggio o in linguistica per riuscire a individuare alcuni usi della propaganda. Per esempio, è pratica comune negli Stati Uniti dare un nome fuorviante ai disegni di legge. Quello del 2001, che ha permesso alle forze governative di violare la Costituzione degli Stati Uniti, con lo spionaggio dei suoi cittadini, senza un mandato, è stato chiamato «Patriot Act», un nome che ha indebolito la possibilità di fare opposizione.
Più di recente, nel novembre 2013, la Camera dei Rappresentanti americana ha approvato la legge «Swap Regulatory Improvement Act». Il nome del disegno di legge suggeriva che quel dispositivo avrebbe dovuto migliorare la regolamentazione del mercato nel campo dei derivati, lo stesso che provocò il crollo del sistema finanziario mondiale nel 2008 e obbligò al salvataggio di grandi istituzioni finanziarie in Usa. Eppure, scritto quasi interamente dalla megabanca Citigroup, il disegno di legge permette proprio alle banche di utilizzare i depositi assicurati dal governo federale per speculare sul mercato dei derivati. Tutela in tal modo le stesse banche: saranno infatti nuovamente «salvate» se i mercati dei derivati, ancora una volta, subiranno un collasso. È questo in realtà l’unico «miglioramento normativo» che il disegno di legge propone.
La strategia è particolarmente diffusa nella politica economica, in cui le parole utilizzate per raccontare ciò che sta accadendo con gli Stati vengono prelevate dai contesti che descrivono le finanze di una famiglia normale. La parola «debito» è diversa se applicata all’Unione europea, che può stampare la propria moneta, piuttosto che ad una famiglia, che non può farlo. Ma un capofamiglia, che si identifica in colui che cerca di evitare di debito, può essere ingannato e appoggiare politiche che, di fatto, vanno contro gli interessi della sua famiglia; l’imbroglio sta nell’incapacità di comprendere che «debito» significa qualcosa di molto differente se riguarda un governo o una unione politica.
Ci sono poi forme più sottili di propaganda, per le quali un’analisi dettagliata del linguaggio e dell’uso linguistico risulta assai utile. I linguisti distinguono tra ciò che è presupposto da un enunciato e il punto focale del medesimo. Chi è in disaccordo, deve accettare prima i presupposti di quell’enunciato. Se affermo: «È Giovanni che ha risolto il problema», e qualcuno non è d’accordo, deve suggerire che un altro abbia agito. È difficile dire «no» e voler con ciò asserire che il problema non sia stato affatto risolto. L’espressione «È Giovanni che ha risolto il problema» fa presumere che qualcuno lo abbia comunque districato.
Allo stesso modo: «È stato il presidente Obama a causare il disastro», ci dice qualcosa circa il suo tentativo di ampliare l’accesso alle cure sanitarie, ma ipotizza che la legge sanitaria sia catastrofica, affermando però che la causa è proprio il presidente Obama (piuttosto che le assicurazioni sanitarie). L’attenzione al dibattito in linguistica circa il «presupposto» è essenziale per comprendere a fondo cosa stia accadendo.
Un altro tipo di esempio. Lo slogan di canale Fox descrive l’emittente come «imparziale ed equilibrata». Ma è abbastanza ovvio, anche al suo stesso pubblico, che il canale Fox News non sia né l’uno né l’altro. La ragione per cui sfoggia questo slogan è quello di invitare a pensare che non esiste qualcosa che sia giusto ed equilibrato — che non vi è alcuna possibilità di dare notizie obiettive, esiste solo la propaganda. Lo scopo è quello di insinuare che tutti i media siano generalmente insinceri. Gli effetti di un tale pregiudizio sono evidenti nelle società in cui i media statali usano il linguaggio soltanto come un meccanismo di controllo, invece che come fonte di informazione. I cittadini che crescono in uno stato in cui le autorità distribuiscono esclusivamente propaganda non sviluppano alcuna domestichezza con i meccanismi della fiducia.
