martedì 22 dicembre 2009

REPUBLIKO INSULA DE LA ROZOJ




[di giacinto cerviere - da Abitare]

Quando alla fine degli anni Sessanta i nuovi temi sul futuro della città e dell’architettura scuotevano in Italia le riviste, le università, perfino le Triennali, per allinearsi e cercare di superare le sperimentazioni utopistiche provenienti dai paesi iperurbanizzati e sovrappopolati del Primo Mondo, parallelamente a ciò che emerse dalle battaglie culturali di De Carlo oramai lontano dai CIAM e dall’attivismo eterodosso dei gruppi radicali fiorentini, si verificò un importante avvenimento al largo di Rimini, nell’Adriatico, a 12 chilometri dalla costa, che suscitò molta curiosità nell’opinione pubblica nazionale e di cui molto presto si smarrì il ricordo. Un anarchico ingegnere bolognese tuttora vivente, Giorgio Rosa, un tecnologo distante da tutti i circuiti artistici d’avanguardia dell’epoca, rese concreta l’applicazione di un’idea rivoluzionaria sorprendente quanto impossibile: costruire un’architettura non assoggettata alla giurisdizione italiana, appena in acque internazionali, che prese le fattezze di una vera e propria micronazione divenuta nota come l’Isola delle Rose.

La sua indipendenza, seppur durata pochi giorni, simboleggiò il desiderio di una generazione di considerarsi di fatto libera di disegnare la propria idea del mondo, di sentirsi spiritualmente simile a quella singolare e acerba architettura post-territoriale sfuggita al controllo statale. L’ingegner Rosa già dal 1958 sperimentò in mare aperto un innovativo tipo di struttura galleggiante in acciaio tubolare che potesse resistere alla forza delle onde. Tramite la sua società SPIC (Società Sperimentale per Iniezioni di Cemento) iniziò le ispezioni dei fondali. Mise così a punto un brevetto che nel 1968 si materializzò con i lineamenti di una spartana piattaforma di calcestruzzo armato e acciaio di 20×20 metri, sospesa a 8 metri dal livello marino, sostenuta da 9 pali cavi di 630 millimetri conficcati per 40 metri di profondità. Fu prevista un’elevazione di 5 piani, così da aprire anche un ristorante e un albergo, oltre che lottizzare una parte del manufatto per consentire ad altri di aprire negozi, ma di impalcati ne saranno costruiti soltanto due di 400 metri quadrati ognuno.


