Si
accumulano segnali e analisi, anche autorevoli, che lanciano l’allarme
che il rischio dell’uso delle armi nucleari, o di una vera guerra
nucleare, sta aumentando in modo sempre più minaccioso. Non sembra che
in Italia il grosso dell’opinione pubblica percepisca questa minaccia
(che peraltro gli organi di dis-informazione occultano), distratto da
beghe nazionali o fobie securitarie o negazioniste. Assai più grave il
fatto che sembra che la variegata, e spesso divisa, galassia pacifista
non riesca a trovare le forme e i canali idonei, per trasmettere
informazioni adeguate su questo rischio, tali da mobilitare le persone.
Oggi potrebbe presentarsi una grande opportunità, se ci unissimo davvero tutti e fossimo capaci di coglierla.
La
piattaforma e appello della giornata di mobilitazione internazionale
per la pace, indetta il 25 gennaio in molte città italiane da un
ampissimo gruppo di organizzazioni, rispondendo alla proposta del Global Day of Protest No War on Iran
promosso dal movimento pacifista statunitense contro la guerra,
comprendeva un obiettivo specifico: «Chiediamo al governo italiano di
aderire al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari
eliminandole dalle basi in Italia».
È
la prima volta che una piattaforma comune a una serie di manifestazioni
nazionali evidenzia in modo inequivocabile unitario la richiesta che
l’Italia firmi il Trattato. E la prima volta che questa richiesta unisce
la miriade di comitati e organizzazioni pacifiste con le confederazioni
sindacali Cgil-Cisl-Uil, le quali nel mese di settembre 2019 avevano
inviato una lettera al presidente del consiglio e al ministro degli
esteri per chiedere «la firma del Trattato di messa al bando delle armi
nucleari – Tpnw – adottato alle Nazioni Unite da 122 Stati il 7 luglio
2017 alle Nazioni unite».
Per entrare in vigore, il trattato – il primo accordo internazionale vincolante che proibisce il possesso, l’uso, e
anche la minaccia delle armi nucleari, con l’obiettivo di procedere
alla loro totale eliminazione – richiede la ratifica di almeno 50 Stati.
Finora ha ottenuto 80 firme e solo 35 ratifiche, ma i segnali di
progresso sono promettenti: entro l’anno probabilmente il Tpnw dovrebbe
entrare ufficialmente a far parte del diritto internazionale.
Dei
57 Stati membri dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa), finora solo sei hanno firmato il trattato:
Austria, Vaticano, Irlanda, Kazakhstan, Lichtenstein e San Marino, ma
come si vede vi sono Stati importanti, e l’Italia ne è letteralmente
accerchiata (la Svizzera non fa il pesce in barile come noi, c’è un
dibattito trasparente, sta prendendo in modo serio in esame il trattato
per prendere una decisione). Lo scorso mese di luglio, riunita per l’incontro annuale, l’Assemblea parlamentare dell’OSCE (Osce Pa) ha adottato la Dichiarazione di Lussemburgo Advancing Sustainable Development to Promote Security: The Role of Parliaments,
e ha rivolto ai paesi membri un appello alla firma del trattato. La
decisione, pur non vincolante per i paesi membri dell’Osce, ha sorpreso
molti, perché in passato i parlamentari avevano sempre respinto a grande
maggioranza le proposte di firma del trattato.
Il
16 gennaio scorso il Parlamento belga – primo paese della Nato – per un
pugno di voti (74 a 66) ha respinto, malgrado il voto a favore di
socialisti, verdi, centristi e partito dei lavoratori, una risoluzione
per la rimozione delle armi nucleari presenti nel paese e per la firma
del Tpnw.
E
in Italia, che fa il governo «del cambiamento»? Gran parte
dell’opinione pubblica ignora non solo il Tpnw, ma perfino la presenza
di decine di testate nucleari sul nostro territorio.
Il contesto è di estrema urgenza, più di quanto l’opinione pubblica (del resto gravemente disinformata) possa pensare.
Purtroppo i mezzi di (dis)informazione hanno pressoché ignorato anche l’allarme che l’autorevole Bullein of the Atomic Scientists lancia dal 1947 con il messaggio esplicitodel Doomsday Clock, l’orologio simbolico le cui lancette riportano la valutazione della prossimità alla Mezzanotte
dell’Apocalisse: 10 giorni fa, il 23 gennaio, ha aggiornato la
previsione per il 2020 avvicinando le lancette alla distanza da brivido
di appena 100 secondi dalla Mezzanotte
(da due anni era avvicinato a 2 minuti). La prossimità del pianeta alla
catastrofe si misura in secondi, ormai, benché il mondo appaia
distratto. I due pericoli sono gli armamenti nucleari e il cambiamento
climatico.