Quindi, anche se i membri di quella società hanno accesso a notizie attendibili, magari via Internet, non si fidano. Sono addestrati al sospetto. Senza fiducia, non vi è alcun modo, per qualsiasi speaker, di essere preso sul serio nel pubblico dominio. Il risultato di questo atteggiamento? È una società in cui le distinzioni tra politici e clowns svaniscono.
Uno Stato democratico è quello in cui l’ingresso delle persone comuni nelle scelte politiche le rende legittime. Ma la diffusione e l’accettazione della propaganda da parte dei politici e dei media mina la pregnanza della loro partecipazione. Se l’opinione pubblica è stata disorientata dalla propaganda costruita da chi detiene il potere, l’entrata in politica dei cittadini è irrilevante e lo stato non democratico. Uno Stato democratico necessita una cittadinanza sempre vigile, in grado di monitorare e punire i suoi politici e i media quando piegano il linguaggio ad un meccanismo di controllo, dimenticando che è invece una fonte di informazione.
martedì 21 gennaio 2014
Un interprete della civiltà
Claudio Abbado si è spento nella sua casa di Bologna, dopo una lunga malattia che, alla fine, ha avuto ragione della sua fibra, ormai indebolita. Fino all’ultimo ha coltivato la speranza di dar vita a nuovi progetti, con la ferma convinzione che sarebbe riuscito ancora una volta a vincere la stanchezza e a salire sul podio. Esprimere la bellezza attraverso il dono della musica è sempre stata, per Abbado, una questione di civiltà, prima ancora che l’orizzonte naturale della sua esperienza di vita.
L’amore per la musica rappresentava infatti il perno dell’esistenza di Abbado, nato a Milano nel 1933 e cresciuto in una casa che ruotava in maniera virtuosa attorno all’attività del padre Michelangelo, violinista e professore al Conservatorio di Milano, e allo studio musicale dei figli, tutti destinati a lasciare un’impronta nella vita musicale, tranne il minore, Gabriele, divenuto architetto. Malgrado i disastri della guerra e le atrocità del regime, i genitori di Abbado riuscirono in maniera ammirevole a preservare l’humus artistico di famiglia e a instillare nel giovane Claudio la disciplina dello studio e il rispetto per il lavoro. Molto presto, quel ragazzo, allievo per la composizione di Giorgio Federico Ghedini e per la direzione d’orchestra di Antonino Votto al Conservatorio di Milano, cominciò a mostrarsi graziato da un carisma speciale. Subito gli si aprì la strada per Vienna, dove potè sviluppare il suo talento a contatto con artisti come Hans Swarowsky e Friedrich Gulda, in grado di trasmettere in maniera viva e diretta l’esperienza della grande tradizione musicale mitteleuropea.
Nel 1958, con sua stessa sorpresa, Abbado vinse il Concorso Koussevitsky a Tanglewood, in Massachusetts, e le porte per una carriera internazionale gli vennero dunque spalancate. La grande svolta tuttavia avvenne nel 1968, con la nomina a direttore musicale del Teatro alla Scala. L’arrivo di un artista molto giovane, insediato a soli trentacinque anni alla guida di un’istituzione così rappresentativa, rispecchiava il profondo terremoto che aveva attraversato la società italiana negli anni Sessanta. Era una rivoluzione culturale di portata storica, che avrebbe segnato l’inizio di una fase completamente nuova nel rapporto tra il Teatro e la città. Le premesse ideali della nomina di Abbado trovarono un ulteriore sviluppo quando, nel 1972, gli venne affiancato come sovrintendente Paolo Grassi, nomina che saldò le diverse anime della vita artistica milanese. A quel punto il palcoscenico della Scala si apriva finalmente alla grande cultura europea, portando a Milano titoli e autori conosciuti in precedenza soltanto da una ristretta cerchia di persone e rinnovando allo stesso tempo il repertorio tradizionale attraverso una nuova sintassi teatrale. Emblematico il lavoro su opere emarginate di Verdi come Macbeth, Don Carlo e soprattutto Simon Boccanegra, un «tavolo zoppo» che Abbado ha saputo riportare in vita per merito anche dello spettacolo memorabile di Giorgio Strehler, con l’immensa vela sullo sfondo del Palazzo Ducale a evocare la metafora dell’infinita avventura della vita.
