Dopo
una breve malattia ieri è morto a Rovato lo scrittore Alessandro
Spina, che da anni viveva nel suo buen retiro in Franciacorta,
in una tenuta secentesca nella campagna di Padergnone.
Nato
a Bengasi nel 1927, Alessandro Spina è stato per decenni lo
pseudonimo di
derivazione verghiana dietro
il quale si è celato Basili Khouzam, un facoltoso imprenditore
milanese che in Libia aveva trascorso
l'nfanzia, dirigendovi poi l'azienda di famiglia dal 1953 al 1979.
Di
famiglia cristiano maronita, laureato in lettere con Mario
Marcazzan, è stato un autore prolifico e un fine intellettuale,
intrattenendo rapporti con figure di primo piano della cultura
italiana: Giorgio Bassani, Cristina Campo, Pietro Citati, Elémire
Zolla, Vittorio Sereni, Alfredo Cattabiani e Claudio Magris.
Dopo
il lungo soggiorno africano, era tornato in Italia dove viveva
appartato dal mondo letterario. Schivo e riservato, Spina si era
dedicato da sempre alla lettura, alla scrittura, al culto della
musica (per anni si vantò di avere come unico lettore il compositore
Camillo Togni) e dell'arte, coltivando pochi sceltissimi rapporti
d’amicizia.
I
numerosi romanzi (pubblicati via via da Mondadori, Garzanti, Rusconi,
Scheiwiller, Ares, Morcelliana) costituiscono un ciclo narrativo
variegato ma unitario, che ripercorre con diversi spunti di estrema
attualità la complessa e troppo spesso rimossa vicenda coloniale
italiana: “Il giovane maronita”, “Le nozze di Omar”, “Il
visitatore notturno”, “La commedia mentale”, “Le notti del
Cairo”, “Ingresso a Babele”, “La riva della vita minore”.
Pregevoli pure le “Storie di ufficiali”, dedicate al delicato
tema dell'onore, e l’agile volumetto “Tempo e corruzione”.
Saggista
e orientalista, aveva curato anche diverse traduzioni: la “Storia
della città di rame”, le “Cinque novelle arabe”, la
“Catastasi” di Sinesio di Cirene. Nel 2007 aveva vinto il Premio
Bagutta con la monumentale opera “I confini dell’ombra” (ben
1268 pagine pubblicate da Morcelliana), nella quale aveva raccolto
ben undici tomi della sua sterminata produzione. Pochi mesi dopo era
di nuovo in libreria con i tre romanzi brevi raccolti in “Altre
sponde” (Morcelliana, 2008).
Ma
tutto era cominciato dall’apprezzamento che oltre cinquant’anni
fa Cristina Campo ebbe modo di riservare alla sua novella “Giugno
‘40”, giudicandola “il miglior racconto scritto in lingua
italiana”. “Lo mostrò a tutta Roma e questo cambiò la mia vita”
ricordava Spina. Di quella vicenda, della figura della scrittrice
toscana e della loro amicizia epistolare sono testimonianza due
volumi, editi sempre da Morcelliana: “Conversazioni in Piazza
Sant’Anselmo e altri scritti” (2002) e il prezioso “Carteggio”
(2007).
Ai
tempi dell'ultima guerra italiana in Libia era stato inseguito dalla
stampa nazionale per un commento autorevole su quella tragedia e, più
in generale, sulle “primavere arabe” nei paesi del Nord Africa,
che conosceva come pochi in Italia. “Mi occupo di storia, non di
cronaca” si schermiva laconico, parco di informazioni anche sulle
propria attività. “A questa età non c'è più tempo per orizzonti
lunghi, non è più possibile incominciare alcunché”.
Eppure
era stato al centro di una fitta rete di iniziative e attenzioni: nel
2009 la comunità di Bose
gli aveva dedicato una singolare giornata di studi (gli atti sono
stati pubblicati da “Humanitas”), nel 2011 “Paragone” lo
aveva celebrato con un numero monografico e il quotidiano “Avvenire”
gli aveva affidato dall'autunno
del 2010 a quello del 2011
la rubrica settimanale ”realtà e finzione”, i cui articoli sono
appena confluiti nel volume “Elogio
dell'inattuale” (Morcelliana, 2013),
l'ultimo guizzo del suo acume.
Luogo
di culto frequentato con passione da un crescente numero di lettori
innamorati della mente di uno dei più incisivi (almeno sub
specie aeternitatis)
quanto appartati maître
à penser
dell'Italia contemporanea, quei
folgoranti pezzi d'autore hanno fatto scoprire o riscoprire,
attraverso la sua penna attenta e cristallina, una nutrita serie di
talenti misconosciuti del panorama culturale internazionale. Sotto la
cifra stilistica della inattualità richiamata dal titolo, ad
attestare una fisiologica estraneità allo stolto chiacchiericcio
delle cronache mondane, le prose spiniane meditano e inducono a
meditare sul destino nostro compagno, aiutando il lettore a
disambiguarne gli enigmi. Lo scrittore vi ha disegnato l'affascinante
cartografia dei suoi incontri, il dialogo incessante con i classici
di una personalissima biblioteca ideale, la riflessione sul peso
reale o fittizio dei contemporanei.
Fra
affinità elettive e divergenze spiegate, questo ultimo libro, come
molti degli altri in precedenza, ha proposto una letteratura
concepita come esperienza di vita, delineando paesaggi narrativi e
poetici di un nitore desueto.
Tutto
quello che Alessandro Spina raccontava era pervaso di un’aura di
autorevolezza, consegnato alla storia con un'allure
tenacemente aderente alla inattualità come ineludibile necessità
per cogliere le persistenze nell’inesorabile scorrere del tempo.
“Delle
guerre coloniali non importava a nessuno – aveva detto al
Festivaletteratura 2011 di Mantova, stigmatizzando “le scemenze
scritte in Italia sulla guerra di Libia, che ha distrutto un terzo
della popolazione”.
“Il
senso di colpa non è al centro del nostro sistema mentale”
osservava desolato. “Ci sono tanti Istituti per la storia della
Resistenza ma, se almeno uno di essi venisse dedicato allo studio
della resistenza libica, sarebbe un atto nobile e importante, un
omaggio ai veri valori della Resistenza italiana”.
Da
tempo non pensava più al futuro, Spina. “Non ho alcun progetto”
ripeteva con la sua voce da crooner. “J'ai veçu, come diceva quel
personaggio di un romanzo francese di ritorno da Parigi”.
flavio
marcolini