La perizia dell’ingegnere Giuseppe Lombi dichiarò che quella struttura avrebbe potuto sopportare fino a 50 piani. La piattaforma fu fissata in prossimità di Torre Pedrera, dove l’ingegner Rosa trovò una falda di acqua dolce, più o meno dove oggi si situano le piattaforme metanifere dell’Agip, posizione ora riportata anche su Google Maps. Certo, l’Isola delle Rose sorse per creare non soltanto un’oasi artificiale nell’Adriatico, a due passi dalla riviera romagnola – dove il suo fondatore poeticamente desiderava “veder fiorire le rose sul mare”, come fece scrivere sul motto della Repubblica esperantista de la Insulo de la Rozoj”, così da dimostrare le intenzioni pacifiche del nuovo Stato –, ma anche nuove forme di commercio libero dalle imposizioni fiscali e dalla burocrazia. Un po’ tutti erano invogliati ad attraccarvi per acquistare souvenir e bere qualcosa al bar, osservando le navi che viaggiavano anche a 50 metri di distanza da quel curioso luogo: dagli intellettuali locali ai playboy accorti; dai borghesi alla ricerca di emozioni forti ai turisti; dai consumatori di sigarette e alcolici a chi voleva rifornirsi di benzina senza versare accise all’Italia. Si racconta che perfino politici, magistrati e agenti segreti frequentassero l’Isola. Rosa tenne sempre a precisare che non cedette alle tante offerte indecenti che gli arrivarono, come quelle riguardanti l’installazione di basi spionistiche, radio-pirata o night club. Il 24 giugno del ’68, un mese dopo che a Milano la protesta degli studenti e degli artisti devastò le installazioni alla XIV Triennale dedicata al Grande numero, risvegliati dai pensieri torpidi a cui li aveva appiattiti una cultura massificatrice internazionale che non lasciava nessuno spazio all’idea di autonomia territoriale e di isolamento spaziale dell’individuo, si tenne una conferenza stampa sull’Isola e si issò la bandiera del nuovo Stato. Presto venne aperto un ufficio postale e stampati finanche i francobolli che andarono immediatamente a ruba (si narra che perfino la Regina d’Inghilterra ne collezioni un pezzo). Si adottò il sistema monetario Mills. Si scelse come lingua ufficiale l’Esperanto su consiglio del padre francescano riminese Albino Ciccanti. Giornali di mezzo mondo e gli italiani Il Messaggero e Panorama, ma anche i meno compassati rotocalchi Sorrisi e Canzoni ed Epoca, si interessarono all’insolito caso, scoprendo che l’ingegner Rosa aveva fatto tutto sul serio dilapidandosi 100 milioni di lire per quell’impresa “folle”, e, soprattutto, seguendo le leggi vigenti. Qualche interrogazione parlamentare iniziò a informare il Governo per porre fine alla cosa. I Servizi gli misero sotto controllo il telefono. Il professor Angelo Sereni, docente di diritto internazionale alla Hopkins University di Baltimora, disse a Rosa che era possibile la nascita di una struttura non soggetta a dogana in acque internazionali, quindi di fatto di un nuovo Stato, ma a patto che le merci si importassero solamente. Facendo il contrario, si sarebbe generato contrabbando. Non fu però dello stesso avviso il Governo italiano. Il 25 giugno le motovedette della Guardia di Finanza iniziarono così a interrompere il già significativo flusso di traffico, bloccando le imbarcazioni dirette sulla piattaforma. Seguì l’accerchiamento e l’assalto alla costruzione di Polizia e Carabinieri, che peraltro non usarono violenza e non contestarono agli abitanti reati, illeciti o violazioni, mentre la neonata autorità dell’Isola delle Rose mandava a Roma un ultimo appello al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat affinché l’Italia cessasse l’invasione.


La Capitaneria di Porto di Rimini notificò così alla SPIC un ordine di demolizione dell’opera. La società presentò immediatamente ma senza successo un ricorso al Consiglio di Stato. Il 22 gennaio 1969 la Marina Militare piazzò 120 chili di esplosivo per far saltare in aria la repubblica indipendente. Il parallelepipedo corpo abitativo, retto benissimo dalla rigida struttura tubolare portante, si deformò ma non cedette. Pochi giorni dopo, una burrasca terminò il lavoro di abbattimento. Un anno fa l’ingegnere Rosa dichiarò al Corriere di Romagna che a boicottare la sua creatura furono la Chiesa, la Democrazia Cristiana e anche i comunisti, concludendo amaro con una considerazione scioccante: “se avessi chiesto l’aiuto della Mafia o della Massoneria, l’Isola delle Rose sarebbe ancora lì”. Certe architetture per la loro audacia hanno un destino ineluttabile: anche se l’Isola delle Rose fosse scampata negli anni Sessanta alla soppressione statale italiana, voluta di fatto dal Ministro dell’Interno Taviani, oggi non sarebbe sopravvissuta alla facile retorica demolitrice dei contemporanei movimenti ambientalisti che nel migliore dei casi l’avrebbero con leggerezza liquidata come “bruttura” ideologica. Il suo brevetto consentì all’ingegnere bolognese di ottenere qualche piccolo successo professionale, come la progettazione di un trampolino per tuffi al largo della Tunisia e un albergo in Veneto. Il mito e il ricordo di questa piccolissima nazione si è amplificato dopo quarant’anni dalla sua scomparsa. L’Isola delle Rose è entrata a pieno titolo a far parte di una cultura della micro-utopia possibile, immortalata perfino in testi teatrali e documentari cinematografici.



