martedì 29 marzo 2011

IL 5 PER MILLE ALLA PACE




Mentre torna a soffiare impetuoso e spietato il vento della guerra, dalla storica sede pacifista di via Milano 65 a Brescia giunge un appello ai contribuenti perché, in occasione dell’annuale compilazione denuncia dei redditi, versino il 5 per mille al Movimento Nonviolento per finanziarne le attività e iniziative contro i conflitti che insanguinao il pianeta.
Presente in città da 40 anni, l’associazione di via Milano utilizza i fondi ricevuti anche per “organizzare quotidianamente attività e iniziative per la pace, il disarmo, le obiezioni di coscienza, la opposizione contro gli insediamenti militari e le industrie belliche, l’educazione alla mondialità, la difesa della salute dell’ambiente e dei cittadini”. Gestaita da volontari, la sede dispone di una biblioteca con 3.500 volumi in consultazione e in prestito, una quarantina di riviste in abbonamento e circa 80.000 documenti (volantini, opuscoli, dossier, articoli di giornale, lettere, studi critici e saggi brevi), ponendosi come punto di aggregazione e animazione sociale e culturale sul territorio provinciale. Gli interessati possono trascrivere il codice fiscale del Movimento Nonviolento, 93100500235, nell’apposita casella della dichiarazione dei redditi. Per informazioni si può scrivere una mail a
movimentononviolento.bs@alice.it o telefonare ai n. 339.6243617 o 328.9683409.

QUANDO IL MIGLIORE SE NE VA


di Flavio Marcolini
Il capogruppo della lista di centrosinistra Calcinato Migliore, William Spassini, ha rassegnato le dimissioni dalla formazione che ha guidato per venti mesi. Il gesto – come ha spiegato in una nota – è avvenuto “in conformità con la volontà della maggioranza della lista, che ritiene esistano conflitti insanabili nel proseguimento della mia collaborazione come consigliere e capogruppo consiliare”.
“Proseguirò il lavoro di consigliere – assicura - nel rispetto del mandato affidatomi dagli elettori calcinatesi”. Nei prossimi giorni probabilmente formalizzerà la costituzione di un gruppo autonomo.
50 anni, sposato con tre figli, Spassini lavora come geriatra primario alla Clinica Anni Azzurri di Rezzato. Attivo da sempre nel volontariato sociale, ha un passato da cantautore e animatore nei gruppi parrocchiali (sue le prime edizioni del volume diocesano "Canta la gioia"). Già consigliere comunale dal 1992 al 1994 e membro a più riprese delle commissioni assessorili, è direttore del Colica (Coro liturgico calcinatellese) e medico dell'Avis locale. Alle elezioni del 2009 fu tra i candidati più votati nelle file di Calcinato Migliore, riscuotendo in seguito ampi apprezzamenti anche nelle file della maggioranza per lo spirito dialogante e costruttivo del suo operato.

lunedì 28 marzo 2011

LA MIA SCONFITTA, LA NOSTRA SALVEZZA




di Farid Adly, da Il Manifesto, 24.3.2011
Vivo questi momenti con angoscia. Sono convinto antimilitarista, pacifista e nonviolento.

Vivo la guerra libica come una sconfitta personale. La mia generazione di libici è fallita. Non abbiamo fatto abbastanza per sconfiggere politicamente la dittatura gheddafiana. L’opposizione era frantumata in mille rivoli, dai monarchici fino ai socialisti, ma tutti regolarmente all’estero e uno contro l’altro. Perché all’interno del paese c’erano soltanto Abu Selim (eccidio di 1200 detenuti politici, nelle loro celle, il 26 Giugno 1996, del quale ha parlato nel 2009 solo il manifesto) oppure le esecuzioni in pubblico negli stadi. Non abbiamo avuto sufficiente voce per farci sentire e, forse, anche il mondo non ci aveva dato ascolto, perché gli orecchi dei grandi erano tappate da cerotti di petrolio e dalla carta moneta delle commesse di armamenti.

Perché considero giusta la richiesta della No Fly Zone, da parte del Consiglio Nazionale Transitorio Libico (Cntl)? Perché era l’unica strada per la salvezza dei giovani libici che hanno dato avvio a questa rivoluzione, a questa resistenza. Il Cntl non ha chiesto – e lo ha ribadito anche nella giornata di lunedì 21 – bombardamenti sulla residenza di Gheddafi a Bab Azizie per ucciderlo. «Destituire Gheddafi è un compito nostro e lo faremo mobilitando il nostro popolo in questa resistenza formidabile che unisce tutto il paese», ha detto l’avvocato Abdel Hafeez Ghouga. È un diritto sacrosanto alla sopravvivenza!

È, parimenti, diritto dei miei compagni pacifisti italiani dichiararsi contrari all’intervento delle potenze occidentali, ma non mettano in campo ragioni che riguardano la nostra ricchezza petrolifera o il concetto di sovranità nazionale. Non ho dubbi che Stati uniti, Francia e Gran Bretagna non sono lì a difendere il mio popolo. Non ci sono guerre umanitarie, come ha scritto giustamente Tommaso Di Francesco. Lo so che sono lì per il petrolio e per le commesse future. La ridicola polemica tra Francia e Italia sul commando della missione dimostra ampiamente questo occhio rivolto al petrolio e rischia di allungare la vita al dittatore. Vi ricordo però che il petrolio ce l’avevano sotto il loro controllo anche prima. Non hanno organizzato loro la rivolta in Libia. Per loro sarebbe stato meglio se fosse rimasto tutto come prima, quando ballavano coi lupi.

Un discorso a parte per il miliardario ridens. Ha fatto ridere i polli e ha trascinato l’Italia in una situazione ridicola. Un giorno diceva una cosa e l’altro sostieneva il contrario. Ha superato se stesso quando la mattina ha detto che Gheddafi è tornato in sella e poi la sera, dopo che ha capito le intenzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha cambiato idea per dire: «Gheddafi non è più credibile».

A Torino poi, dopo l’avvio della campagna militare alla quale partecipa l’Italia, ha cambiato ancora bandiera, dando credito al colonnello.I compagni dell’Arci e della Tavola della Pace hanno ragione a chiedere che l’Italia non abbia un ruolo attivo nei bombardamenti. C’è una doppia ragione che consiglia ciò. La posizione altalenante di Berlusconi e Frattini è un dato che consiglia prudenza, ma la ragione più forte è un’altra: l’Italia è stata una potenza coloniale in Libia, quest’anno ricorre il centenario dell’aggressione italiana al suolo libico (avete visto qualche cerimonia per ricordarlo?) e questo trascorso militare (i primi bombardamenti aerei in assoluto nella storia militare sono avvenuti a Kofra da parte di un aviatore italiano), consiglia di astenersi completamente dal bombardare il territorio libico da parte dell’aviazione militare italiana.

