martedì 1 dicembre 2009

OBAMA, NON UCCIDERE LA NOSTRA SPERANZA






Michael Moore

LETTERA A OBAMA

Non uccidere la nostra speranza

Caro Presidente Obama, vuole davvero essere il nuovo «presidente di guerra»? Se andrà a West Point ad annunciare che aumenterà le truppe in Afghanistan invece di ridurle, lei sarà il nuovo presidente di guerra. Puramente e semplicemente. E con questo lei avrà fatto la cosa peggiore che potesse fare: distruggere i sogni e le speranze che tanti milioni di persone avevano riposto in lei. Con un solo discorso, domani, lei trasformerà una moltitudine di giovani che erano stati la spina dorsale della sua campagna elettorale in cinici disillusi. Insegnerà loro che quello che hanno sempre sentito dire è vero - che i politici sono tutti uguali. Semplicemente, non posso credere che lei stia per fare quello che si dice farà. Per favore, dica che non è così. Il suo mestiere non è obbedire ai generali. Siamo un governo retto da civili. NOI diciamo ai capi di stato maggiore riuniti cosa fare, non il contrario. È quello che volle il generale George Washington. È quello che il presidente Truman disse al generale MacArthur quando MacArthur voleva invadere la Cina. «Lei è licenziato!» disse Truman, e così fu.
Lei avrebbe dovuto licenziare il generale McChrystal quando la scavalcò andando a dire alla stampa quello che LEI doveva fare. Le parlerò con franchezza: amiamo i nostri ragazzi delle forze armate, ma detestiamo questi generali, Westmoreland in Vietnam e anche Colin Powell per aver mentito all'Onu coi suoi falsi disegni delle armi di distruzioni di massa (da allora sta cercando di farsi perdonare).
Così adesso lei si sente stretto in un angolo. Trent'anni esatti da giovedì scorso (il giorno del Ringraziamento) i generali sovietici ebbero un'idea fantastica: «Invadiamo l'Afghanistan!». Ebbene, quello si rivelò l'ultimo chiodo nella bara dell'Urss. C'è una ragione per cui non chiamano l'Afghanistan lo «Stato giardino» (anche se dovrebbero, vedendo come il corrotto presidente Karzai, che noi appoggiamo, consente a suo fratello di coltivare il papavero per il commercio dell'eroina). L'Afghanistan è soprannominato il «Cimitero degli imperi». Se non ci crede, faccia una telefonata agli inglesi. Le consiglierei di chiamare Genghis Khan ma ho perso il numero. Però ho quello di Gorbaciov, è + 41 22 789 1662. Sono sicuro che lui potrebbe farle un bel discorsetto sull'errore madornale che sta per commettere.
Con la crisi economica ancora galoppante, e i nostri preziosi giovani sacrificati sull'altare dell'arroganza e dell'avidità, il collasso di questa grande civiltà che chiamiamo America la porterà velocemente all'oblio se lei diventerà il «presidente di guerra». Gli imperi non pensano mai che la fine sia vicina, finché non arriva. Gli imperi pensano di poter costringere gli infedeli a rigare dritto con un male maggiore - eppure non funziona mai. Di solito gli infedeli li fanno a brandelli.
Scelga con attenzione, presidente Obama. Lei sa meglio di tutti che le cose non devono andare per forza così. Lei ha ancora alcune ore per ascoltare il suo cuore, e la sua mente. Lei sa che inviare più soldati dall'altra parte del mondo, in un posto che né lei né loro capiscono, per raggiungere un obiettivo che né lei né loro capiscono, in un paese che non ci vuole lì, non può portare nulla di buono. Io so che lei sa che ci sono MENO di un centinaio di membri di al-Qaeda in Afghanistan! 100 mila uomini per distruggere 100 persone che vivono nelle caverne? Scherziamo? Vuole forse suicidarsi come Bush? Mi rifiuto di crederlo.
La sua potenziale decisione di estendere la guerra (dicendo però che lo sta facendo per «mettere fine alla guerra») servirà a scolpire nella pietra la sua eredità più di una qualunque delle grandi cose che lei ha detto e fatto nel suo primo anno di presidenza. Ancora un osso lanciato ai repubblicani e la coalizione di chi spera e di chi è senza speranza potrebbe svanire - e questa nazione tornerà nelle mani di chi è pieno di odio più in fretta di quanto non ci metta lei a urlare «una bustina di tè!».