DA WIKIPEDIA, VOCE "ISOLA DELLE ROSE"


L'Isola delle Rose (in esperanto Insulo de la Rozoj) fu una piattaforma artificiale nel mare Adriatico ( 11,612 km al largo di Rimini, 44°10′49″N 12°37′20″E [1]), 500 m al di fuori delle acque territorialiitaliane, che nel 1968 venne proclamata dal suo fondatore, l'ingegnere bolognese Giorgio Rosa, Stato sovrano. L'esperienza dell'autoproclamata Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose durò poche settimane, durante l'estate dello stesso anno.

Nome

L'entità che si pretese di costituire sulla piattaforma artificiale prese il nome, in lingua esperanto, di Libera Teritorio de la Insulo de la Rozoj (in italiano Libero Territorio dell'Isola delle Rose), trasformatosi poi in Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj (Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose).

Si ritiene che il termine Rozoj (in italiano rose) venne mutuato dal cognome di Giorgio Rosa, progettista e costruttore della piattaforma artificiale, nonché ideatore ed ispiratore dell'entità statale, oltre che dalla sua volontà di «veder fiorire le rose sul mare».[2]

Geografia

La piattaforma sorse a 6,27 nmi (11,612 km) al largo della costa italiana, in prossimità di Torre Pedrera, nel comune di Rimini, dunque a 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane[3].

L'Isola confinava esclusivamente con acque internazionali, a eccezione del lato sud-ovest dove avevano limite le acque territoriali italiane. La superficie dell'Isola delle Rose era di 400 m² (0,0004 km²), mentre quella delle sue "acque territoriali" di 62,54 km². Attualmente in posizione simile si trovano le piattaforme metanifere dell'Agip "Azalea 1-2" (44°10′32″N 12°42′83,5″E ) e "Azalea B" (44°10′02″N 12°43′18″E ).

Ordinamento

L'Isola delle Rose si era data un "governo", formato da una Presidenza del Consiglio dei Dipartimenti e da cinque Dipartimenti, suddivisi in Divisioni e Uffici. Vi era il Dipartimento Presidenza, con a capoAntonio Malossi; il Dipartimento Finanze, presieduto da Maria Alvergna; il Dipartimento Affari Interni, con a capo Carlo Chierici; il Dipartimento dell'Industria e del Commercio, capeggiato da Luciano Marchetti; il Dipartimento delle Relazioni, con a capo l'avvocato Luciano Molè; infine il Dipartimento degli Affari Esteri aveva al vertice Cesarina Mezzini.

Simboli della Repubblica

L'Isola delle Rose adottò uno stemma rappresentante tre rose rosse, con gambo verde fogliato, raccolte sul campo bianco di uno scudo sannitico, così come descritto dalla Costituzione. Da notare che lo stemma fu riprodotto sul bordo superiore dei foglietti filatelici e riprendeva gli stessi colori (verde, bianco e rosso) della bandiera italiana, ma, invece di rappresentare quattro rose raccolte a bouquet, ne riportava solo tre.

Venne istituita anche una bandiera di colore arancione caricata al centro dello stemma repubblicano. Inoltre fu adottato come "inno" Steuermann! Laß die Wacht! (in italiano Timoniere! Smonta di guardia!), cioè il Chor der Norwegischen Matrosen dalla prima scena del terzo atto de L'Olandese volante di Richard Wagner.

Lingua ufficiale

L'Isola delle Rose adottò come propria "lingua ufficiale" l'esperanto, per sancire nettamente la propria sovranità ed indipendenza dalla Repubblica Italiana, nonché per ribadire il carattere internazionale della nuova Repubblica.

Rosa non era un esperantista e la scelta dell'esperanto come lingua ufficiale gli fu consigliata da un esperantista bolognese, il padre francescano Albino Ciccanti, attivissimo a Rimini.

Si ricorda che dal 18 al 23 settembre 1965 si svolse a Rimini il 36º Congresso Nazionale della FEI, la Federazione Esperantista Italiana. Questo evento dovette essere la molla comunicativa per la scelta (orientata da un attento marketing) dell'esperanto.