L’Italia, se intende rimettere i rapporti con il popolo libico sul binario giusto, dedichi qualche piazza a Omar Mukhtar, eroe della resistenza libica, proposta che avevo avanzato proprio sulle pagine del Manifesto, oltre 10 anni fa, ma caduta nel dimenticatoio anche da parte del compagno(?) Veltroni, allora sindaco di Roma.
Se il governo italiano ha fatto una brutta figura, peggio hanno fatto certi opinionisti, attaccati a concetti ideologici, dimenticando la resistenza italiana contro il regime fascista e contro la repubblichina di Salò.
Ecco, Gheddafi per noi libici rappresenta quello e i nostri ragazzi sono i nuovo partigiani. In questi momenti, i democratici di Tripoli vivono lo stesso sentimento di quei partigiani di Milano che lottavano per la liberazione in una città sotto le bombe degli alleati.

Noi vogliamo la libertà e mettere finire alla tirannia, scrivere una costituzione e scegliere, in elezioni libere, chi governerà la Libia. Questo processo è guidato da magistrati, avocati, medici, ingegneri e cosa sento e leggo? Che la Libia è abitata da beduini. Si sono dimenticati che la Libia nel 1804 ha sfidato e sconfitto gli Stati Uniti, freschi freschi di indipendenza (Professor Giuseppe Restifo, «Quando gli americani scelsero la Libia come nemico» Armando Siciliano Editore).

Non so se questo dice qualcosa a certi «signoroni» opinionisti italiani. Alcuni arrivano a ripetere cliché retaggio del colonialismo culturale, dimostrando ignoranza della realtà libica.
Noi oggi siamo protagonisti e vogliamo chiudere con il dittatore. Ben vengano tutte le proposte di mediazione internazionale, come quella del presidente della Bolivia Evo Morales, per arrivare, per via pacifica, alla cacciata del sanguinario despota.

venerdì 25 marzo 2011

AMARAMENTE..

Comunico che la sera del 24 marzo 2011, in conformità con la volontà della maggioranza della lista Calcinato Migliore, che ritiene sussistano conflitti insanabili nel proseguimento della mia collaborazione come Consigliere e Capogruppo consiliare, mi sono dimesso da Capogruppo e da componente della lista medesima. Proseguirò il lavoro di Consigliere nel rispetto del mandato affidatomi dagli elettori calcinatesi.
 
William Spassini

mercoledì 23 marzo 2011

CARA ELIZABETH TAYLOR...





