martedì 7 luglio 2020

Per i morti di Reggio Emilia

Il 7 luglio di 60 anni fa, nel corso di una manifestazione sindacale, cinque operai reggiani furono uccisi dalle forze dell’ordine.
La strage fu l’apice di un periodo di alta tensione in tutta  l’Italia. I fatti scatenanti furono la formazione del governo Tambroni, governo monocolore  democristiano  con il determinante appoggio esterno dei neofascisti del Msi, e l’avallo della scelta di Genova (città “partigiana”, già medaglia d’oro della resistenza) come sede del congresso del partito missino. Le reazioni d’indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il paese provocò una grande mobilitazione popolare.

L’allora Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco in “situazioni di emergenza” e alla fine di quelle settimane drammatiche si contarono undici morti e centinaia di feriti. Queste drammatiche conseguenze avrebbero costretto alle dimissioni il suo governo.

La sera del 6 luglio la Cgil reggiana proclamò lo sciopero cittadino. La prefettura proibì gli assembramenti e le stesse auto del sindacato invitarono con gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare durante la manifestazione. L’unico spazio consentito, la Sala Verdi che aveva una capienza di 600 posti, era troppo piccolo per contenere i 20.000 manifestanti. Un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decise quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta.

Alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poliziotti al comando del vicequestore Giulio Cafari Panico investe la manifestazione pacifica. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dai getti d’acqua e dai lacrimogeni, i manifestanti cercano rifugio nel vicino isolato San Rocco, per poi barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole, assi di legno, tavoli del bar e rispondendo alle cariche con lancio di oggetti. Respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze dell’ordine impugnano le armi da fuoco e cominciano a sparare.
Sul selciato della piazza caddero:
Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino.
Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti.
Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a SAP, primo di sei fratelli.
Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, il quinto di otto fratelli.
Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi.

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