giovedì 16 ottobre 2014

Dalla parte del lavoro

La legge delega sul lavoro, il cosiddetto Jobs Act, è stata approvato dal Parlamento che ne ha votato soltanto i principi generali, lasciando poi al governo mano libera nel definire le norme concrete.
Nonostante la propaganda televisiva del governo, il Jobs Act non serve affatto a tutelare i precari che oggi hanno meno diritti, ma a ridurre i pochi diritti di chi oggi ha un posto di lavoro a tempo indeterminato, tagliando ancora il sistema di ammortizzatori sociali, manomettendo lo Statuto dei Lavoratori e cancellando quel che resta dell'articolo 18, i cui pesanti tagli della Fornero già hanno dimostrato nel 2012 di non essere in grado di creare mezzo posto di lavoro in più!
Anche rispetto alla riorganizzazione degli ammortizzatori sociali, il disegno di legge non serve a dare più tutele a quei precari che oggi non le hanno. Anche questa considerazione fu utilizzata già dalla Fornero nella sua riforma: fu il pretesto per tagliare dal 2017 la mobilità a tutti. La conclusione - oggi come allora - è che
in caso di crisi e disoccupazione involontaria ci saranno meno tutele per tutti.
Insomma, uniformare il mondo del lavoro, sì, ma al ribasso!
Non è un caso che il Jobs Act sia stato presentato dal ministro del Lavoro Poletti, che da presidente delle cooperative, ha di fatto sperimentato da tempo tutte le forme di precarietà e bassi salari. E non è un caso che le forze di destra stiano dando il loro più totale consenso alla accelerazione di Renzi.
Qualunque governo che voglia tutelare i precari, non ha che da estendere loro lo Statuto dei Lavoratori, gli ammortizzatori sociali e i diritti di cui dovrebbero godere tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Così come, qualunque governo voglia affrontare il tema dell'occupazione e della crescita del paese riduca l'orario di lavoro e l'età pensionabile!

Ecco le misure più pericolose contenute nel disegno di legge.

Articolo 18 e Statuto dei Lavoratori

1 “Previsione per le nuove assunzioni del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio”. Con questa misura – che non è in via sperimentale ma a regime da subito - il Jobs Act distrugge quel che resta dell’articolo 18, già ampiamente manomesso dalla legge Fornero. Oggi l’articolo 18 prevede il reintegro del lavoratore licenziato soltanto nel caso di licenziamento discriminatorio e laddove il giudice verifichi che di un licenziamento disciplinare non
sussista il fatto (caso assai difficile da dimostrare). Nei licenziamenti economici (soppressione della mansione) e in gran parte di quelli disciplinari al lavoratore già oggi non resta che il risarcimento economico. Il Jobs act vuole eliminare del tutto il reintegro. Con il contratto a tutele crescenti, anche nel caso di assunzione a tempo indeterminato, entro i primi anni potrai essere licenziato in qualsiasi momento con un indennizzo proporzionato all’anzianità di servizio, senza quindi il reintegro. E la tutela del reintegro sembra essere esclusa anche alla fine del periodo, visto che il
testo - non a caso - non ne parla in modo esplicito;
2 “Individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, anche in funzione di eventuali interventi di semplificazione delle medesime”. Scritto così, non è affatto scontato, come si vuole invece far credere, che il contratto a tutele crescenti sostituisca tutte le altre forme di lavoro precario e a termine. E' già difficile che vengano cancellate quelle di fatto meno utilizzate. Del tutto illusorio pensare che venga abrogato il tempo determinato, il contratto di somministrazione e la para-subordinazione, soltanto per citare quelli di fatto più utilizzati;
3 “Revisione della disciplina dei controlli a distanza” (articolo 4 dello Statuto). Oggi il controllo dei lavoratori a distanza tramite videocamere o altri sistemi elettronici è vietato. Il Jobs Act vuole abolire o comunque indebolire questa norma, sarà così possibile ai datori di lavoro di spiare a distanza i lavoratori, con evidenti ricadute disciplinari;
4 “Revisione della disciplina delle mansioni” (articolo 13 dello Statuto). Con questa norma si vuole permettere al datore di lavoro di demansionare un lavoratore - con la relativa riduzione di salario - in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale. Ti diranno che se non vuoi perdere il posto di lavoro, devi essere disponibile a ridurre il tuo salario e la tua professionalità;
5 Introduzione in via sperimentale del “compenso orario minimo per il lavoro subordinato e le collaborazioni coordinate e continuative”. Questa potrebbe in linea teorica essere una misura positiva, se non fosse che si chiarisce subito che sarà soltanto per quei settori dove non ci sono contratti nazionali e quindi di fatto del tutto scollegato da questi. Anzi, rischia di essere uno straumento per scardinare definitavamente i contratti nazionali;
6 “Possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio” (tramite i voucher, che oggi sono previsti per colf, baby sitter etc) “per le attività lavorative discontinue e occasionali in tutti i settori”, ampliando quindi la possibilità di lavorare senza diritti né pagamento dei contributi.