di Antonio Moresco
 
Cara Elizabeth Taylor,  mi è preso improvvisamente il desiderio di scrivere a te, adesso, a molti anni di distanza da quando ti sognavo vedendoti sullo schermo nel buio di una sala, la mia piccola testa insieme a tante altre piccole teste nel buio di fronte alla tua testa espansa evocata da un raggio di luce saturo di pulviscolo e fumo.  Non mi perdevo un tuo film. Tu sei una delle poche attrici che abbiamo potuto conoscere in tutte le sue età, di cui abbiamo potuto vedere coi nostri occhi la persona crescere e modificarsi, perché tutta la curva della tua vita è passata dentro il sogno del cinema. Ti abbiamo vista bambina nei tuoi primi film, Torna a casa Lassie, Gran Premio, Piccole donne, e poi ragazza e poi donna in Un posto al sole, Il gigante, La gatta sul tetto che scotta, Improvvisamente l'estate scorsa… e poi scarmigliata e alcolizzata in Chi ha paura di Virginia Woolf, e poi in Riflessi in un occhio d'oro, I commedianti… Tu, tra le attrici americane, eri quella che amavo e desideravo di più. Molto più di Marilyn Monroe, che è poi morta drammaticamente prima di diventare vecchia e di guastare l'icona, che adesso tutti mostrano di adorare e che è finita nei poster e nelle pubblicità delle nuove sante dell'immaginario collettivo pilotato e svuotato, mentre si avvicina all'obiettivo con la bocca a cuore, mentre l'aria calda proveniente da una griglia le solleva la gonna e mette allo scoperto le sue belle e forti gambe da bella ragazza di campagna che recita la parte della bambola sciocchina, della pupattola ossigenata, della proiezione infantile del desiderio maschile. Per questo è stata premiata dai maschi, è stata eletta a simbolo femminile epocale dai maschi. Io invece amavo, desideravo e sognavo te, la donna vera, con la sua fragilità e la sua forza, quella in carne e ossa, quella cavalleresca, la bambina sbalzata da cavallo, la donna capace di passione e amicizia, la regina di cartapesta e di carne che scivola con gli occhi allungati sulle acque del Nilo e la bisbetica di Shakespeare, la donna amorosa che illumina la sua porzione di mondo e poi quella sbarellata, disperata e indurita.  Mi accorgo che ti sto dando del tu, come si fa con i sogni. Ma tu sei venuta a me come un sogno dentro il sogno del cinema dentro l'incubo del Novecento e del mondo. Sono poche le donne che mi sono arrivate come te attraverso il sogno breve e la visione del cinema. Ce ne sono poche altre che si sono impresse così profondamente nei miei sogni e nei miei sensi: Ingrid Bergman in Notorius e in Io ti salverò, Julie Christie in Messaggero d'amore e nel Dottor Živago, Natalie Wood in Splendore dell'erba, Romy Schneider e Jean Seberg nei loro film della maturità, Claudia Cardinale in Senilità, La viaccia, La ragazza con la valigia, con il suo bel volto e il suo bel corpo di bella ragazza araba. Io non so se ci sarà ancora per molto il cinema e la sua visione, quel sogno proiettato che si può vedere con gli occhi. O se invece nasceranno altre proiezioni biologiche introiettate nei corpi che adesso non riusciamo neanche a immaginare. Se ci sarà ancora quella cosa che è stata chiamata "l'inquadratura", dove appaiono allontanati e ingigantiti sopra uno schermo i nostri sogni non ancora sognati. Le teste e i volti ingigantiti dei nostri sogni di fronte alle capocchie lillipuziane delle nostre testoline nella capsula prenatale del buio dove andiamo tutti insieme a sognare. La luce che attraversa il buio, le lampadine di quelle teste e di quei volti femminili nudi che accendono il buio. Le teste e le fronti delle donne in primo piano dei film in bianco e nero che apparivano ancora più abbaglianti nel buio, e si vedeva il raggio di luce saturo di pulviscolo e fumo che attraversava diagonalmente la sala diventare all'improvviso più chiaro, più bianco, illuminava come un bengala la distesa di testoline immobilizzate intente a sognare con gli occhi spalancati nel buio. I volti ingigantiti delle donne dalle fronti bianche, scoperte, che emanavano luce guardando senza vedere di fronte a sé con i loro occhi grandi e le grandi, dolci e profumate caverne delle loro bocche che emettevano parole gutturali nel buio, di fronte a uomini ingigantiti, dai grandi cappelli duri e chiusi nelle armature delle loro giacche, dei loro impermeabili e dei loro cappotti, che riempivano di sé l'inquadratura successiva. A me pare che ci siano state tre epoche, nel cinema e nel Novecento, che vorrei chiamare così: della fronte, degli occhi, della bocca. Lo so che le epoche non sono mai così nette, che ci sono sovrapposizioni continue tra le une e le altre e che, in questo caso, non tornano nemmeno i tempi e le date. Eppure a me pare lo stesso di vederle e di ricordarle così.  Prendi questa mia piccola idea per quello che vale. Ma, se io chiudo gli occhi e penso al mondo attraverso il sogno del cinema, prima vedo la fronte, le grandi fronti e le tempie scoperte delle attrici dei film in bianco e nero, che emanavano letteralmente luce quando apparivano di colpo nell'inquadratura. Mi vengono in mente Greta Garbo, Ingrid Bergman, le attrici svedesi dei successivi film in bianco e nero di Ingmar Bergman, di quelli di Hitchcock… Poi le fronti si sono ricoperte via via di riccioli, frange, frangette, hanno perso a poco a poco la loro capacità di emanare e riflettere luce. La luce si è spostata, il punto focale dei volti è sceso un po' più in basso, negli occhi.  Grandi, giganteschi occhi in primo piano sullo schermo che guardano gli spettatori lillipuziani immobilizzati nel buio, che cercano di sostenerne lo sguardo con gli sciami dei loro minuscoli occhi. Sono le americane Ava Gardner,  Lauren Bacall, Natalie Wood… E poi tu, soprattutto, la regina degli occhi. Non che non avessi anche tu una bella fronte e una bella bocca, non che non illuminassi anche tu lo schermo con la tua bella fronte, che non lo aprissi con  la tua bella bocca. Ma il punto focale del tuo volto e della sua visione sono soprattutto gli occhi, il cratere degli occhi. Montgomery Clift, James Dean, Paul Newman, Richard Burton, Marlon Brando… hanno dovuto fronteggiare soprattutto i tuoi occhi in primo piano sopra lo schermo, i tuoi occhi che guardavano noi, che guardavano me, fingendo di guardare loro che ti stavano di fronte invisibili a noi mentre tu aprivi lo schermo con gli occhi per me.  Quando li tenevi aperti, quando li chiudevi per baciare noi, per baciare me, fingendo di baciare loro, e allora eri ancora più bella perché, come tutte le donne che hanno occhi meravigliosi, eri ancora più bella con gli occhi chiusi. Poi il punto di fuoco dei volti si è spostato ancora più in basso. È arrivata l'età della bocca, la nostra. Bocche sempre più evidenti, più grandi, più grosse, gonfiate, siliconate, nei primi piani a tutto schermo, nelle immagini  pubblicitarie. Ormai il volto è solo una caverna, una bocca. La bocca che si mangia tutto, anche la bocca, il cratere dentato che inghiotte tutto, la voracità terminale, di specie, il boccheggiare meccanico e vorace dei pesci in fondo agli abissi. Divorare tutto, inghiottire tutto, anche il pianeta. Nella sessualità l'icona parcellizzata è diventata ormai la fellatio. Non che a me la bocca piaccia meno della fronte e degli occhi. Anzi, mi piaci tu proprio perché sei nello stesso tempo fronte, occhi e bocca. Sto solo cercando di far vedere questo spostamento del punto di fuoco, questo continuo restringimento e chiusura e implosione di vita e sguardo e delle possibilità umane e del mondo. Scusa questa imbarazzante e un po' delirante lettera che ti scrive un uomo di sessant'anni da una piccola casa in una lontana periferia dell'impero. Ma anche tu… se faccio bene il conto delle date dovresti essere intorno ai settantacinque anni. Da alcune notizie che riesco a captare qua e là so che non te la passi bene, che vivi quasi immobilizzata in un letto e che sei quasi incapace di respirare, dopo avere lottato per tutta la vita con gravi problemi alla colonna vertebrale, insufficienza cardiaca, cancro alla pelle, polmoniti, tumore al cervello, alcolismo… Qualche tempo fa ho letto una tua intervista dove a un certo punto dici: «Sono diventata una povera, piccola vecchia. Sono tutta piegata da una parte. Nello specchio il mio corpo è concavo e convesso.  Le mie radiografie sono folli, quando gli ortopedici le vedono alzano gli occhi al cielo. Ma non ho paura di morire». E poi concludi: «Mi manca la carezza di un uomo». Lo sapevo già, ma mi stai dicendo che non sei solo gli occhi, la fronte, la bocca, sei anche quel povero cervello a cui il corpo non obbedisce più, quelle povere ossa deformate dallo sforzo di portare per così tanto tempo sopra di sé il peso di tutti i nostri sogni, e che adesso ci mostri nella loro ultima immagine radiografata e nella tua ultima inquadratura di donna bella e coraggiosa che non ha paura di vivere e di morire.  Io non riesco a immaginare la vita che stai conducendo, i volti delle persone che si avvicenderanno di sicuro attorno al tuo letto di persona ricca, sola e malata. Ma questa mattina, mentre sto scrivendoti questa piccola lettera d'amore, provo a immaginare che tu, svegliandoti dal tuo sonno propiziato da antidolorifici e sedativi, ti giri verso la donna che è venuta ad aprirti la inestra e improvvisamente le chiedi:  «È entrato qualcuno nella stanza, stanotte?» «No, perché?» ti risponde la donna. «Perché ho sognato che qualcuno mi faceva una carezza mentre dormivo.» Io lo so chi è stato.  Non ha lasciato per caso dietro di sé un leggero profumo di rosmarino?

RAPINA ALLA SORGENTE




di flavio marcolini

Una rapina ai danni della cooperativa per disabili La Sorgente ha turbato la notte fra lunedì e martedì a Ponte San Marco. “Qualcuno si è intrufolato nella nostra sede di via Romanelli 12 dal retro, con la complicità del buio” – racconta Giuseppe De Cataldo, responsabile del Centro diurno disabili. “Ci sono stati rubati gli strumenti e gli attrezzi della piccola falegnameria utilizzata dagli ospiti per i loro lavoretti, una macchina fotografica digitale, qualche centinaio di euro sparsi nei portafogli dei singoli ragazzi. Ma soprattutto i ladri si sono impossessati del nuovissimo furgone Volkswagen a nove posti, per noi fondamentale perché consentiva lo svolgimento delle diverse attività terapeutiche ed educative degli ospiti, dal laboratorio teatrale all’ippoterapia, dalla piscina alle arti marziali, dalle escursioni ricreative alla partecipazione alle iniziative sociali organizzate sul territorio. “E’ stato un po’ come rubare in chiesa” osserva sconsolato De Cataldo.  “Entrare da noi è semplice perché non abbiamo sistemi di allarme o difesa. Per i soldi e gli attrezzi artigianali non ci preoccupiamo, ma il furto del furgone ci toglie la possibilità di realizzare i programmi di integrazione e coinvolgimento dei nostri ragazzi con il territorio. L’auspicio è che questo grave atto richiami la solidarietà della comunità attorno ad una realtà presente in paese da otto anni, con 18 utenti provenienti dai comuni di Calcinato, Castenedolo, Montichiari, di età compresa fra i 29 e i 65 anni”. Ospitata nella ex sede della scuola materna Bianchi”, la struttura assistenziale fornisce servizi sociosanitari e accoglie giornalmente soggetti con notevole compromissione dell’autonomia e delle funzioni elementari, “puntando – come sottolinea il responsabile - alla loro crescita evolutiva nella prospettiva di una progressiva socializzazione, con l’obiettivo da un lato di sviluppare le capacità residue e dall’altro di operare per il mantenimento dei livelli acquisiti. Vi si svolgono interventi e attività di carattere occupazionale, sociale ed educativo che permettono agli ospiti di sviluppare le proprie risorse, capacità e interessi. Il tutto in stretto coordinamento con le loro famiglie”. 

