lunedì 30 agosto 2021

Venti giorni in bici da Calcinato a Finisterre

Da Calcinato a Finisterre in mountain bike: 2352 km in venti giorni. E’ l’impresa in solitaria di Giacomo Girelloni, commerciante di 63 anni, che ha dedicato le sue ferie estive a questo impegnativo itinerario.
L’uomo non è nuovo a imprese del genere. “Anni fa – ricorda – una mattina mi son svegliato presto e sono andato ad Assisi in bici. Un’altra volta ho fatto tutta una tirata con un gruppo di ciclisti da Bergamo a Roma. Nel 2017 la Via Francigena, percorsa tutta, dal Gran San Bernardo fino alla capitale, insieme a un amico”. 
“Stavolta volevo partire molto prima, ma ho dovuto aspettare la seconda dose del vaccino antiCovid” racconta. “Fra l’altro mi ero ripromesso di allenarmi seriamente, ma a luglio il training è saltato spesso per i frequenti impegni di lavoro”.
“Avevo visto il film 'Il cammino per Santiago' di Emilio Estevez” spiega. “Entusiasmato da quella storia, avevo in testa di arrivare anch’io fino alla celebre località galiziana, spinto non tanto da motivazioni turistiche o devozionali, quanto piuttosto da una sfida personale”. 
“Scaricati dal web i percorsi e preparato il viaggio nei dettagli, sono giunto per strade secondarie - attraverso la riviera ligure, la Provenza e i Pirenei - fino a Saint-Jean-Pied-de-Port, in Aquitania. Da lì ho fatto tutta la ‘via francese’ per altri 800 km, fino a Santiago de Compostela, e poi in un'ultima giornata il tratto sino a Finisterre”.
Dalle 8 alle 10 ore in sella ogni giorno, una media quotidiana di quasi 120 km, con punte di 160. Non è come dirlo. “Ma quasi non me ne sono accorto” si schermisce. “Non posso dire di aver sofferto la fatica, non pensavo di avere una reazione così serena. Ho fatto quasi sempre strade poco battute ma asfaltate, i pochi pezzi di sterrata erano pieni di pietre. Decine di chilometri senza incontrare nessuno, ore e ore su e giù, in mezzo alla natura: boschi, prati, colline e clivi. Una esperienza di completa immersione in me stesso, rigenerante, con rarissimi incontri, sia per la via che negli alberghetti dove pernottavo giusto il tempo per una doccia, una cena e un sonno ristoratori”.
Al collo la conchiglia del pellegrino, Giacomo ha sempre tenuto il ritmo prefissato e giunto a Finisterre, dopo un’occhiata all’Atlantico – “c’era troppa gente, un vento insopportabile” – ha spedito la bici a casa con il corriere ed è ritornato in Italia in aereo.
Pochissime le parole scambiate con i pellegrini sul cammino. Piuttosto ammiravo i paesaggi sempre cangianti, con villaggi pittoreschi come Cebreiro, che m’è rimasto nel cuore. In Francia e in Spagna ho sempre pedalato con il vento contro: faceva girare le pale eoliche, e non solo. Santiago la sera in cui ci arrivai era gremita da migliaia di giovani un po’ da tutto il mondo”.
Che cosa resta di questa impresa? “Un reportage fotografico che gli amici si rimbalzano sui display dei loro telefoni, le canzoncine di Paolo Conte che fischiettavo per scacciare la fatica, la bellezza di alcuni tratti di strada dai quali poco prima era passato il Tour de France”. 
“Se l’ho fatta io, possono farla tutti” conclude l’ardito ciclista. “Ma ci si deve strutturare mentalmente, allontanando la tentazione di abbandonare ai primi ostacoli. Consiglio di farla a chi per un po’ di tempo desideri starsene da solo con i propri pensieri”.

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