L'unico altro esempio di adozione dell'esperanto come lingua ufficiale di una nazione di fantasia si ebbe con il progetto di adozione per il "Territorio Libero di Moresnet", che si sarebbe dovuto trasformare nello "Stato Esperantista Indipendente di Amikejo".

Valuta

L'Isola delle Rose si dotò di una divisa monetaria per i francobolli: il "Mill" (al plurale "Mills"), che fu tradotto in esperanto come Milo (al plurale Miloj).

Il valore del Mill, all'epoca, doveva essere corrispondente a quello della lira italiana, con un cambio 1:1, alla pari: il minor valore di francobolli per posta ordinaria era di 30 Mills quando in Italia era di 30 lire, e i foglietti con 10 valori da 30 Mills, equivalenti quindi a 300 Mills, erano venduti a 300 lire, mentre i singoli francobolli da 30 Mills affrancati su busta e annullati con timbro e data a 150 lire.

Doveva esserci anche un valore "Ros", equivalente a 100 Mills/Miloj e, quindi, a 100 lire. Ma questa divisa per le monete non fu mai attuata.

L'Isola delle Rose non "emise" mai, in conio e stampa, monete e cartamonete, anche se c'era l'intenzione di battere monete metalliche commemorative.


La creazione della base

L'Isola delle Rose in costruzione.

Nel 1958 l'ingegnere bolognese Giorgio Rosa (n. 1925) pensò di costruire un telaio di tubi in acciaio ben saldati a terra, da trasportare in galleggiamento fino al punto prescelto (fuori dalle acque territoriali italiane) ed installarlo. Si costituì dunque la SPIC (Società Sperimentale per Iniezioni di Cemento), con presidente Gabriella Chierici, moglie dell'ingegnere e direttore tecnico. La prima ispezione del punto prescelto, al largo di Rimini, a circa 11,5 km dalla linea di costa, avvenne tra il 15 luglio ed il 16 luglio 1958, utilizzando un sestante ed allineandosi con il faro del grattacielo diRimini.

Giorgio Rosa ipotizzò per la posa della sua isola di alzare il basso fondale marino con un sistema di dragaggio della sabbia trattenuta da alghe. I sopralluoghi avvennero utilizzando un natante, costruito in acciaio e propulso con un motore di una Fiat 500, e proseguirono per tutta l'estate del 1960, con frequenza bisettimanale, avendo come base un capanno sul molo di Rimini.

Nell'estate del 1962 però, per problemi tecnici e finanziari, l'impresa si bloccò; inoltre nell'ottobre dello stesso anno fu intimato dalle autorità italiane di rimuovere qualsiasi ostacolo alla navigazione.

Il 30 maggio 1964 furono contattate le Capitanerie di Porto di Rimini, Ravenna e Pesaro, rispettivamente per opzionare gli spazi in banchina, per i rifornimenti di gasolio e per la costruzione della struttura dell'isola presso i cantieri navali e per la pubblicazione dell'avviso ai naviganti per la segnalazione della presenza di strutture.

La dichiarazione d'indipendenza

L'Isola a costruzione ultimata.

Per tutto il 1965 ed il 1966 proseguirono i lavori di armamento della struttura, ma molto lentamente, poiché per le avverse condizioni meteomarine si poteva operare per non più di circa tre giorni a settimana.

Il 23 novembre 1966 la capitaneria di porto di Rimini intimò di cessare i lavori privi di autorizzazione, poiché la zona era in concessione all'Eni. Il successivo 23 gennaio anche la polizia s'interessò della vicenda, richiedendo conferma che si trattava di lavori sperimentali. Il 20 maggio 1967 alla profondità di 280 metri dal piano di calpestio dell'isola fu trovata, per perforazione, una falda di acqua dolce. Il 20 agosto 1967 l'isola venne aperta al pubblico.