Valuti attentamente, signor presidente. Le corporations che la sostengono la abbandoneranno non appena diventerà chiaro che lei è destinato a svolgere un solo mandato, e che il paese tornerà al sicuro nelle mani dei soliti idioti bravi a eseguire gli ordini. Questo potrebbe avvenire mercoledì mattina.
Noi, il popolo, la amiamo ancora. Noi, il popolo, nutriamo ancora un residuo di speranza. Ma noi, il popolo, non possiamo più accettare il suo cedimento continuo, quando l'abbiamo eletta con un margine grande, grandissimo di milioni di voti per arrivare lì e assolvere il suo compito. Quale parte della «vittoria schiacciante» non riesce a capire?
Non si lasci ingannare, non creda che inviare un po' di soldati in Afghanistan farà la differenza, o le farà guadagnare il rispetto di chi è pieno di odio. Loro non si fermeranno finché questo paese non andrà in pezzi, e non sarà stato sottratto l'ultimo dollaro ai poveri e chi presto lo diventerà. Lei potrebbe inviare un milione di uomini lì, ma la destra non sarebbe ancora contenta. Lei sarebbe comunque la vittima del veleno che diffondono incessantemente alla radio e alla televisione dell'odio, perché qualunque cosa lei faccia, non potrà cambiare l'unica cosa di sé che li fa andare fuori di testa. Lei non è stato eletto da coloro che sono pieni di odio, e non li può conquistare abbandonando noi.
Presidente Obama, è ora di tornare a casa. Lo chieda ai suoi vicini di Chicago e ai genitori dei giovani che combattono e muoiono. Pensa che diranno: «No, non ci serve l'assistenza sanitaria, non ci servono i posti di lavoro, non ci servono le case. Vada avanti, signor presidente, spedisca la nostra ricchezza, i nostri figli e le nostre figlie oltremare, perché neanche a noi servono»?
Che cosa farebbe Martin Luther King Jr.? Che cosa farebbe sua nonna? Non invierebbero dei poveri a uccidere altri poveri che non rappresentano per loro alcuna minaccia. Non spenderebbero miliardi, triliardi per fare la guerra mentre i bambini americani dormono per la strada e si mettono in fila per un tozzo di pane.
Tutti noi che abbiamo votato e pregato per lei, e pianto la notte della nostra vittoria, abbiamo sopportato un inferno orwelliano di otto anni di crimini commessi nel nostro nome: tortura, rendition, sospensione dei diritti. Sono stati invasi paesi che non ci avevano attaccato, interi quartieri sono stati fatti saltare in aria perché Saddam «poteva» essere lì (ma non c'era mai), in Afghanistan sono stati compiuti massacri durante festeggiamenti di matrimonio. Siamo stati a guardare mentre centinaia di migliaia di civili iracheni venivano massacrati e decine di migliaia dei nostri coraggiosi giovani, uomini e donne, venivano uccisi, mutilati, o sottoposti a torture mentali: il terrore assoluto che facciamo fatica a immaginare.
Quando la abbiamo eletta, non ci aspettavamo miracoli. Non ci aspettavamo nemmeno molti cambiamenti. Ma pensavamo che avrebbe messo fine a questa follia. Alle uccisioni. All'idea insana che uomini armati di fucili possano riorganizzare una nazione che non funziona nemmeno come nazione e che non ha mai, mai funzionato come tale. Basta, basta! Per amore della vita dei giovani americani e dei civili afghani. Per il bene della nostra presidenza, della speranza, e del futuro della nazione, basta. Per amor di dio, basta.
Stasera nutriamo ancora speranze.
Domani vedremo. La palla è a lei, NON DEVE fare questo. Lei può essere un ritratto del coraggio (allusione al libro di John F. Kennedy Ritratti del coraggio, ndt). Lei può essere un uomo. Contiamo su di lei. Cordialmente, Michael Moore.
P.S. C'è ancora tempo per far sentire la vostra voce. Chiamate la Casa Bianca al numero 202-456-1111 o scrivete una mail al presidente.
(traduzione di Marina Impallomeni)

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