Fautore anche di ciclopiche, per il suo tempo,
opere di bonifica agraria e idraulica, Bianchi era nato a Calcinato nel 1878 da
un negoziante e da una maestra, frequentando sin dall’infanzia i proletari che
si spaccavano la schiena nel duro lavoro dei campi. Laureatosi in agraria a
Pisa a 22 anni, poco dopo divenne direttore della neonata cattedra ambulante di
agricoltura nella provincia di Brescia. Contemporaneamente fu per oltre 10 anni
consigliere comunale di Calcinato dai banchi dell´opposizione socialista, offrendo
sempre alla maggioranza liberale puntuali proposte riformatrici.
Sorretto da un rigoroso metodo scientifico, il
suo approccio ai problemi dell’agricoltura è considerato ancor oggi assai
moderno. Quando dopo la Grande Guerra migliaia di contadini tornarono dal
fronte, persuase i Comuni ad avviare opere pubbliche per ammortizzare la
disoccupazione e creare nuovi posti di lavoro. Nel biennio rosso fu prezioso
elemento di mediazione, pur dando voce ad alcune istanze storiche del movimento
contadino. Per la prima volta in Italia, nel patto colonico provinciale del
1919, riuscì a far introdurre la clausola dell´imponibile di manodopera, ossia
il vincolo di una quota predeterminata di lavoratori assegnati ad ogni fondo.
Questo, che avrebbe potuto sembrare un aumento dei costi per le aziende, si
rivelò invece un formidabile incentivo all’incremento della produttività. Consulente del ministero dell´agricoltura in vertenze a Ferrara e Reggio Emilia, siglò il citato lodò Bianchi, poi cancellato dal fascismo che lo perseguitò duramente per le sue idee politiche: sospeso dal ruolo di direttore della cattedra ambulante, fu licenziato, incarcerato e inviato al confino a Nuoro, in Sardegna. Reintegrato nei suoi diritti civili nel 1928, morì a Milano nel 1935, dopo aver ottenuto la Cattedra di Economia della bonifica al Politecnico.
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