Intanto sull'isola i lavori continuavano: sui pali fu gettato un piano in laterizio armato alto 8 metri sul livello del mare su cui vennero eretti dei muri che delimitavano dei vani. L'area a disposizione era di 400 m². S'iniziò una soprelevazione di un secondo piano, che doveva concludersi, in previsione, in cinque piani. Fu attrezzata anche l'area di sbarco dei battelli (la "Haveno Verda", in italiano il "Porto Verde") – che avveniva tramite banchine e scale – con dei tubi di gomma pieni di acqua dolce (con peso specifico, quindi, minore, di quello dell'acqua di mare e galleggianti) per tranquillizzare lo specchio d'acqua destinato allo sbarco; questa soluzione era già stata adottata da analoghe piattaforme a largo di Londra.

L'isola artificiale dichiarò unilateralmente l'"indipendenza" il 1º maggio 1968, con Giorgio Rosa come "Presidente".

Dopo la dichiarazione d'indipendenza

La trovata di Giorgio Rosa fu resa pubblica con una conferenza stampa solo lunedì 24 giugno 1968.

La primavera riminese del 1968, come la precedente estate, vide grande traffico marittimo dalla costa italiana verso l'Isola delle Rose e viceversa, destando crescente preoccupazione da parte delle forze dell'ordine italiane.

Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse, dato che l'Isola delle Rose era facilmente raggiungibile dalla costa italiana.

Presto la Repubblica Italiana dispose un pattugliamento di motovedette della Guardia di Finanza e della capitaneria di porto vicino la piattaforma, impedendo a chiunque, costruttori compresi, di attraccarvi, di fatto ottenendo un blocco navale.

In quel momento l'Isola delle Rose aveva soltanto un abitante stabile, Pietro Bernardini, che, dopo aver naufragato nel mare Adriatico durante una tempesta, raggiunse la sicurezza della piattaforma dopo 8 ore in mare; successivamente prese in affitto la piattaforma per un anno.

Il 21 giugno 1968 Rosa ebbe un colloquio con il capitano Barnabà del Servizio Informazioni Difesa, il servizio segreto militare italiano.

Nel corso dell'estate 1968 pare che la micronazione si fosse dotata (o avesse intenzione di dotarsi) di una propria piccola stazione radiofonica in onde medie, presumibilmente al fine di disporre di un mezzo d'informazione per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla propria causa e per contrastare le azioni repressive del governo italiano[1].

La distruzione

Quale che fosse il motivo reale dietro la micronazione di Rosa, il Governo italiano rispose rapidamente e con decisione: 55 giorni dopo la dichiarazione d'indipendenza, martedì 25 giugno 1968 alle 7:00 del mattino, una decina di pilotine della polizia con agenti della DIGOS, dei carabinieri e della Guardia di Finanza circondarono la piattaforma e ne presero possesso, senza alcun atto di violenza. All'isola fu vietato qualunque attracco, e non fu consentito al guardiano Pietro Ciavatta e a sua moglie, uniche persone al momento sull'isola, di sbarcare a terra.

Il "Governo della Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose" inviò un telegramma al Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat per lamentare «la violazione della relativa sovranità e la ferita inflitta sul turismo locale dall'occupazione militare», e ovviamente fu ignorato.

Interrogazione parlamentare del 5 luglio 1968 dell'on. Stefano Menicacci per l'Isola delle Rose.

Il 5 luglio 1968 Stefano Menicacci,[5] deputato del Movimento Sociale Italiano, inoltrò al ministro dell'Interno Francesco Restivo,[6] della Democrazia Cristiana, del secondo governo Leone, in carica dal 24 giugno 1968, la seguente interrogazione:

« Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro dell'interno per sapere quale sia l'atteggiamento ufficiale assunto dal Ministero in merito alla costruzione denominata "L'Insulo de la Rozoj" esistente al largo delle coste di Rimini, ed in particolare le disposizioni impartite alle autorità marittime italiane contro l'esistenza di tale grande manufatto marino.

Inoltre, l'interrogante chiede di sapere se risponde a verità che la capitaneria del porto di Rimini già oltre un anno or sono per ordine del Ministro aveva impartito l'ordine di sospensione dei lavori e i motivi per i quali gli stessi, contravvenendo all'ordine ministeriale, non solo sono proseguiti, ma hanno portato ad una costruzione con condizioni di abitabilità, arredamento di negozi, stampigliatura di francobolli, apposizione di bandiera e conio di moneta, sino a far presumere l'esistenza di uno Stato-burletta nello Stato italiano.

