Il 7 luglio di 60 anni fa, nel corso di una manifestazione
sindacale, cinque operai reggiani furono uccisi dalle forze dell’ordine.
La strage fu l’apice di un periodo di alta tensione in
tutta l’Italia. I fatti
scatenanti furono la formazione del governo Tambroni, governo
monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno dei neofascisti del Msi,
e l’avallo della scelta di Genova (città “partigiana”, già medaglia
d’oro della resistenza) come sede del congresso del partito missino. Le
reazioni d’indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il
paese provocò una grande mobilitazione popolare.
L’allora Presidente del Consiglio,
Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco in “situazioni di
emergenza” e alla fine di quelle settimane drammatiche si contarono
undici morti e centinaia di feriti. Queste drammatiche conseguenze
avrebbero costretto alle dimissioni il suo governo.
La sera del 6 luglio la Cgil reggiana proclamò lo sciopero cittadino. La prefettura
proibì gli assembramenti e le stesse auto del sindacato invitarono con
gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare durante la
manifestazione. L’unico spazio consentito, la Sala Verdi che aveva una
capienza di 600 posti, era troppo piccolo per contenere i 20.000
manifestanti. Un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche
Reggiane decise quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti,
cantando canzoni di protesta.
Alle 16.45 del pomeriggio una carica di
un reparto di 350 poliziotti al comando del vicequestore Giulio Cafari
Panico investe la manifestazione pacifica. Anche i carabinieri, al
comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica.
Incalzati dalle camionette, dai getti d’acqua e dai lacrimogeni, i
manifestanti cercano rifugio nel vicino isolato San Rocco, per poi
barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole,
assi di legno, tavoli del bar e rispondendo alle cariche con lancio di
oggetti. Respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze
dell’ordine impugnano le armi da fuoco e cominciano a sparare.
Sul selciato della piazza caddero:
Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino.
Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti.
Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a SAP, primo di sei fratelli.
Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a SAP, primo di sei fratelli.
Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, il quinto di otto fratelli.
Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi.
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