martedì 22 marzo 2011

FINE DELLA RESPONSABILITA' SOCIALE DELL'IMPRESA?



di flavio marcolini
A Brescia l'Anpi (Associazione partigiani d'Italia) si interroga sui propositi del governo che nei giorni scorsi ha mostrato la volontà di cambiare presto l'articolo 41 della Costituzione della Repubblica, quello che - secondo l'attempato ma battagliero sodalizio di via Campo Fiera - si intenderebbe trasformare da "L'iniziativa economica privata e' libera" a "L'attività economica privata è libera ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge".
La preoccupazione è che il terzo comma dell'articolo - "la legge determina i controlli perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali" - possa venire eliminato.
Per approfondire l'argomento organizza martedì 29 marzo il convegno “Fine della responsabilità sociale dell'impresa?”, al quale interverranno Angelo Onger (vicedirettore della Voce del Popolo), Arianna Carminati (ricercatrice di Diritto pubblico alla Facoltà di Giurisprudenza di Brescia) e Damiano Galletti (segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia). L'appuntamento è alle ore 20.30 nella sede di via Campo Fiera 6.

EMERGENCY CONDANNA LA GUERRA IN LIBIA



Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Oggi la guerra è "contro Gheddafi": ci viene presentata, ancora una volta, come umanitaria, inevitabile, necessaria.

Nessuna guerra può essere umanitaria. La guerra è sempre stata distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. "La guerra umanitaria" è la più disgustosa menzogna per giustificare la guerra: ogni guerra è un crimine contro l'umanità.

Nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono alla fine inevitabili solo quando non si è fatto nulla per prevenirle. Se i governanti si impegnassero a costruire rapporti di rispetto, di equità, di solidarietà reciproca tra i popoli e gli Stati, se perseguissero politiche di disarmo e di dialogo, le situazioni di crisi potrebbero essere risolte escludendo il ricorso alla forza. Non è stato questo il caso della Libia: i nostri governanti, gli stessi che ora indicano la guerra come necessità, fino a poche settimane fa hanno finanziato, armato e sostenuto il dittatore Gheddafi e le sue continue violazioni dei diritti umani dei propri cittadini e dei migranti che attraversano il Paese.

Nessuna guerra è necessaria. La guerra è sempre una scelta, non una necessità. È la scelta disumana, criminosa e assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica. È la scelta dei peggiori tra gli esseri umani.

Ai governanti che vedono la guerra come unica risposta ai problemi del mondo, rivolgiamo di nuovo l'appello del 1955 di Bertrand Russell e Albert Einstein nel loro Manifesto:

«Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile e inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l'umanità dovrà rinunciare alla guerra?»

Come ha scritto il grande storico statunitense Howard Zinn: «Ricordo Einstein che in risposta ai tentativi di "umanizzare" le regole della guerra disse: "la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire". Questa profonda verità va ribadita continuamente: che queste parole si imprimano nelle nostre menti, che si diffondano ad altri, fino a diventare un mantra ripetuto in tutto il mondo, che il loro suono si faccia assordante e infine sommerga il rumore dei fucili, dei razzi e degli aerei».

Emergency è contro la guerra, contro tutte le guerre. Ce lo impongono la nostra esperienza, la nostra etica e la nostra cultura, la nostra umanità prima ancora che la nostra Costituzione.

Chiediamo che tacciano le armi e che si riprenda il dialogo, anche attraverso l'invio degli ispettori delle Nazioni Unite e di osservatori della comunità internazionale; chiediamo l'apertura immediata di un corridoio umanitario per portare assistenza alla popolazione libica.

lunedì 21 marzo 2011

FERMARE I MASSACRI E LA GUERRA IN LIBIA



del Movimento Nonviolento

Difendere le vittime inermi è doveroso. Quando qualcuno interviene per tutelare i diritti umani e salvare una vita, è una buona notizia. Da quando il samaritano ha soccorso il poveretto incappato nei briganti sulla strada di Gerico, è sempre stato così.
Era dovere della comunità internazionale mobilitarsi per impedire che a Bengasi potesse avvenire un massacro (nel 1996 l'Europa si macchiò di “omissione di soccorso” quando non fece nulla per impedire il genocidio a Srebrenica).
L'obiettivo delle due risoluzioni dell'Onu (n. 1970 e 1973) sulla crisi libica è quello di proteggere i civili, gli insediamenti urbani e garantire assistenza umanitaria. L'uso della forza viene invocato per limitare i danni che già sono in corso sul campo, affermando il chiaro rifiuto dell'opzione di occupazione militare straniera, la priorità del
cessate il fuoco e della soluzione politica, il rafforzamento dell'embargo militare e commerciale, il riconoscimento del ruolo prioritario della
Unione Africana, della Lega Araba, della Conferenza Islamica.
Ci sono però due cattive notizie. La prima è il ritardo spaventoso (e l'ambiguità) con cui si è mossa la diplomazia degli stati, e la seconda è che l'Onu non dispone di una forza di polizia internazionale permanente ma deve affidarsi agli eserciti degli stati membri (articoli 43-49 della Carta della Nazioni Unite, in questo caso Francia, Inghilterra, Stati Uniti).
Quando la parola passa dalla diplomazia alle armi, succede che le operazioni militari si trasformano subito in guerra. E' quello che sta accadendo in Libia. Gli strumenti utilizzati (bombardieri, caccia, Tornado, missili, incrociatori, portaerei, sommergibili, ecc.) sono quelli tradizionali della guerra, gli unici disponibili, pronti, efficienti. Come nei Balcani, come in Iraq, come in Afganistan, viene messa in campo solo l'opzione militare, l'unica che è stata adeguatamente preparata e finanziata. Una cosa è certa: non sarà con un'altra guerra che la democrazia potrà affermarsi nel mondo arabo.

Appelli che cadono nel vuoto.