Grazie a Abbado, un’intera generazione scopriva l’esistenza di mondi culturali ancora intatti, capaci di parlare al presente con la stessa forza espressiva del loro tempo. Il Wozzeck diretto alla Scala, nel 1971, in un vecchio spettacolo di Svoboda e rifatto nel 1977 con un nuovo allestimento di Ronconi e Gae Aulenti, aveva il significato, per il maestro, di un risarcimento per l’accoglienza indecorosa e volgare riservata dal pubblico milanese al capolavoro di Alban Berg nel 1952. Ma era solo l’inizio della riscoperta della Vienna modern di inizio Novecento, che Abbado sentiva così profondamente nelle sue fibre. Negli anni Settanta e Ottanta face conoscere a Milano le Sinfonie di Mahler e la grande musica del Novecento, promuovendo l’associazione dei musicisti della Scala in Orchestra Filarmonica autonoma, sulla falsariga del modello dei Wiener Philharmoniker, in maniera da sviluppare l’interesse dei professori per il repertorio sinfonico.
Abbado ha sempre amato lavorare con i grandi artisti. Non solo interpreti del calibro di Rudolf Serkin, Maurizio Pollini o Martha Argerich, ma anche artisti provenienti da esperienze di segno diverso. Il sodalizio con un architetto come Renzo Piano, un attore come Roberto Benigni o un regista cinematografico come Andrej Tarkovskij rappresentano solo una piccola parte dei numerosi esempi dell’interesse di Abbado per le idee che possono aiutare a migliorare l’offerta musicale. La grandezza di un artista si misura anche nella capacità di mettere il proprio ego al servizio della musica: Abbado sapeva pensare in grande, ma soprattutto sapeva ascoltare. La sua lezione di onestà artistica si sviluppò in maniera davvero eclatante quando venne eletto dai Berliner Philharmoniker direttore musicale, nel 1989, giusto l’anno della caduta del Muro. Berlino era una città che respirava all’improvviso, inebriata da una libertà culturale impensabile prima, e Abbado trovò il modo di sfruttare questa energia intellettuale spingendo l’orchestra di Karajan verso una metamorfosi artistica imprevedibile e vitale.
Per un’intera generazione di giovani Claudio Abbado è stato molto più che un grande artista e un mirabile direttore d’orchestra: è stato l’eroe di un mondo diverso e più giusto, nel quale l’arte e la cultura si suppongono al servizio dei valori più alti e non piegata a ornare aberrazioni ideologiche o a nascondere il carattere violento dei rapporti sociali. La grande campana di Andrej Rublev, che campeggiava nel Boris Godunov allestito a Londra con Tarkovskij nel 1983 e che Abbado ha poi voluto al centro della scena nel nuovo allestimento di Herbert Wernicke a Salisburgo nel 1994, rappresenta l’allegoria più autentica di questo rapporto indissolubile tra arte e vita. Ora che la campana di Rublev ha suonato anche per Abbado, tutti noi ci ritroviamo più soli e smarriti a vagare in un mondo che ci appare più ostile.
Oreste Bossini, il manifesto, 20 gennaio 2014
lunedì 20 gennaio 2014
Nasce il Progetto "Dona, cerca, trova"
A Calcinato l'ufficio servizi sociali propone il Progetto "Dona, cerca, trova", concepito come "un piccolo spazio di libero scambio di indumenti, scarpe, accessori che per alcuni potrebbero essere molto importanti e necessari, ma anche un luogo di scambio di saperi, competenze, conoscenze da mettere a disposizione di tutti".
Chi ha abiti e materiali affini in buono stato che vuole donare ad altri può portarli all'asilo nido comunale "Magica Bula" in via Stazione a Ponte San Marco. Lo spazio è aperto ogni martedì dalle ore 13.30 alle 14.30. Per informazioni ci si può rivolgere allo 030/9989221 oppure si può scrivere una mail a servizi.sociali@comune.calcinato.bs.it.
