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sabato 19 giugno 2010

ADDIO A SARAMAGO, NOBEL COMUNISTA.





[di Omero Ciai, da Repubblica]

Se n'è andato ad 87 anni il primo e unico Premio Nobel per la Letteratura in lingua portoghese. José Saramago è morto oggi, poco dopo le 13, nella sua casa di Tiàs, a Lanzarote (una delle Isole Canarie), dove risiedeva dal 1991 insieme alla moglie, Pilar del Rio, e alla fedelissima segreteria Pepa. Nato il 16 novembre del 1922 ad Azinhaga, un piccolo villaggio a nord di Lisbona, ottenne il Nobel per la letteratura nel 1998 dopo una esistenza segnata a lungo dalla provvisorietà e dalla povertà. La sua famiglia di braccianti agricoli si trasferì nella capitale dove suo padre ottenne un posto come agente di polizia ma per le difficoltà economiche e la morte improvvisa del fratello maggiore Saramago dovette lasciare gli studi e cercare lavoro prima come fabbro e poi come meccanico. Riuscì a pubblicare il primo racconto, "Terra del Peccato" nel 1947. Lo scarso successo però lo costrinse a fare altri lavori (impiegato in una agenzia di assicurazioni, tecnico amministrativo in una casa editrice), finché non divenne giornalista al "Diario de Lisboa". Dopo alcuni libri di poesia raggiunge una certa notorietà a metà degli anni Settanta, quando la "Rivoluzione dei garofani" portò via la dittatura militare, con la pubblicazione del "Manuale di pittura e calligrafia", cui seguiranno due dei suoi romanzi più famosi: "Una terra chiamata Alentejo" nel 1980 e "Memoriale del convento" nel 1982. Due anni dopo la consacrazione con "L'anno della morte di Ricardo Reis" e, più tardi, con un la "Storia dell'assedio di Lisbona" che esce nel 1989.

Ateo e comunista (si iscrisse al Pcp clandestino durante la dittatura di Salazar), ruppe con il governo del suo paese nel 1991 quando pubblicò "Il Vangelo secondo Gesù", un romanzo eterodosso sul Messia che scatenò una gran polemica. Il Portogallo rifiutò di presentare il libro in un premio letterario europeo e Saramago, infuriato, lasciò Lisbona per trasferirsi, ed autoesiliarsi, con la sua seconda moglie (e traduttrice), Pilar, alle Canarie. Il primo ministro di allora è il presidente portoghese di oggi: il conservatore Anibal Cavaco Silva.

Ma eretico e scomodo, Saramago, lo è stato sempre, in tutte le sue riflessioni ed in tutti i suoi romanzi tanto da diventare un punto di riferimento per la sinistra radicale in tutto il mondo. E' stato accusato di antisemitismo per le sue posizioni a favore dei palestinesi in Medio Oriente e, l'anno scorso con la sua ultima opera, "Caino", è tornato a scontrarsi con la Chiesa cattolica portoghese. Dello stesso periodo la battaglia con la sua casa editrice italiana, Einaudi, che rifiutò di pubblicare un libro, "Il Quaderno" tratto soprattutto dal suo blog, perché molto critico con Berlusconi. Nel 2004, dopo la primavera "negra" di Cuba, ruppe anche con Fidel Castro ma in seguito ci ripensò.

La politica è stata l'altra sua grande passione dopo la scrittura. In una intervista, concessa a Francesc Relea de El Pais l'anno scorso, Saramago ammise che forse il partito nel quale militava dagli anni Sessanta, (l'ultima formazione comunista europea che conserva "l'iconografia dei bolscevichi", bandiera rossa e falce e martello), era "ancorato nel passato". Ma aggiunse: "Abbiamo una eredità dalla quale non riesco a liberarmi. Ed è possibile che questa eredità storica non abbia molto a che fare con la realtà di oggi. Ma perché la realtà di oggi avrebbe ragione? I sentimenti sono importanti. Non riuscirei a riconoscermi in nessun altro partito che non fosse quello comunista portoghese: ci resto per rispetto di me stesso".