Subito dopo l'annuncio del primo raid aereo, hanno iniziato a circolare in“rete” gli appelli pacifisti. Ci sono quelli “senza se e senza ma” chedicono: “non ci può essere guerra in nome dei diritti umani”; e quelli “realisti” che dicono: “l’uso della forza serve ad impedire ulteriori massacri”.
Il centro di questa discussione sta proprio nei due termini “guerra” e “forza”. Essere contro la guerra non significa escludere la forza. Ma per fare questa distinzione bisogna aver chiara anche la diversità fra il generico pacifismo e la nonviolenza specifica. Infatti, la nonviolenza si basa proprio sull’uso della forza per combattere la violenza. La
nonviolenza è per i forti non per i deboli, diceva Gandhi. E nella ricerca esigente di una nonviolenza efficace, si spingeva anche più in là: se la nonviolenza assoluta non è ancora possibile, cerchiamo almeno di raggiungere il minor grado possibile di violenza. Faceva l’esempio di un cecchino (un rais? un raid?) che spara sulla folla. Per impedirgli di nuocere (se necessario, abbatterlo) bisogna usare una forza che serve ad evitare una violenza maggiore. Questo, naturalmente, vale anche su scala mondiale. Bisogna fermare i dittatori (e chi bombarda i civili) e soccorrere le vittime.
Oggi non basta mettere a verbale il nostro “no” alla guerra. Certo, meglio che niente, ma bisogna aggiungere una parola in più: quando la guerra inizia nessuno riesce a fermarla; bisogna prevenirla una guerra, affinché non avvenga. Lo si può fare solo non collaborando in nessun modo alla sua preparazione.
Quando la prima bomba è stata sganciata, ormai lo sappiamo bene, a nulla serve dire “basta”, essa cadrà e molte altre ne seguiranno. La guerra, una volta accettata, conduce a tali delitti e tali stragi che è assurdo pensare di farla e contenerla. Come in un terremoto, l'unica possibilità – se non si sono adottate serie misure antisismiche – è il “si salvi chi può”. Poi, i sopravvissuti dovranno pensare alla prevenzione per rendere innocuo il terremoto successivo. Ma troppo spesso capita che, passata la prima paura, se ne dimenticano e anche il prossimo terremoto li coglierà impreparati.
l limite di molti appelli è quello di rivolgersi ai governi e alle istituzioni per chiedere a loro di fare la pace. C’è un’inscindibile correlazione fra mezzi e fini: come possiamo aspettarci scelte di pace da governi (compreso quello italiano) che mantengono gli eserciti e le loro strutture, che finanziano missioni militari, che aumentano le spese belliche, che accettano il traffico legale e illegale di armi? Chiediamo ai governi di ridurre le spese militari, e regolarmente, finanziaria dopo finanziaria, queste spese aumentano esponenzialmente. Insistere in quest’errore di ingenuità diventa una colpa. La pace non verrà dai governi che utilizzano lo strumento militare, ma potrà venire solo dai popoli che rifiuteranno di collaborare con essi. E’ a noi stessi, dunque, che dobbiamo rivolgere gli appelli per la pace. Per uscire dall’apparente contraddizione fra chi è sempre, e comunque, contro la guerra e chi è favorevole, a volte, ad azioni di forza, bisogna saper vedere la differenza che c’è tra la guerra e un intervento armato; tra un esercito e una polizia internazionale. Gli amici della nonviolenza sono sempre stati favorevoli al Diritto e alla Polizia, due istituzioni che servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E’ per questo che da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di Alexander Langer, per lo studio, la ricerca, la sperimentazione e l’istituzione di Corpi Civili di Pace. Gli amici della nonviolenza chiedono la diminuzione dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione di una polizia internazionale, anche armata, che intervenga nei conflitti a tutela della parti lese, per disarmare l’aggressore e ristabilire pace e diritto. Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, gli amici della nonviolenza sono contro la preparazione della guerra (qualsiasi guerra: di attacco, di difesa, umanitaria, chirurgica o preventiva), contro il commercio delle armi, contro gli eserciti nazionali, contro i bilanci militari e lo fanno anche con le varie forme di obiezione di coscienza. La proposta politica dei nonviolenti è quella di uno stato che rinunci al proprio esercito nazionale, e si impegni a fornire mezzi, finanziamenti e personale per la polizia internazionale di cui si dovrà dotare l'Onu.
La diplomazia la fanno i governi, ma la nonviolenza la fanno i popoli. Dobbiamo perciò perseguire con sempre maggiore decisione la strada della distanza da qualsiasi regime che violi i diritti umani e democratici, denunciando con forza le responsabilità dei nostri governi e del loro servilismo davanti a un personaggio come Gheddafi (e al suo gas e petrolio) che per oltre 40 anni ha occupato la scena con politiche che hanno sponsorizzato ogni tipo di violazione di qualsivoglia diritto, ha nutrito le guerre e le destabilizzazione che hanno martoriato un buon numero di paesi africani dal Ciad, al Niger, al Burkina Faso, alle sanguinarie guerre di Liberia, Sierra Leone e del Darfur, finanziando le milizie armate. I mercenari al soldo di Gheddafi sono le diaspore di oltre 40 anni di destabilizzazione, sono persone che non hanno nulla da perdere.
Lo sbocco per tanti giovani del continente africano, ovvero l'emigrazione, è stata messo dall'Europa sotto la custodia interessata di Gheddafi e della sua polizia che taglieggia, stupra vende e rivende e ricatta i poveracci che speravano di trovare una strada al di là del Mediterraneo.
Sono migliaia e migliaia i profughi dimenticati del Bangladesh che fuggono dalla Libia verso la Tunisia, nella speranza di un viaggio della disperazione verso casa.
Per questi disperati i governi europei non si sono mossi. Così come è passata del tutto inosservata la feroce repressione da parte delle forze armate saudite del movimento che chiedeva libertà e democrazia nel Bahrain (arcipelago del Golfo persico fra l'Arabia Saudita e il Qatar).

Agitarsi, lamentarsi, angosciarsi, non serve. La prima risposta, immediata, che possiamo dare è quella di offrire soccorso concreto alle vittime, e poi di un rafforzato impegno per sostenere la nonviolenza organizzata.