Pericoli
non disgiunti: si moltiplicano gli allarmi autorevoli che lo stress
provocato dall’aumento della temperatura terrestre possa aggravare il
rischio di conflitti mortali per le risorse critiche, mentre si
moltiplicano le analisi autorevoli che le nuove tecnologie,
nell’ubricatura che affidarsi ad esse eviti l’errore umano, renda invece
sempre più possibile lo scoppio di una guerra nucleare incontrollata.
Sul primo aspetto, più di due anni fa l’autorevole associazione britannica Scientists for Global Responsibility
denunciava come il cambiamento climatico aggravi i potenziali conflitti
per la terra, l’acqua, le scorte di cibo, tutte le risorse, e incentivi
le migrazioni, e tutto questo possa aggravare il pericolo di ricorso
alle armi nucleari. Il riferimento esplicito era il Pakistan,
dove piogge monsoniche e onde di calore estreme minacciano gravi
inondazioni, mancanza d’acqua, carestie, con con il rischio di una
«disgregazione politica [che] porti estremisti a prendere il controllo
delle armi nucleari». E qui potrebbero esasperarsi le storiche tensioni
con l’India, più volte sfociate un scontri militari, che con il
tutt’altro che remoto sopravvento di gruppi estremisti potrebbe
degenerare in uno scontro nucleare. Il quale, oltre tutto, accelererebbe a sua volta lo sconvolgimento del clima: sono molte le simulazioni che prevedono che l’inverno nucleare
che seguirebbe un conflitto nucleare regionale fra India e Pakistan
(che possiedono circa 130 testate a testa) potrebbe causare
successivamente, oltre a gravissime carestie, un raffreddamento di 1 oC, mentre fra Usa e Russia l’innalzamento potrebbe arrivare a 5 oC, e una guerra nucleare globale a 8 oC.
Una guerra nucleare, anche se di dimensioni regionali, sarebbe in grado
di causare nel giro di pochissimi anni la catastrofe climatica che
avverrebbe invece in decenni o secoli in mancanza di provvedimenti
drastici.
Recentemente un articolo sulla rivista statunitense progressista The Nation riprende in dettaglio il problema che l’aumento della temperatura globale può accrescere il rischio di una guerra nucleare.
«Gli stress e le controversie sulle risorse legate al clima
accrescerebbero il livello di conflittualità globale e il rischio di escalation nucleare: la corsa alle armi nucleari avvelenerebbe le relazioni fra gli stati e renderebbeimpossibile
la transizione energetica. Gli alti ufficiali statunitensi riconoscono
che lo sconvolgimento climatico è già in atto [a differenza di Trump,
potremmo dire], e programmano misure eccezionali per evitare una spirale
verso una guerra nucleare. Uno scenario particolarmente preoccupante è
che una siccità estrema e piogge monsoniche anormali devastino
l’agricoltura e scatenino il caos sociale in Pakistan, aprendo
potenzialmente la porta a islamisti radicali legati a
d
elementi delle forze armate per impadronirsi di qualcuna
delle circa 150 bombe nucleari. Per scongiurare questo sviluppo
potenzialmente catastrofico lo US Joint Special Operations Command
ha condotto esercitazioni per infiltrarsi in Pakistan e localizzare le
armi nucleari del paese. … Un tale attacco degli Stati Uniti sarebbe un
atto di guerra e comporterebbe enormi rischi di escalation,
specialmente perché l’esercito pakistano – l’istituzione più potente del
paese considera l’arsenale nucleare come il possesso più prezioso e
resisterebbe accanitamente a qualsiasi tentativo degli Usa per
disattivarlo. … Una potenziale incursione statunitense nel Pakistan
dotato di armi nucleari è solo un esempio di un aspetto cruciale ma poco
discusso della politica internazionale dell’inizio del 21o
secolo: come l’accelerazione del cambio climatico e la pianificazione di
una guerra nucleare possano rendere più ardue disinnescare queste
minacce alla sopravvivenza umana. Attualmente l’intersezione fra cambio
climatico e guerra nucleare può non apparire ovvia, ma forze formidabili stanno spingendo entrambe queste minacce verso i loro esiti più devastanti.»
Occorre dire altro sull’urgenza estrema di eliminare le armi nucleari, per sempre, dal Pianeta?
