Chi vive di un magro stipendio, con venti euro riesce a mettere
insieme il pranzo con la cena. Per chi invece non ha ristrettezze
economiche venti euro non fanno la differenza.
Lo scriveva già Luigi Pintor quando nel 1997 il manifesto
uscì a cinquanta mila lire, che per molti «bastano a vivere una
settimana», per altri «ad accendere il sigaro». Probabilmente per
buona parte delle lettrici e dei lettori che ci seguono, da una vita
o da pochi anni, venti euro fanno, eccome, la differenza.
Ma adesso vi chiediamo di prendere una decisione, di fare un salto
con l’asta insieme a noi per riacquistare la testata quando, a fine
anno, i liquidatori la metteranno all’asta. Si tratta di scegliere
se il manifesto deve vivere, se il giornale è un’agorà da
difendere perché ci si riconosce, perché interessante, perché
stimola l’intelligenza individuale e collettiva, perché produce
cultura, perché è diverso dal resto dell’informazione. E perché —
e per alcuni soprattutto — è un giornale utile per una sinistra che
ha bisogno di ritrovare la strada per unire le forze e dare battaglia.
Nel breve e nel lungo tempo. E non solo contro il governo, ma per un’altra idea di società, di mondo.
Se la risposta è sì, allora è utile ricordare che il «mercato»
(qualcuno sarà mai perseguito per il «reato» di apologia di
mercato?) non solo non tirerà l’Italia e l’Europa fuori dai guai, ma
non basterà (come sempre) a garantire la vita di un’impresa
editoriale come questa.
Perché il manifesto non solo non ha un editore alle
spalle, né un partito o un imprenditore: non ha neppure una base
sufficiente di pubblicità che, insieme alle vendite, è l’unica
altra voce d’incasso di una cooperativa come la nostra. L’editore
siete voi, le lettrici e i lettori più assidui insieme a quelli
saltuari. Vostre le gambe che ogni giorno camminano per rinnovare
un impegno, offrendo a noi stessi e alla sinistra un luogo pubblico
di confronto. Senza questa rete il manifesto non esisterebbe più da gran tempo.
Le difficoltà economiche che conoscete sono rese più
difficili adesso perché mai in passato ci siamo trovati di fronte
a un progressivo azzeramento dei fondi dell’editoria. Senza le
spalle coperte da qualcuno, senza fondi pubblici, con la pubblicità
in picchiata, un quotidiano potrebbe vivere solo con un prezzo di
copertina maggiorato. Non da arrivare fino ai venti euro che vi
chiediamo oggi, ma certamente con un prezzo doppio o triplo
rispetto all’attuale.
Poi si può anche sostenere che i giornali è meglio chiuderli (vedi Liberazione, l’Unità, Europa, Padania, Pubblico, il Riformista
e decine di testate locali), che è bene lasciare in edicola solo
quelli che hanno imprenditori e finanzieri nei consigli di
amministrazione, insieme ai blog dei milionari.
Naturalmente noi pensiamo che senza una libera stampa non c’è
democrazia (né antica, né moderna). E abbiamo la presunzione di
credere che senza il manifesto una sinistra unitaria di alternativa non avrebbe molte chance, così come i movimenti di lotta non avrebbero quella visibilità che un quotidiano nazionale può offrire.
Questa è la situazione. Che, per fortuna, non è contrassegnata solo da brutte notizie. Ce n’è anche una buona: il manifesto,
nel mese di settembre, è l’unico quotidiano ad aver aumentato le
vendite. Un segnale di fiducia e di attenzione nei nostri confronti,
che cerchiamo di ricambiare ogni giorno, mettendo testa e cuore nel
lavoro che facciamo.
E che vale — ogni tanto — venti euro.
Norma Rangeri, il manifesto, 12 novembre 2014
Norma Rangeri, il manifesto, 12 novembre 2014
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