sabato 19 marzo 2011

UNA LETTERA DAL GIAPPONE




di Yukari Saito*


Mi chiedi come reagiscono qui all'emergenza nelle centrali atomiche? I giapponesi in generale sono abbastanza realistici e meglio informati sugli effetti dannosi delle radiazioni; perciò molti hanno paura delle centrali nucleari e francamente preferirebbero non averle. E questo grazie proprio alle esperienze che ci hanno raccontato i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki. C'è un altro aspetto: il governo usa le centrali nucleari - e le basi americani - per «ricattare» gli enti locali economicamente deboli. Gli amministratori locali accettano di ospitare una centrale anche se la maggioranza degli abitanti è contraria, perché grazie agli aiuti che avranno riescono a gestire il comune. Questo fa sì che in certe zone chi si dichiara contro le centrali viene visto come una presenza dannosa alla comunità.(...) L'emergenza di questi giorni, energetica soprattutto, sta facendo emergere un aspetto tetro della politica (energetica e non) di questo paese: l'ineguaglianza tra il centro del potere e la periferia. Il caso più scandaloso mi sembra è la sospensione «programmata» della fornitura di elettricità annunciata dalla società Tepco: tocca i comuni preferici, ma non il centro di Tokyo dove gli sprechi di energia sono maggiori - con megaschermi, ascensori, scale mobili dappertutto, molti strumenti superflui o diventati indispensabili per una struttura insensata (come tantissimi grattacieli che non riescono a trovare inquilini...). Io spero trepidamente che tutta questa tragedia serva a far capire quanto l'organizzazione del mondo in cui viviamo sia stupida e inadeguata alla nostra esistenza. (...) Inoltre, l'organizzazione di questa sospensione programmata è stata davvero disastrosa. L'hanno annunciata, poi hanno deciso all'ultimo momento di non farlo ecc. rendendo alla gente impossibile organizzare la vita. Mi sembra sintomatico della natura di questa società (i rischi delle centrali alle periferie, i guadagni e la comodità al centro del potere!).(...) Non si sa cosa succederà in futuro, quindi è sicuramente preoccupante. \ le reazioni esagerate e il giornalismo sensazionale, non aiutano davvero: indurebbero facilmente le autorità a omettere informazioni che possono provocare reazioni di panico. (...) Questo incidente evidenzia alcune cose. L'impossibilità di garantire la sicurezza, i limiti dei calcoli degli ingegneri nella progettazione ovvero l'imprevedibilità dei fenomeni circostanti: non si può pretendere dai progettisti di prevedere ogni immaginabile e inimmaginabile ipotesi, tra i tipi di sisma e errori umani. Infine -questa è forse la maggiore scoperta per me - gli esperti hanno una conoscenza assai limitata in materia. Non sai quante volte sentiamo dire «non si sa», «non si capisce», «per qualche motivo non chiaro» durante le conferenze stampa e i commenti degli esperti a cui vengono chieste spiegazioni!
Se si considera tutto questo - che i nuclearisti fanno tutto per ignorare, minimizzare e non far conoscere - l'energia nucleare risulta non offrirci alcun vantaggio ma soltanto rischi.
Insomma, occorre rimettere in discussione le centrali nucleari soprattutto per evitare ogni incidente futuro. (...) Soprattutto ci vuole un po' di umiltà sui limiti delle capacità dell'essere umano.

*fondatrice del Centro di documentazione per la pace «Semi sotto la neve» di Pisa, Yukari Saito ha inviato ai compagni del movimento queste note dal Giappone dove si trova in queste ore

mercoledì 16 marzo 2011

QUELLI CHE TRICOLOREGGIANO




di Paolo Pietrangeli
  Quelli che tricoloreggiano 
Quelli che patriovaneggiano 
Che l'Italia voglion forte 
Polizia sempre alle porte.  
Quelli che han l'onore addosso 
Ben cucito nei calzoni 
E lo tiran sempre fuori 
Specie quando fan pipì  
Quelli che han buone maniere 
ed a tavola san stare 
Quelli hanno da mangiare 
Contro quelli che ne han no  
Quelli che starnazzan sempre 
"Siamo in mano ai comunisti!" 
E starebbero ben freschi 
Se davver fosse così.  
Quelli che non han nient'altro 
Che non sian molti denari 
Per comprarci tutti interi 
Per non farci dir di no  
Questi son nostri padroni 
O se no son servi loro 
L'esser servi è un gran decoro 
Ci si acquista in dignità 
L'esser servi è un gran decoro 
Ci si acquista in dignità.  

martedì 15 marzo 2011

L'OBBEDIENZA NON E' PIU' UNA VIRTU'.




Lettera ai cappellani Militari Toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965

Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo.

Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola.

Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.

PRIMO perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore.

SECONDO perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi.

Nel rispondermi badate che l'opinione pubblica è oggi più matura che in altri tempi e non si contenterà né d'un vostro silenzio, né d'una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti sarò ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste.

Non discuterò qui l'idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.

Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.

Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona.

Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei.

Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa.

Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.

Articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...".

Articolo 52 "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino".

Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia.

Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?

Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verità in faccia ai vostri "superiori" sfidando la prigione o la morte? se siete ancora vivi e graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la più elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza.

Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l'anno) l'esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all'obiezione che all'obbedienza.

L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo.

Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare.

1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria.

A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa è alle porte.

La Costituzione è pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei.

La guerra seguente 1866 fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l'Austria insieme.

Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant'è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant'è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia".

Nel 1898 il Re "Buono" onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L'avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.

Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo.

Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale considera la vita d'un bianco più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa?

Idem per la guerra di Libia.

Poi siamo al '14. L'Italia aggredì l'Austria con cui questa volta era alleata.

Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti?

Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una "inutile strage"? (l'espressione non è d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato).

Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza "cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).

Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" a aggredire l'infelice popolo spagnolo.

Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al prezzo d'un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d'ogni libertà civile e religiosa.

Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani tutto questo non sarebbe successo.

Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato.

Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire?

Poi dal '39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).

Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l'umanità si sia data.

L'uno rappresenta il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri.

L'altro il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.

Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).

Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie?

Ma in questi cento anni di storia italiana c'è stata anche una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana.

Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato.

Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i "regolari"?

È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i "ribelli"?

Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati.

Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.

In molti paesi civili (in questo più civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli altri, non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.

Del resto anche in Italia c'è una legge che riconosce un'obiezione di coscienza. È proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti.

In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s'è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l'eroismo patrimonio dei più?

Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene.

Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha fatto. Più maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita?

Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio e il comandamento del Signore è "estraneo al comandamento cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!

Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità.

Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.

Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.

Lorenzo Milani sac.

Lettera ai giudici

Barbiana 18 ottobre 1965

Signori Giudici,

vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch'io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. Allego un certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza. La malattia è l'unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa è proprio l'accusa che mi si fa in questo processo.

Ma essa non è fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.

Una precisazione a proposito del difensore. Le cose che ho voluto dire con la lettera incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro e di sacerdote. In queste due vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio difensore d'ufficio di non prendere la parola. Ma egli mi ha spiegato che non me lo può promettere né come avvocato né come uomo. Ho capito le sue ragioni e non ho insistito.

Un'altra precisazione a proposito della rivista che è coimputata per avermi gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per conto mio la lettera incriminata fin dal 23 Febbraio. Solo successivamente (6 Marzo) l'ha ripubblicata Rinascita e poi altri giornali.

È dunque per motivi procedurali cioè del tutto casuali ch'io trovo incriminata con me una rivista comunista. Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse d'altri argomenti. Ma essa non meritava l'onore d'essere fatta bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non violenza. Il fatto non giova alla chiarezza cioè all'educazione dei giovani che guardano a questo processo.

Verrò ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere la lettera incriminata. Ma vi occorrerà prima sapere come mai oltre che parroco io sia anche maestro. La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.

La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme.

COME MAESTRO

Il motivo occasionale

Eravamo come sempre insieme quando un amico ci portò il ritaglio di un giornale. Si presentava come un "Comunicato dei cappellani militari in congedo della regione toscana". Più tardi abbiamo saputo che già questa dizione è scorretta. Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un totale di 120. Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente ne conosco uno solo: don Vittorio Vacchiano pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato che non è stato invitato e che è sdegnato della sostanza e della forma del comunicato. Il testo è infatti gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla parola "espressione di viltà".

Il prof. Giorgio Peyrot dell'Università di Roma sta curando la raccolta di tutte le sentenze contro obiettori italiani.