Con "Cecità", del 1995, il racconto di una epidemia che fa diventare ciechi tutti gli abitanti di una città, che è considerato il suo capolavoro, si apre la sua ultima tappa di scrittore. E' quella più critica sulla società di massa, la globalizzazione, il consumo e lo stesso funzionamento del sistema democratico europeo. Nel suo ultimo blog, pubblicato stamattina, Saramago scrive: "Penso che la società di oggi abbia bisogno di filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo concreto, come la scienza, che avanza per raggiungere nuovi obiettivi. Ci manca riflessione, abbiamo bisogno del lavoro di pensare, e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte".

giovedì 20 maggio 2010

LA LEZIONE DI COLIN WARD





sabato 22 maggio alle 17.00


presso il circolo anarchico Ettore Bonometti


in vicolo Borgondio 6 a Brescia


Incontro pubblico con


FRANCESCO CODELLO


che ci parlerà del militante e pensatore anarchico da poco scomparso


Fin dagli anni settanta Colin Ward (1924-2010) ha pubblicato libri e articoli su educazione, politica, urbanistica, edilizia, ecologia, sempre e comunque ponendo al centro di tutto il nocciolo delle sue idee: l’anarchia è la più efficace forma di organizzazione sociale. Egli pensa che l’idea anarchica sia da sempre esistita, spesso come «seme sotto la neve», schiacciata dall'oppressione del sistema capitalistico e gerarchico attuale. Nei suoi testi, tra i quali il celebre “Anarchia come organizzazione”, “Acqua e comunità”, “L’Anarchia. Un approccio essenziale”, per dimostrare la validità del proprio pensiero si è avvalso di una notevole mole di fonti e argomenti tratti da diverse discipline scientifiche: sociologia, antropologia, cibernetica, economia, psicologia, pedagogia, pianificazione urbanistica, architettura.


“L’anarchismo non è la visione, basata su congetture, di una società futura, ma la descrizione di un modo umano di organizzarsi radicato nell’esperienza della vita quotidiana, che funziona a fianco delle istanze spiccatamente autoritarie della nostra società e nonostante quelle” (Colin Ward)

venerdì 7 maggio 2010

IL PROFE DI LETTERE DI JIM MORRISON VENERDI' 14 MAGGIO E' IN PIZZERIA A LONATO. ANDIAMO?




Happening beat venerdì 14 maggio alla Pizzeria al Volo, in via Montegrappa 11 a Lonato, locale che ospiterà il reading letterario dei poeti americani Jack Hirschman e Agneta Falk. A partire dalle ore 21 i due artisti si produrranno in una lunga performance in omaggio all’artista e archivista veronese Francesco Conz recentemente scomparso. A presentare e tradurre i loro versi sarà il
giovane scrittore gardesano Igor Costanzo.
75 anni interamente vissuti sulle strade del mondo, Jack Hirschman è nato a New York ma abita da tempo a Los Angeles dove lavora come poeta, traduttore, editore e pittore. Espulso nel 1966 per essersi opposto alla guerra del Vietnam dall’Università di Los Angeles dove insegnava (fra i suoi allievi c’era il giovanissimo Jim Morrison), è diventato uno dei simboli della sinistra americana. Da allora promuove campagne per i poveri, i senzatetto e gli emarginati. Ha pubblicato una ottantina di libri di poesie e tradotto 35 opere straniere da otto diverse lingue: italiano, albanese, russo, spagnolo, greco, tedesco, francese e creolo. Attualmente collabora all'edizione della rivista “Left Curve”, è corrispondente di “The People’s Tribune” e organizza eventi culturali. Il suo libro “This house of hunger” (“Nella casa del boia”, dedicato alle guerre dell’ex presidente Bush - nda) è da anni il volume di poesie più venduto in California. In Italia le sue opere (“fra le quali si segnalano “Soglia infinita” e “123 Arcani”) sono edite dalla salernitana Multimedia che pubblica anche “It’s not love, it’s love”, l’ultima raccolta di Agneta Falk.
Nata a Stoccolma nel 1946, la Falk dal 1969 vive in Inghilterra insegnando teatro, comunicazione, letteratura e scrittura creativa. Dopo aver fondato il teatro politico “The Pantalons” a Stoccolma, dal 1968 collabora con la comunità teatrale londinese. La sua arte calligrafica è stata oggetto di diverse esposizioni nei più noti atelier inglesi e americani.