Chi ha abiti e materiali affini in buono stato che vuole donare ad altri può portarli all'asilo nido comunale "Magica Bula" in via Stazione a Ponte San Marco. Lo spazio è aperto ogni martedì dalle ore 13.30 alle 14.30. Per informazioni ci si può rivolgere allo 030/9989221 oppure si può scrivere una mail a servizi.sociali@comune.calcinato.bs.it.
mercoledì 15 gennaio 2014
Porta a porta: tre incontri di verifica
Il
controverso avvio un anno fa del nuovo sistema di raccolta
differenziata porta a porta dei rifiuti solidi urbani a Calcinato
viene sottoposto in questi giorni a tre momenti di verifica pubblica.
Stasera all'oratorio di Calcinatello chi fosse interessato può
offrire suggerimenti, migliorie e critiche agli amministratori
comunali in merito. Domani
sarà possibile farlo all'oratorio
di Ponte San Marco e lunedì 20 gennaio all'auditorim Don Bertini di
Calcinato.
L'appuntamento è sempre alle ore 20.30. Per
informazioni ulteriori sono a disposizione l'Ufficio tecnico allo
030/9989225 o l'Azienda servizi comunali allo 030/9969502.
martedì 14 gennaio 2014
Uno spettacolo sull'acqua come bene comune
Domani sera alle ore 20.30 al Cinema Gloria di via San Pietro 3 a Montichiari
Itineraria Teatro, in collaborazione con l'associazione Vocabolari di
Pace, presenta lo spettacolo "H2oro: l’acqua, un diritto
dell’umanità”, su testo di Ercole Ongaro e Fabrizio De Giovanni,
per la regia di Emiliano Viscardi e con musiche di Augusto Ripari. L'ingresso è gratuito.
Concepito
come un'opera multimediale per sostenere il diritto all'acqua per
tutti, per riflettere sui paradossi e gli sprechi del "Bel
Paese", per passare dalla presa di coscienza a nuovi
comportamenti, questo spettacolo teatrale attraverso una
documentazione rigorosa affronta i temi della privatizzazione delle
risorse idriche, del ruolo delle multinazionali nella gestione degli
acquedotti, del Contratto mondiale dell'acqua, delle guerre
dell'acqua e delle dighe nei paesi in via di sviluppo, degli sprechi
e dei paradossi nella gestione dell'acqua in Italia, della necessità
di contrastare e invertire l'indirizzo di mercificazione e
privatizzazione in corso, nonostante l'inequivocabile esito della
consultazione referendaria in materia.
lunedì 13 gennaio 2014
Assegnati i fondi per la cooperazione internazionale
A fine anno la Giunta comunale di Calcinato ha assegnato i fondi
destinati agli organismi di volontariato che si occupano di
cooperazione internazionale. 6mila gli euro stanziati: mille e 800euro
ciascuno all´Aps di Antonio Corsini per lo sviluppo economico
dell´Africa, al Gruppo dei Prati, che opera in Guinea Bissau, e agli
Amici delle missioni orsoline in Brasile; 300 al Gruppo di impegno
missionario di Esenta di Lonato e 300 all´associazione Cesar attiva
in Sudan.
sabato 4 gennaio 2014
Gianni Danieli, un cristiano di base
In
paese lo conoscemmo sorpresi e attenti a fine anni '80, quando diffuse una "lettera
ai comunisti" mica male per i tempi. Poi lo frequentammo quando
dal nulla creò il Comitato per la pace Giorgio La Pira. Distanti ma
incuriositi, gli demmo persino una mano per le sue iniziative culturali.
Fu
dietro suo invito che padre Alex Zanotelli tenne proprio a Calcinato
la su ultima conferenza prima di partire per l'esilio keniota
(volontario e profetico insieme) dopo la fatwa lanciatagli da Spadolini (allora
ministro dellla difesa) per aver denunciato i traffici di armi e non
solo.
