A funerali avvenuti, ieri ci è giunta la notizia della scomparsa il 17 gennaio a quasi 91 anni del filosofo Emanuele Severino. 
   
  
    Originale e controintuitivo, il suo pensiero ha saputo costantemente
 confrontarsi con la necessità per l’intellettuale dell’impegno etico e 
civile, in un approccio 
sempre laico alla conoscenza. 
  
 
  
    Nelle sue numerosissime opere, lezioni e conferenze tenute in tutto 
il mondo, Severino ha sviluppato una approfondita riflessione sulle 
principali tematiche filosofiche, 
concentrandosi in particolare sul problema del divenire e della morte. In una intervista al "Corriere della Sera" il 30 dicembre 2018 dichiarava:
Noi siamo Re che si credono Mendicanti. Non metto in discussione solo il
 Cristianesimo, ma tutta la civiltà occidentale e la sua filosofia, 
secondo la quale noi veniamo dal nulla e finiamo nel nulla. Questa è 
l'essenza del nichilismo. No, ognuno di noi è un dio con la convinzione di essere contingenza, ombra di un sogno. L’uomo è una povera cosa: lo dice Pindaro, lo dicono Shakespeare, Leopardi, è il clima creato da Bertolt Brecht.
 In realtà siamo l’eterno apparire del destino. I nostri morti ci 
attendono come le stelle del cielo attendono che passino la notte e la 
nostra incapacità di vederle se non al buio. Siamo destinati a una Gioia
 più intensa di quella che le religioni e le sapienze di questo mondo 
promettono. Il mendicante è il nostro essere convinti, per esempio, che 
io stia farneticando, perché le cose reali sono questo mondo, l'Europa, 
l'Italia, i rapporti economici, giuridici, sessuali. Mentre il fondo 
dell'uomo consiste nella sua permanenza assoluta. Con la morte noi 
superiamo lo stato di mendicità: la morte ci consente di oltrepassare il
 senso del nulla.
 
 
 
 

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