sabato 3 aprile 2021

Una sentenza della Corte costituzionale a tutela dei diritti dei lavoratori

Nell'assordante silenzio di tivù, stampa e parlamento, un primo incoraggiante segnale a tutela dei diritti dei lavoratori giunge dalla Corte costituzionale che, in una sentenza emessa l'altrieri, ha cancellato la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, introdotta nel 2012 dal governo Monti, quello dei cosiddetti “tecnici” dalle preconfezionate soluzioni capitalistiche imposte martellando mediaticamente l’opinione pubblica.
La Corte dichiara ora la incostituzionalità dell’articolo 18 nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato “motivo oggettivo” possa, ma non debba applicare, la tutela reintegratoria.
Richiamando l’articolo 3 della Costituzione, giudica questa norma lesiva del principio di eguaglianza rispetto ad altri casi, come il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, in cui, se il fatto è manifestamente insussistente, permane l’obbligo della reintegrazione.
In particolare, la Corte Costituzionale impone che, nel caso di licenziamento per giustificato motivo manifestamente insussistente”, il giudice “deve” ordinare la reintegrazione mentre la norma prevedeva un “può“, rendendola facoltativa per i giudici. Insomma non si potrà utilizzare un “motivo oggettivo” inesistente per giustificare licenziamenti collettivi.
Molta strada è ancora da fare; ad esempio, per gli assunti dopo il 7 luglio 2015 non c'è il diritto alla reintegrazione in tutti i casi, per i licenziamenti sia individuali che collettivi per effetto del Jobs Act. 
Occorre quindi proseguire la lotta per reintrodurre integralmente il testo originario dell'articolo 18, il quale disponeva che l’onere della prova fosse a carico del datore di lavoro, ed estenderlo a tutti i lavoratori.

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