Un
po' bene lo conoscemmo proprio dopo quell'incontro, a casa sua, dove
ospitò il missionario comboniano in una convivialità d'altri tempi.
Poi,
solo poi, vennero le comuni battaglie in consiglio comunale.
Ora
Gianni Danieli ci racconta la sua formazione, e anche molto di altro,
nel volume "Una chiesa... tante chiesuole" (Gam edizioni,
382 pagine, 15 euro).
73
anni, esponente di rilievo del cristianesimo di base di casa nostra, lui
che aveva cominciato nella gioventù di Azione Cattolica nel
quartiere di Bottonaga, passa poi alla fondazione del Gruppo di
esperienze religiose, sodalizio dal quale nascerà a Bedizzole la
Comunità Casa Emmaus, finanziata in gran parte da padre David Maria
Turoldo e aperta dal 1972 al 1983.
Danieli
ha condensato la memoria di quel singolare fenomeno ecclesiale,
corredando il suo libro di una considerevole mole di documentazione
inedita.
Il
lungo excursus, che miscela autobiografia e saggistica, parte con il
racconto della formazione spirituale fra campagna e città di un
giovane cristiano (Bottonaga era nel dopoguerra un borgo di remota
periferia) che ha un occhio costante all'attualità sociale e si
interroga sui fermenti conciliari, prendendo contatto con il meglio
del cattolicesimo progressista italiano, dai padri Giovanni Vannucci,
Ernesto Balducci e David Maria Turoldo al bresciano don Renato
Piccini.
"Ho
insistito sulla parte teologica che riguarda la scelta della
comunità" sottolinea "perché a determinare l'avvio
dell'esperienza di Bedizzole fu, tra gli altri, l'incontro con
Vannucci nel 1969 all'eremo chiantigiano di San Pietro alle Stinche
(Si). 'Il futuro della chiesa è in queste piccole comunità che si
ritrovano intorno alla Parola e la testimoniano' mi disse e per me fu
come un mandato".
L'illustrazione
analitica delle diverse iniziative svolte dalla Comunità Casa Emmaus
è costantemente accompagnata dall'esame di ciò che significa
comunità nei Vangeli, negli Atti degli Apostoli nella Lettera a
Diogneto. Questa parte culmina con il convegno del 14 e 15 giugno
1974, quando si confrontarono a Bedizzole i membri dei gruppi
ecclesiali spontanei della Badia, di Torricella, di Mompiano, di
Palazzolo, di san Giorgio, della Santà Trinità, di Santo Spirito,
della Mandolossa e delle Acli di Sant'Eufemia.
Segue
poi una serie di schede sugli ideali e le pratiche di associazioni
assai distanti dai valori di Danieli, dall'Opus Dei ai Legionari di
Cristo, da Comunione e liberazione ai neocatecumenali di Rinnovamento
nello Spirito.
L'opera
è infine completata dalla pubblicazione di numerosi documenti delle
comunità di base bresciane, fra i quali si segnala la trascrizione
di due conferenze del teologo Giulio Girardi e del saggista Raniero
La Valle.
giovedì 2 gennaio 2014
Depositata la variante al Pgt
Approvata
a fine anno dal consiglio comunale, la variante al Piano di Governo
del Territorio, con gli allegati e gli elaborati costituenti il
provvedimento concernente il Piano delle Regole e il Piano dei
Servizi, è depositata in libera visione al pubblico fino a sabato 1°
febbraio.
La
si può consultare nella segreteria comunale o all’ufficio tecnico
del Municipio, in Piazza Aldo Moro 1 ed è pure pubblicata sul sito
web www.comune.calcinato.bs.it.
Trascorso
tale periodo, nei trenta giorni successivi, quindi entro lunedì 3
marzo, chiunque potrà presentare osservazioni in triplice copia e in
carta libera, eventualmente corredate da grafici e da altra
documentazione ritenuta utile. Le osservazioni dovranno essere
presentate all’Ufficio Protocollo del Comune.
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