Mi dice che dalla liberazione in qua ne son state pronunciate più di 200. Di 186 ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi assicura che in nessuna ha trovato la parola viltà o altra equivalente. In alcune anzi ha trovato espressioni di rispetto per la figura morale dell'imputato. Per esempio: "Da tutto il comportamento dell'imputato si deve ritenere che egli sia incorso nei rigori della legge per amor di fede" (2 sentenze del T.M.T. di Torino 19 Dicembre 1963 imputato Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza). In tre sentenze del T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di particolare valore morale e sociale (19 Ottobre 1953 imputato Valente, 11 Gennaio 1957 imputato Perotto, 7 Maggio 1957 imputato Perotto). Allego il testo completo dei risultati della ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la bontà di fare per me.

Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita.

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.

Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande "I care". È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a cuore". È il contrario esatto del motto fascista "Me ne frego".

Quando quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle religiose avevano reagito. Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l'unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d'una "guerra giusta". D'una guerra cioè che fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata. Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri:

Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con "interviste" piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle "interviste" senza curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4-1965). La nostra lettera è stata incriminata. Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale. Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile. Non toccava a lui chiamare "vili e estranei al comandamento cristiano dell'amore" quei 31 giovani.

I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. E ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici.

Il motivo profondo

A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola buona.

La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste. Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché, in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico.

Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo. In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell'imputato e è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta.

Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.

Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore. L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime! Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.

Ma è poi reato?

Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho fatto notare che togliendomi questa libertà attentereste alla scuola cioè al progresso legislativo.

Ma è poi reato?

L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale "al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali". (ordine del giorno approvato all'unanimità nella seduta dell'11 Dicembre 1947). Una di queste conquiste morali e sociali è l'articolo 11: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli". Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia è molto più ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un invito a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la insegnavano a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora.

Mi scuserete se su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero ha interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che è una scorsa su cento anni di storia alla luce del verbo ripudia. È dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no obbedire nelle guerre future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali.

A sentir loro tutte le guerre erano "per la Patria". Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che "per la Patria" non erano. I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare. Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di diritto il suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel '47 con sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di quell'articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata. Allora è ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano, non è mai stata al potere. Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta.

Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva è compensato con 93.000 al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un attendente figlio dei poveri. Allora l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza. Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la Patria?

Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello di Napoleone in Russia.

Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito inglese a Suez.

Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito russo in Polonia.

Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano il 24 Maggio.

Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi della Patria.

Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali). Dar la vita per nulla è peggio ancora. I nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto il Veneto gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso andare a morire e uccidere senza scopo.

Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com'è complessa la verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell'entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri ancora.

Lo dico perché alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto ai caduti. Non è vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo mi parrebbe di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo.

Per esempio quel re che scappò a Brindisi con Badoglio e molti generali e nella fretta si dimenticò perfino di lasciar gli ordini.

Del resto il rispetto per i morti non può farmi dimenticare i miei figlioli vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno sapranno offrire la loro vita in sacrificio ne sarò orgoglioso, ma che sia per la causa di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp.

Bisognerà ricordare anche le guerre per allargare i confini oltre il territorio nazionale.

Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere patetiche per dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti devo sciacquarmi la bocca.

È perché i nostri maestri ce l'avevano presentato come un eroe fascista. Si erano dimenticati di dirci che era un socialista. Che se fosse stato vivo il 4 novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non avrebbe mosso un passo di là da Salorno per lo stessissimo motivo per cui quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua da Salorno e s'era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera.

"Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano" (Scritti politici di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). "Certi italiani confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini d'Italia estesi fino al Brennero" (ivi).

Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige, dove nessun soldato italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco, Passo Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto.

Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti, che i confini debbano tagliare preciso tra nazione e nazione. Non certo per dar soddisfazione a quei nazisti da museo che sparano a carabinieri di 20 anni.

In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i nostri paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar di posto secondo il capriccio delle fortune militari non può essere dogma di fede né civile né religiosa.

Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.

Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti.

E dopo esser stato così volgarmente mistificato dai miei maestri quando avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano allora?

Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora a oggi non hanno più studiato né pensato, non me.Abbiamo voluto scrivere questa lettera senza l'aiuto d'un giurista. Ma a scuola una copia dei Codici l'abbiamo. Nel testo stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza all'art. 51 del c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando l'atto comandato è manifestamente delittuoso. Che l'ordine deve avere un minimo d'apparenza di legittimità. Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che ha obbedito a un ordine di strage di civili (13-12-1949 imputato Strauch).

Allora anche il Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una coscienza e deve saperla usare quando è l'ora. Come potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimità una decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli ebrei, la tortura, una guerra coloniale? Oppure, può avere un minimo di parvenza di legittimità un atto condannato dagli accordi internazionali che l'Italia ha sottoscritto?

Il nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che "è praticamente impossibile all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi alla moralità degli ordini che riceve" (Lettera al Clero 14-4-1965). Certo non voleva riferirsi all'ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). E neppure all'uso dei gas.

Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul Tacazzé. L'Enciclopedia Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali cattolici (L'Avvenire d'Italia articoli di Angelo del Boca dal 13-5-1965 al 15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del 27-10-1935) di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). Hailè Selassiè l'ha confermato autorevolmente e circostanziatamente (intervista per l'Espresso 29-9-1965 e sg.). Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati.

Son processato invece io perché ho scritto una lettera che molti considerano nobile. (carissime fra le tante le lettere di affettuosa solidarietà delle Commissioni Interne delle principali fabbriche fiorentine, quelle dei dirigenti e attivisti della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e quella dei Valdesi).

Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine? Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere più in onore la Costituzione e i patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale.

Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre.

A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca.

Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati.

E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che ha fatto quand'era "un bravo ragazzo, un soldato disciplinato" (secondo la definizione dei suoi superiori) "un povero imbecille irresponsabile" (secondo la definizione che dà lui di sé ora). (carteggio di Claude Eatherly e GŸnter Anders - Einaudi 1962).

Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: "Tant'è ladro chi ruba che chi para il sacco".

Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi.

E così siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente.

A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.

C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.

COME SACERDOTE

Fin qui ho parlato come un cittadino e un maestro che crede con la sua scuola e la sua lettera di aver reso un servizio alla società civile, non di aver compiuto un reato.

Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato.

Quest'accusa se fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli mette in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrerà infatti che condanniate le idee personali di un prete strano. Ma io son parte viva della Chiesa anzi suo ministro. Se avessi detto cose estranee al suo insegnamento essa mi avrebbe condannato. Non l'ha fatto perché la mia lettera dice cose elementari di dottrina cristiana che tutti i preti insegnano da 2000 anni. Se ho commesso reato perseguiteci tutti.

Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. Ho tentato di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati per quanto ho potuto verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga scala le tecniche non-violente). Ma la non-violenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sulla legge dello Stato lo è certamente. Mi sarà facile dimostrarvi che nella mia lettera ho parlato da cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore.

Cominciamo dalla storia.