Cassa integrazione

1 “Impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa”. Già ora, dopo la riforma Fornero, è molto complicato ottenere la cassa integrazione nei casi in cui l'azienda sia cessata o fallita. Con il Jobs act sarà semplicemente impossibile e a quei lavoratori non resterà che l'indennità di disoccupazione;
2 “Semplificazione delle procedure burocratiche, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati di concessione”: significa, per esempio, possibilità di superare le procedure obbigatorie di consultazione sindacale quando l'azienda debba far ricorso agli ammortizzatori sociali;
3 “Necessità di regolare l’accesso alla cassa integrazione solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro”: significa che prima di attivare la cassa integrazione, l'azienda può utilizzare tutte le ferie, i permessi, la banca ore che dovrebbero essere invece a disposizione del lavoratore e della lavoratrice;
4 “Revisione dei limiti di durata, rapportati ai singoli lavoratori ed alle ore complessivamente lavorabili in un periodo di tempo prolungato”: significa che la cassa integrazione, così come l'Aspi(la nuova indennità di disoccupazione introdotta dalla Fornero), avranno durata variabile, dipendente dall'anzianità di servizio dei singoli lavoratori. Si passa da una logica di tutela collettiva e universale a una tutele sempre più individuale;
5 “Riduzione degli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo”: significa che l'indennità sarà diversa - non soltanto a seconda di ogni lavoratore - ma anche per ogni settore, con il rischio che siano penalizzati proprio quei settori che hanno avuto più bisogno di cassa integrazione;

Indennità di disoccupazione

1 “Rimodulazione dell'aspi con omogeneizzazione della disciplina ai trattamenti brevi,
rapportando la durata alla pregressa storia contributiva del lavoratore”: significa che la Aspi sarà diversa per ogni lavoratore a seconda dei contributi versati;
2 “Incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti”: è un prolungamento dell'Aspi ma soltanto per quelli che hanno una lunga anzianità di servizio... forse gli esodati!
3 “Estensione dell'Aspi ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (…) con un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite”: significa che la possibilità di estendere l'indennità di disoccupazione ai para-subordinati, tanto propagandata, è in realtà vincolata alle risorse che verranno stanziate, quindi tutta da verificare!
4 “Introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa”: l'importo della Aspi varierà a seconda della contribuzione figurativa, quindi sarà minore per quei lavoratori e quelle lavoratrici che hanno periodi più lunghi di ammortizzatori sociali alle spalle. Se non verrà specificato diversamente, questa norma sarà penalizzante anche per i periodi di maternità e congedo parentale, quindi in larga misura per le donne;
5 “Eventuale introduzione, dopo la fruizione dell'aspi, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti”. Non è un reddito minimo di cittadinanza, perchè spetterebbe soltanto a chi ha perso il lavoro e in ogni modo viene chiarito che questa norma verrà sperimentata soltanto se ci saranno risorse sufficienti;
6 “Eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale”;
7 “Individuazione di meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo del soggetto
beneficiario dei trattamenti di cassa integrazione e disoccupazione, al fine di favorirne l’attività a beneficio delle comunità locali”: significa introdurre l'obbligo ai lavori socialmente utili anche nel caso di cassa integrazione e disoccupazione.

Di fronte a questo attacco serve una mobilitazione più ampia possibile e la ricostruzione di un nuovo ciclo di lotte e di conflitto. Va promossa una campagna nei luoghi di lavoro per discutere la necessità di una pronta mobilitazione fino a arrivare a un vero sciopero generale. Il tempo delle esitazioni deve finire. Non possiamo più permetterci di attendere inutili incontri con padroni e governo. Partecipiamo numerosi alla manifestazione nazionale di sabato 25 ottobre a Roma!

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