giovedì 15 aprile 2010

MATERIALISMO AL TRAMONTO




[Rocco Ronchi, il manifesto 11.04.2010]
Alle spalle della sinistra attuale non c'è, come si crede, un vuoto di idee. Se oggi le si rimprovera di somigliare troppo al suo avversario è perché, rinunciando al materialismo, ha scelto l'opinione al posto della scienza, la retorica al posto della verità, la seduzione al posto della pedagogia, tutte opzioni già segnalate da Platone all'inizio della filosofia
Da tempo la sinistra italiana ha fatto del materialismo solo una delle tante «tradizioni» che (faticosamente) convivono all'interno della sua imprecisata galassia ideologica, quasi il retaggio polveroso di un'epoca definitivamente tramontata. I destini del materialismo, come metodo di analisi e come fondamento della prassi politica, e quelli della sinistra politica non sono inscindibilmente legati. Ne fa fede, appunto, la nostra sinistra. Vale però la pena di chiedersi che cosa diventi una sinistra senza materialismo.
La risposta non è difficile. Diventa quello che effettivamente è oggi in Italia: un movimento di «opinione» che contende ad altre «opinioni» il diritto di essere opinione «dominante». L'arena della contesa è la sfera dell'«opinione pubblica». Su tale opzione di fondo si è costruita l'ipotesi del partito democratico. Fin dalla scelta del nome è resa esplicita l'intenzione programmatica di rompere con l'eredità «materialista» del passato. Un riferimento anche vago al «socialismo» lo avrebbe invece implicato.
Tra buonismo e estetismo
Le conseguenze di questa precisa opzione ideologica sono la cronaca politica degli ultimi anni. In primo luogo, quel fenomeno registrato dalla chiacchiera giornalistica come «buonismo» e stigmatizzato dagli avversari come difetto di «realismo». Divenuta opinione, la sinistra non può infatti che essere la paladina delle buone intenzioni e delle buone pratiche contro le cattive intenzioni e le cattive pratiche attribuite sistematicamente all'avversario. Nell'ambito della contesa politica, essa si autocomprende come la portatrice dell'opinione vera - vera perché disinteressata, vera perché votata al bene pubblico - di contro all'opinione falsa perché viziata dall'interesse privato e dal calcolo egoistico. D'altronde la verità di tale opinione non può avere altro fondamento che una persuasione cocciuta. Nessuna scienza, infatti, la sorregge e la giustifica, dal momento che il materialismo come scienza della prassi è stato liquidato dalla stessa sinistra come inutilizzabile ferrovecchio «marxista».
In secondo luogo, il moralismo e lo snobismo estetico. Fattasi questione di opinione, la lotta politica cessa di essere «politica». Prende piuttosto la forma prepolitica e impolitica del ribrezzo morale e della ripugnanza estetica. Non ha torto Berlusconi quando afferma di essere il collante dell'opinione di sinistra («il partito di Repubblica»). In tanti, in questi ultimi anni, hanno avuto modo di constatare come persone indubbiamente «di destra» si siano risolte a fiancheggiare la sinistra, perché per cultura, per rettitudine morale, per buona educazione, trovavano insopportabile - sul piano estetico e su quello morale - le performance del capo e della sua oscena cricca. Il giudizio politico era sostanzialmente irrilevante. Ora, il sentimento di disgusto è certamente giustificato, tuttavia c'è da chiedersi se possa essere efficace per una trasformazione reale dello stato di cose, se possa funzionare politicamente o se non sia piuttosto il segno di una metamorfosi della sinistra in una specie di «ceto sociale» (ampio ma minoritario) caratterizzato dalla condivisione intellettuale degli «eterni ideali» del buono, del bello, del vero e del giusto. Presso questi palati idealisti il «buon gusto» sostituisce la «coscienza di classe» e il Kitsch - definito dallo scrittore Hermann Broch l'equivalente estetico del male morale - diviene il nemico da combattere. In tempi certamente più duri dei nostri e, perlomeno, altrettanto privi di speranza, un vecchio materialista come Bertolt Brecht si faceva beffe di questo genere di sinistra. Invece dei leghisti, doveva fronteggiare Hitler all'acme della sua potenza, eppure lanciava frecciate al vetriolo agli intellettuali di sinistra che vendevano Ansichten o Meinungen (opinioni) all'angolo della strada, credendo «idealisticamente» che «persino il fatto che avete fame dovete apprenderlo dai libri» (la citazione è tratta da Dialoghi di profughi, opera di sconcertante attualità composta durante l'esilio finlandese di Brecht e che da tempo immemorabile è purtroppo sparita dalle nostre librerie)