L'interrogante, inoltre, chiede di sapere in quale maniera intende intervenire con la massima energia per la tempestiva osservanza in casi del genere del codice della navigazione e delle leggi della Repubblica, oltre che per il rispetto - insieme all'ordinamento giuridico nazionale - dell'autorità statale anche al fine di non arrecare "a posteriori" pregiudizi economici e morali contro le iniziative incontrollate di terzi. »
(Stefano Menicacci, Interrogazione Parlamentare (3-00077) MENICACCI)

Il 9 luglio 1968 giunsero a Rosa varie proposte d'acquisto dell'isola.

Interrogazione parlamentare del10 luglio 1968 dell'on. Nicola Pagliarani per l'Isola delle Rose.

Il 10 luglio 1968 Nicola Pagliarani,[7] deputato del Partito Comunista Italiano, inoltra al ministro dell'Interno Francesco Restivo la seguente interrogazione:

« Al Ministro dell'interno. Per sapere i precedenti nonché l'atteggiamento ufficiale attuale assunto dal Ministero sulla vicenda della costruzione denominata L'Insulo de la Rozoj esistente al largo delle coste di Rimini, di cui si è avuta così vasta eco sulla stampa nazionale ed estera. »
(Nicola Pagliarani, Interrogazione Parlamentare (4-00473) PAGLIARANI)

L'11 luglio 1968 le autorità italiane permisero al guardiano dell'isola Piero Ciavatta e a sua moglie di sbarcare a Rimini.

Il 7 agosto 1968 Rosa fu interrogato dal dottor Mariani della questura di Bologna e il giorno dopo fu emesso il dispaccio n. 519601/1.20 del Ministero della Marina Mercantile (ministro pro tempore Giovanni Spagnolli, senatore della Democrazia Cristiana), indirizzato alla capitaneria di porto di Rimini, con cui si notificava alla S.P.I.C., nelle persone del suo presidente Gabriella Chierici e del suo direttore tecnico Giorgio Rosa, di provvedere a demolire il manufatto costruito al largo di Rimini, con avvertenza che altrimenti si sarebbe proceduto alla demolizione d'ufficio.

Il 27 agosto 1968 Rosa notificò un ricorso in sede giurisdizionale di due pagine (il n. 756/68) firmato da Chierici, in qualità di presidente della S.P.I.C., e dagli avvocati Elvio Fusaro ed Enzo Bruzzi, alla capitaneria di Portodi Rimini, per conoscenza, e il 28 agosto 1968 lo consegnò all'Ufficio Ricorsi del Consiglio di Stato a Roma con la richiesta di sospensiva al decreto n. 2/1968 del 16 agosto 1968.

La nota fu presa in esame dai professori Letizia e Ceccherini.

Il 4 settembre 1968 Umberto Lazzari, di Radio Monte Ceneri (Radio svizzera di lingua italiana) interpellò il relatore del Consiglio di Stato, che assicurò un esito favorevole a Rosa.

Il 21 e 22 settembre 1968 vennero indicati i nomi dei componenti della 6a sezione del Consiglio di Stato che doveva giudicare.[8]

Il 24 settembre 1968 la Commissione speciale del Consiglio di Stato (Italia) produsse un parere favorevole a un quesito posto dal Ministero della Marina Mercantile circa i provvedimenti da adottare per la rimozione dell'isola.

Il 27 settembre 1968 venne trattato in prima udienza il ricorso; una seconda seduta si tenne l'8 ottobre, e in questa sede il ricorso venne respinto; il relatore Mario Gora e il consigliere Lorenzo Cuonzo, si seppe in seguito, votarono favorevolmente al ricorso.

Intanto il 30 settembre 1968 le Autorità governative italiane stimarono (con un preventivo) che la demolizione dell'isola sarebbe costata circa 31 milioni di lire.[9]

Il 6 ottobre 1968 l'avv. Praga propose a Rosa di interessare Nicola Catalano, già giudice della Corte Europea di Giustizia dal 1958 al 1962, per un ricorso al Consiglio d'Europa di Strasburgo.

Il 15 ottobre 1968 a Rosa fu comunicato dal brigadiere Biscardi di Bologna e da Olivieri, capo ufficio postale di Via de' Toschi n. 4 in Bologna, che giacevano in quell'ufficio postale, provenienti da Copenaghen, riviste e documenti per l'Isola delle Rose.

Sempre il 15 ottobre 1968 l'aiutante ufficiale giudiziario Nello Vanini notificò alla Capitaneria di Porto di Rimini, per conoscenza, un ulteriore ricorso in sede giurisdizionale (n. 951/68), di otto pagine, firmato da Gabriella Chierici, dallo stesso Rosa e da Fulvio Funaro, inviato all'Ufficio Ricorsi del Consiglio di Stato a Roma con la richiesta di sospensiva al suddetto decreto n. 2/1968 del 16 agosto 1968.

Il 1º novembre 1968 furono interessati anche Giovanni Bersani, deputato al Parlamento europeo nella Democrazia Cristiana, e Cleto Cucci del Foro di Rimini.

Il 18 novembre 1968 Nicola Catalano, insieme con Cleto Cucci, decisero di chiedere l'Accertamento Tecnico Preventivo sull'isola.

Il 26 novembre 1968 Nicola Catalano ebbe un colloquio con Renato Zangheri, del Partito Comunista Italiano, che sarebbe stato sindaco di Bologna dal 1970 al 1983, il quale (secondo il "Memoriale" dell'Ing. Giorgio Rosa pubblicato nel 2009 da Persiani Editore allegato al DVD documentario Cines sull'Isola ) «sostiene che dietro a me c'è una Potenza straniera», si vociferò persino l'Albania di Enver Hoxha, all'epoca già fuori dal Patto di Varsavia.

Il 29 novembre 1968 arrivò a Rimini un pontone della Marina Militare Italiana, che sbarcò a terra tutto quanto vi era di trasportabile dall'isola. Sul pontone si prepararono anche le cariche di esplosivo da collocare sull'isola per la demolizione. Nella stessa giornata, Nicola Catalano, a Parigi, venne informato telefonicamente del precipitare degli eventi da Praga.

Il 1º dicembre 1968 Rosa ebbe un colloquio con Luciano Gorini, consigliere comunale di Rimini della Democrazia Cristiana e già Presidente dell'Azienda Autonoma di Soggiorno di Rimini dal 1960 al 1965, che presentò un'interpellanza.

Altri telegrammi d'appoggio all'isola vennero spediti, da un tal sig. Rico, a Pietro Nenni, a Giacomo Brodolini e Giacomo Mancini del Partito Socialista Italiano, e a Luigi Preti e Mario Tanassi del Partito Socialdemocratico (PSDI).

Il 3 dicembre 1968 venne giurato l'Accertamento Tecnico Preventivo dell'ing. Giuseppe Lombi di Rimini, che chiese 5 mesi per l'espletamento dell'incarico peritale. La capitaneria di porto di Rimini asserì di non poter non eseguire l'Atto Amministrativo della demolizione, fissando per il giorno 10 dicembre 1968 il sopralluogo sull'isola, sopralluogo poi rimandato causa mareggiata.

Anche Berti perorò la causa dell'Isola delle Rose con l'onorevole Luigi Preti, che però non volle impegnarsi. Il 17 dicembre 1968 si ebbe un incontro tra l'avv. Roma e Gozzi dell'avvocatura dello Stato di Bologna da cui risultò che «si vocifera che il Governo italiano ne fa una questione di principio» (dal "Memoriale" di Giorgio Rosa).

Il 19 dicembre 1968 Rosa ebbe dei colloqui anche con funzionari del Sovrano Militare Ordine di Malta, che però giudicarono la questione «oramai troppo compromessa».

Il 21 dicembre 1968 si tenne un'udienza davanti al pretore di Rimini, che mantenne il decreto di Accertamento Tecnico Preventivo, sollecitando i sopralluoghi peritali.

Il 23 dicembre 1968 si svolse il sopralluogo. In mattinata sull'isola per constatarne lo stato si recarono il consulente tecnico d'ufficio Giuseppe Lombi, i geometri Gaetano Vasconi di Rimini e Nobili (ambedue come testimoni), nonché l'ing. Buono di Ravenna, mentre nel pomeriggio nel porto di Rimini si constatò l'inventario dei materiali sequestrati dalla Marina Militare Italiana il 29 novembre. Mancavano all'appello parecchie apparecchiature, tra cui il nautofono.

Gli esperantisti del Gruppo Esperantista Riminese (G.E.R.) suggerirono la donazione dell'isola a loro. Il 28 dicembre 1968 in mattinata nuovo sopralluogo sull'isola a cui parteciparono Giuseppe Lombi e Rosa, che nel pomeriggio si recò a Villa Verrucchio dal sig. Dosi, per un incontro con l'onorevole Luigi Preti, che rinnovò il suo disinteressamento.

Il 22 gennaio 1969 il Pontone della Marina Militare Italiana salpò per l'Isola delle Rose, per la posa dell'esplosivo per la distruzione.

Rosa rilasciò una durissima intervista ad Amedeo Montemaggi di Rimini de "Il Resto del Carlino", che però tagliò la frase: «mi vergogno di essere italiano!».[senza fonte]

L'11 febbraio 1969 sommozzatori della Marina Militare Italiana (del G.O.S. - Gruppo Operativo Subacquei appartenente al COM.SUB.IN. - Comando Subacqueo Incursori "Teseo Tesei"), demoliti i manufatti in muratura (cementizia e laterizia), e segati i raccordi tra i pali della struttura in acciaio dell'Isola delle Rose, la minarono con 75 kg di esplosivo per palo (675 kg totali) per farla implodere e recuperare i detriti (perché pericolosi per la pesca). Tuttavia, fatte brillare le cariche l'isola resistette alla prima esplosione, in quanto i piloni portanti erano stati costruiti a cannocchiale e con l'esplosione si creava solo un'incavatura. Dopo 2 giorni, il 13 febbraio 1969 vennero applicati per ogni palo 120 kg di esplosivo (ben 1.080 kg totali), ma la nuova esplosione fece solo deformare la struttura portante dell'isola, senza farla cedere.

Finalmente, mercoledì 26 febbraio 1969 una burrasca fece inabissare l'Isola delle Rose. L'atto finale venne comunicato nel Bollettino dei Naviganti dell'Emilia-Romagna.

A Rimini furono affissi dei manifesti a lutto, in cui si diceva:[senza fonte]

« Nel momento della distruzione di Isola delle Rose, gli Operatori Economici della Costa Romagnola, si associano allo sdegno dei marittimi, degli albergatori e dei lavoratori tutti della Riviera Adriatica condannando l'atto di quanti incapaci di valide soluzioni dei problemi di fondo, hanno cercato di distrarre l'attenzione del Popolo Italiano con la rovina di una solida utile ed indovinata opera turistica. Gli abitanti della Costa Romagnola. »

Dopo l'affondamento

L'affondamento e il successivo smantellamento durarono una quarantina di giorni, fino a circa metà aprile 1969.

Il 6 giugno 1969 Giorgio Zagari, dell'Avvocatura Generale dello Stato, scrisse la sua memoria per il Consiglio di Stato che avrebbe dovuto deliberare definitivamente.

Il 17 giugno 1969 la sesta sezione del Consiglio di Stato si riunì in udienza.[10]

Le pretese di sovranità, indipendenza e diritti internazionali acquisiti dai proprietari della piattaforma, erano infondati, in quanto i cittadini italiani anche fuori dall'Italia devono sottostare alle leggi statali (questo in estrema sintesi si evince dal saggio sullaRivista di Diritto Internazionale del 1968).

Nel luglio 2009 sono stati ritrovati sul fondale marino al largo di Rimini alcuni resti della struttura metallica e dei muri.[11][12]

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