lunedì 18 settembre 2017
C'era...
C’era la vite in verdi filari
e dentro, nascosto, il nido di averla;
c’era il gelso dalle tenere foglie,
unico cibo del baco da seta,
e nel suo cuore il nido di upupa;
c’era il platano dal tronco liscio
con la cesena in capo nascosta;
c’era il prato multicolore
dal quale, sul far del mattino,
garrula si levava l’allodola;
c’era la siepe perennemente abitata
da saltabeccanti scriccioli, pettirossi,
cinciallegre, passeri e merli;
c’era la polla d’acqua sorgiva
dove, spinto dall’estiva calura,
si ristorava il contadino assetato;
c’era il rivo ombreggiato e sinuoso
ove si tuffavano i molti ranocchi
al passaggio di invadenti presenze;
c’era lo stagno ricco da sempre
di molteplici forme di vita;
c’era la capezzagna e c’era il dugale
percorsi e abitati da lucertole, bisce,
ramarri, chiocciole e lumache;
c’era l’inverno e c’era la primavera,
c’era l’estate e c’era l’autunno,
che ritornavano ciclicamente
nel gioco perenne, scandito dal tempo,
di freddo e di caldo
di luce e di buio
di vita e di morte
di gioia e di dolore
di lavoro e di riposo.
C’era…
Ora l’uomo è rimasto,
solo con la propria follia,
egoista, sordo e cieco,
ignaro del proprio destino
e, nell’ora del tramonto,
non s’avvede di essere diventato
l’implacabile cancro del mondo.
Fulvio Rosa (Acquafredda)
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