La storia d'Italia fino al 1929 nella mia lettera è identica a come la raccontavano i preti in seminario prima di quella data. Il mio vecchio parroco mi diceva che La Squilla, il giornale cattolico di Firenze, aveva in vetta e in fondo uno striscione nero. Portava il lutto del Risorgimento! In quanto alla storia più recente cioè al giudizio sulle guerre fasciste, può anche darsi che qualche mio confratello sia intimamente un nostalgico, ma è notorio che la gran maggioranza dei preti sostiene un partito democratico che fu il principale autore della Costituzione (dunque anche della parola ripudia).

Veniamo alla dottrina.

La dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini è condivisa, anzi glorificata, da tutta la Chiesa. Non andrò a cercare teologi moderni e difficili per dimostrarlo. Si può domandarlo a un bambino che si prepara alla Prima Comunione: "Se il padre o la madre comanda una cosa cattiva bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono alle leggi dello Stato. Fecero bene o male?". C'è chi cita a sproposito il detto di S. Pietro: "Obbedite ai vostri superiori anche se son cattivi". Infatti. Non ha nessuna importanza se chi comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni risponderà lui davanti a Dio. Ha però importanza se ci comanda cose buone o cattive perché delle nostre azioni risponderemo noi davanti a Dio. Tant'è vero che Pietro scriveva quelle sagge raccomandazioni all'obbedienza dal carcere dove era chiuso per aver solennemente disobbedito.

Il Concilio di Trento è esplicito su questo punto (Catechismo III parte, IV precetto, 16¡ paragrafo): "Se le autorità politiche comanderanno qualcosa di iniquo non sono assolutamente da ascoltare. Nello spiegare questa cosa al popolo il parroco faccia notare che premio grande e proporzionato è riservato in cielo a coloro che obbediscono a questo precetto divino" cioè di disobbedire allo Stato!

Certi cattolici di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato) ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra è l'esaltazione di cittadini che per motivo di coscienza si ribellano allo Stato. Allora anche i miei superficialissimi accusatori la pensan come me. Hanno il solo difetto di ricordarsi di quella legge eterna quando lo Stato è comunista e le vittime son cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove lo Stato si dichiara cattolico e le vittime sono comuniste.

Son cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l'arco dei cattolici che la pensano come me è completo.

Tutti sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro Tribunale essa ha eretto una basilica per onorare l'umile pescatore che ha pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e l'ordinamento vigente. S. Pietro era un "cattivo cittadino". I vostri predecessori del Tribunale di Roma non ebbero tutti i torti a condannarlo.

Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano costruito a Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir sacrifici ad ogni altare.

In una sola religione il loro profondo senso del diritto ravvisò un pericolo mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento dice: "Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che me". A quei tempi pareva dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni cristiani paressero cattivi cittadini.

Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Così va diventando ogni giorno più facile per noi esser riconosciuti buoni cittadini. Ma è per coincidenza e non per sua natura che questo avviene. Non meravigliatevi dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli uomini. Miglioriamole ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che come maestro civile sto dando una mano anch'io a migliorarle. Perché io ho fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della mia vita mi pare che abbiano progredito a vista d'occhio.

Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la pena di morte, l'assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie, il razzismo, l'inferiorità della donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi. Onorano lo sciopero, i sindacati, i partiti.

Tutto questo è un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio. Già oggi la coincidenza è così grande che normalmente un buon cristiano può passare anche l'intera vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una legge dello Stato.

Io per esempio fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo anche alla fine di questo processo. È un augurio che faccio ai patrioti. Chissà come patirebbero se potessero leggere le tante lettere che ricevo dall'estero. Da paesi che non hanno il servizio di leva o riconoscono l'obiezione. Quelli che le scrivono sono convinti di scrivere a un paese di selvaggi. Qualcuno mi domanda quanto dovrà ancora stare in prigione il povero padre Balducci.

Dicevamo dunque che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono però dei casi eccezionali nei quali vige l'antica divergenza e l'antico comandamento della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.

Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso aggiungere altre considerazioni. Cominciamo dall'obiezione di coscienza in senso stretto.

Proprio in questi giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche su questo punto specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere rispetto (respicere) per coloro i quali "o per testimoniare della mitezza cristiana, o per reverenza alla vita, o per orrore di esercitare qualsiasi violenza, ricusano per motivo di coscienza o il servizio militare o alcuni singoli atti di immane crudeltà cui conduce la guerra".

(Schema 13 paragrafo 101. Questo è il testo proposto dalla apposita Commissione la quale rispecchia tutte le correnti del Concilio. Ha quindi tutte le probabilità d'essere quello definitivo).

Quei 20 militari di Firenze han detto che l'obiettore è un vile. Io ho detto soltanto che forse è un profeta. Mi pare che i Vescovi stiano dicendo molto più di me.

Ricorderò altri tre fatti sintomatici.

Nel '18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero diventare preti, dovettero chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarità canoniche in cui potevano essere incorsi nell'obbedire ai loro ufficiali.

Nel '29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi, i preti, i vescovi dal servizio militare. Il canone 141 proibisce ai chierici di andare volontari a meno che lo facciano per sortirne prima (ut citius liberi evadant)! Chi disobbedisce è automaticamente ridotto allo stato laicale. La Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote l'attività militare presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo Stato onora con medaglie e monumenti.

E infine affrontiamo il problema più cocente delle ultime guerre e di quelle future: l'uccisione dei civili.

La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioè nel tentare di colpire un obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del Giorno un articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists, aprile 1964).

Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari (si poteva ancora sostenere che i civili erano morti "incidentalmente").

Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva più sostenere che i civili fossero morti "incidentalmente").

In quella di Corea 84% civili 16% militari (si può ormai sostenere che i militari muoiono "incidentalmente").

Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia d'oggi con l'unità di misura del megadeath (un milione di morti) cioè che le armi attuali mirano direttamente ai civili e che si salveranno forse solo i militari.

Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente (si può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare nemmeno come cuciniere. Gandhi l'aveva già capito quando ancora non si parlava di armi atomiche.

"Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra" (Non-violence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1).

A questo punto mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di guerra con termini che servivano già male per la seconda guerra mondiale. Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura perché accusandomi di apologia di reato ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non fare i nostri ragazzi domani. Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della nostra teologia e della vostra legislazione è ancora più evidente.

È noto che l'unica "difesa" possibile in una guerra di missili atomici sarà di sparare circa 20 minuti prima dell'"aggressore". Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa. Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua "difesa" spari 20 minuti dopo. Cioè che sparino i suoi sommergibili unici superstiti d'un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta non difesa.

Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma Kennedy e Krusciov (i due artefici della distensione!) si sono lanciati l'un l'altro pubblicamente minacce del genere.

"Siamo pienamente consapevoli del fatto che questa guerra, se viene scatenata, diventerà sin dalla primissima ora una guerra termonucleare e una guerra mondiale. Ciò per noi è perfettamente ovvio" (lettera di Krusciov a B. Russell, 23-10-1962).

Siamo dunque tragicamente nel reale.

Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una "guerra giusta" né per la Chiesa né per la Costituzione. A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la sopravvivenza della specie umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace). E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana?

Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.

Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l'umanità. Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima