sabato 28 marzo 2020

Se non ci fosse amore non ci sarebbe dolore

Amici dolci e cari di questo breve viaggio, questa epidemia non è un battaglia fra la morte e la vita. Se l’epidemia ci sconvolge, non è perché ci porta la morte. È perché ci mette davanti agli occhi qualcosa che c’è comunque, ma di solito facciamo fatica a vedere: il fatto che, comunque, siamo mortali. Ciascuno di noi vorrebbe morire più tardi possibile, e giustamente ci diamo da fare per spostare quel momento un po’ più in là. Ma l’alternativa non è fra vivere e morire: l’alternativa è fra morire un poco prima o un poco dopo.
Io non trovo questo pensiero angosciante, al contrario, lo trovo estremamente rasserenante. Per questo vorrei condividerlo per chi sente come me. La vita è breve e ci siamo attaccati perché nonostante tutto la consideriamo bellissima. Ma è bellissima nella sua brevità, da assaporare ogni momento. Senza false e confusioni e illusioni che sia infinita.
Stiamo giustamente prendendo le misure che stiamo prendendo proprio perché ogni momento di vita è prezioso: è per allungare la vita degli altri e nostra che facciamo tutto quanto possiamo. Le misure drastiche sono quindi benvenute, stiamo combattendo insieme una battaglia per cercare di curare più persone possibile, ciascuno di noi fa la sua parte, qualche volta difficile, tutti insieme. Ma stiamo regalando attimi di vita in più a ciascuno di noi. Non stiamo difendendoci dalla morte: dalla morte non ci sono difese.
Ci ha sconvolto tutti vedere una fila di camion portare di 70 bare fuori dagli ospedali Bergamo. Ma in tempi normali, senza epidemia, credete che non ci siano 70 bare che escono ogni pochi giorni dagli ospedali di Bergamo? Ci sconvolge ascoltare che in Italia sono già morte dieci mila persone uccise dall’epidemia. Ma senza l’epidemia, in tempi normali, più o meno dieci mila persone persone muoiono comunque ogni settimana o ogni quindici giorni in Italia. Sono ancora più i morti per incidenti stradali ogni anno, che i morti per l’epidemia fin qui, in Italia.
Il motivo per il quale la mortalità in Italia è più alta che in Cina non è poi così strano: il virus colpisce tutti, ma molto di più le persone anziane, e in Cina di persone anziane ce ne sono moltissime meno: la popolazione è in media molto più giovane che in Italia, dove la natalità media si è molto abbassata. In più, un italiano ha un’aspettativa di vita di sette anni più lunga di un cinese. Pensate la fortuna di essere italiani: ciascuno di noi, in media, ha sette anni di vita in più. Sette anni di preziosa vita in più. L’epidemia sta rosicchiando via un poco di questo margine di privilegio.
La vita non è statistica: ogni persona cara che ci lascia è un dolore. Ogni persona che parte è un dolore per qualcuno. Ma questo dolore c’è sempre comunque: è parte della vita, non possiamo evitarlo. E anche il dolore della perdita è buono: perché è il segno dell’amore che ci lega gli uni agli altri. Se non ci fosse amore non ci sarebbe dolore. Questa epidemia non è la morte che arriva: è solo la morte che c’è sempre stata, e si fa vedere un po’ più del solito. Combattiamola con tutte le nostre forze, ma senza terrori, perché la vita è preziosa e stiamo solo dandoci da fare per averne tutti un po’ di più.
Carlo Rovelli

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