Per
di più, numerosi allarmi autorevoli denunciano che l’esasperata
intensificazione delle innovazioni tecnologiche, nell’illusione fallace
che la tecnologia sia infallibile a differenza del controllo umano,
aggravi invece per le armi nucleari (ma non solo) i rischi di un loro
uso inappropriato. Sulla rete c’è solo l’imbarazzo della scelta fra
innumerevoli analisi e denunce autorevoli: anche se occorre
evidentemente tenere conto che la corsa all’innovazione tecnologica è,
ed è sempre stata, funzionale in primo luogo ai colossali interessi del
complesso militare industriale, e il pretesto della “sicurezza” è solo
una copertura per guadagnarsi il consenso dell’opinione pubblica (al
pari delle spese in armamenti, che non ci rendono affatto più, ma meno sicuri). Intelligenza artificiale, cyber war, armi autonome, 5G, aumenteranno enormemente i nostri rischi.
Fra
tutte le analisi citiamo solo, perché è la più recente e viene da una
fonte direttamente impegnata per l’eliminazione delle armi nucleari,
l’informativa di ICAN: «Nel campo delle armi nucleari queste tecnologie [emergenti nel campo della cyber war, intelligenza artificiale e tecnologie autonome offensive]
aggiungono un altro livello di rischio a un livello già inaccettabile
di rischi di uso delle armi nucleari. Misure di mitigazione non sono una
risposta adeguata … Per esempio, non c’è modo di schermare
completamente qualsiasi sistema da un attacco informatico [cyber attack] … Solo
la condanna, il divieto e l’eliminazione delle armi nucleari possono
rispondere pienamente sia ai nuovi che ai vecchi rischi delle armi
nucleari e garantire che esse non verranno mai usate [corsivo nostro]».
È
opportuno aggiungere ancora che l’Italia, nella sua condizione attuale,
è soggetta a ulteriori rischi che riguardano le armi nucleari, con
ovvie conseguenze per la popolazione (ignara!).
Da
un lato il 2018 si era chiuso con l’allarmante notizia che gli Stati
Uniti potrebbero avere l’intenzione di spostare 50 testate nucleari
attualmente schierate nell’ormai infida Turchia, dove? Elementare
Watson, in Italia, nella base statunitense di Aviano!
C’è
di più. Trump ha disdetto lo scorso anno lo storico Trattato INF che
nel 1987 aveva eliminato le testate nucleari montate su missili a raggio
intermedio (50-500 km). Nel Far West nucleare che si è aperto da anni
con il metodico smantellamento del regime internazionale di non
proliferazione, la cancellazione del Trattato INF aprirebbe anche la
possibilità che in Italia, oltre alla settatina do bombe termonucleari a
caduta attualmente presenti, possano venire schierati in futuro anche
missili nucleari a raggio intermedio (Mosca dista meno di 3.000 km).
La
subalternità di tutti i governi italiani alle imposizioni di Washington
non incoraggia certo la prospettiva di firma e ratifica del Tpnw, ma
questa è una ragione ancora più decisiva: solo l’adesione al trattato è
in grado di mettere l’Italia definitivamente al riparo da soprusi
nucleari che mettono gravemente a repentaglio la sicurezza degli
italiani! Il Parlamento abbia un sussulto di orgoglio; un giorno da
leone dopo tanti anni da pecora!
Questa è la situazione, non esistono scorciatoie! Questa è l’ora.
Tutti,
uniti, al di là delle legittime specificità, dobbiamo cogliere questa
occasione dell’appello delle mobilitazioni del 25 gennaio, «Chiediamo al governo italiano di aderire al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari eliminandole dalle basi in Italia».
Uniamo gli sforzi in una campagna per la sopravvivenza,
tutto il movimento ecopacifista e sindacale italiano faccia uno sforzo
di unità per una rivendicazione urgente: il governo dimostri
indipendenza e firmi e ratifichi il Trattato.
Occorre
una vera campagna, alla stregua di Ican. Noi non intendiamo anteporre
proposte, che devono scaturire dal contributo di tutti, con il concorso e
il coinvolgimento attivo dei cittadini. Citiamo solo, per non tirarci
indietro, alcune possibili idee: costituire un gruppo di lavoro unitario
nazionale; chiedere ufficialmente un incontro urgente ai presidenti del
consiglio, della repubblica, delle camere; indire un’autorevole
conferenza stampa unitaria per annunciare l’iniziativa, alla quale
nessuno deve poter sottrarsi; attivare le amministrazioni locali perché
si uniscano a questa richiesta, diffondendo l’informazione a tutti i
cittadini; richiedere con forza di poter fare interventi nelle scuole e
nelle università per informare adeguatamente i giovani.
È
l’ora di dimostrare che esiste davvero un fronte unitario che esige la
ratifica del Trattato di Proibizione e l’eliminazione delle testate
nucleari sul nostro suolo! Siamo fermamente convinti che gli italiani lo
vogliono!
Angelo Baracca, Marinella Correggia, Giovanna Pagani
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