Infine, la contraddizione ultima in cui si viene a trovare una sinistra mondatasi dal materialismo: essa diviene movimento d'opinione nel momento in cui, per ragioni esclusivamente materiali, la sfera dell'opinione pubblica è venuta meno. Il consenso razionale che la sinistra cerca suppone infatti un'opinione pubblica di taglio kantiano, una specie di grande «coro» composto da uomini liberi e assennati di fronte al quale gli attori della scena politica devono proporre le loro opinioni. Con il voto l'opinione pubblica giudicherebbe e la palma del vincitore dovrebbe andare all'opinione migliore. Tale supposizione «razionalistica» (molto «alla Habermas») spiega perché poi, sotto sotto, a dispetto delle tante botte prese, la sinistra non riesca a farsi una ragione delle sue ripetute sconfitte e inclini così verso il risentimento e il disprezzo aristocratico nei confronti di quella stessa gente che vorrebbe persuadere.
Ma l'opinione pubblica non è la sfera della libera discussione razionale. È piuttosto un prodotto artificiale, una costruzione materiale dei media. A caratterizzarla sono paura dell'isolamento e gregarismo, mimetismo e violenza. Un materialista non coltiva illusioni sulle masse e non matura, quindi, risentimenti elitari. Un materialista sa, come scrive Jean Paul Sartre nella Critica della Ragion dialettica, che le opinioni della maggioranza si producono per contagio, in quanto ognuno nella massa pensa, desidera e «opina» secondo l'Altro. Gramsci fissava materialisticamente nell'egemonia l'obiettivo della pratica politica socialista: per cominciare a vincere bisognava cioè occupare il posto dell'Altro, divenire il principio di un nuovo contagio emotivo ed ideologico. Gilles Deleuze, negli anni '70, parlava di «concatenazioni collettive di enunciazione» che si devono diffondere epidemicamente. La destra lo fa quotidianamente occupando militarmente le casematte della comunicazione sociale. Ignorare o sottovalutare questo livello dello scontro, fare spallucce quando si solleva la questione «materiale» della comunicazione e del suo monopolio di fatto, dando a intendere che si hanno ben altri e più profondi problemi di cui occuparsi, significa per la sinistra abdicare in anticipo al proprio ruolo critico.
Il marxismo di Brecht
Il materialismo aveva assicurato alla sinistra un fondamento scientifico. La «novità» del marxismo rispetto all'eterna e indeterminata fame di giustizia, che caratterizza strutturalmente un'umanità gettata in una situazione di «penuria» (l'espressione è ancora del Sartre «dialettico»), è tutta qui. Gli offesi, per una volta, hanno avuto a disposizione per la loro lotta, non una morale, ma una scienza: una scienza della storia e una scienza della natura. Con il marxismo, la filosofia, come scienza della verità, è entrata prepotentemente nell'arena della lotta politica e gli offesi hanno finalmente potuto fare a meno di una morale astratta, con il suo corredo ideologico di ideali e di valori. Brecht lo aveva capito benissimo: divenuti scienziati materialisti, gli ultimi si potevano liberare dal ricatto della virtù, alla quale venivano educati per sopportare stoicamente la loro miseria oggettiva. Il marxismo, per lui, assume il valore del Metodo, nel senso cartesiano e scientifico del termine. Lo qualifica con l'aggettivo «Grande» perché assicura non solo la conoscenza certa ma anche la liberazione dell'uomo e la possibilità di una vita finalmente «gentile», «al di là del bene e del male» (il marxismo di Brecht, da questo punto di vista, è profondamente nietzscheano). Senza tale incondizionata fiducia nella filosofia (cioè nella scienza), perfino gli orrori del comunismo, vale a dire la sua strutturale amoralità pragmatica, resterebbero senza spiegazione.
Alle spalle della sinistra attuale non vi è allora, come ingenerosamente si crede, il vuoto delle idee. L'imprecisione ideologica che la caratterizza, financo nel nome (che vuol dire infatti «democratico»?), è figlia di una crisi schiettamente filosofica. Non è soltanto la crisi del Grande Metodo quella che genera la nostra sinistra «post-moderna» e «post-materialista», ma è la crisi dell'idea stessa di scienza, della possibilità cioè di fondare la prassi concreta su di una episteme stabile (della società e della natura). Una crisi tutta novecentesca della quale è perfino inutile tracciare la storia tanto è nota. Venuto meno il rapporto con l'Assoluto, non restavano che i valori, gli ideali eterni di giustizia, le tradizioni più o meno nobili alle quali fare riferimento e con le quali sperare di persuadere una opinione pubblica artefatta: le «opinioni», insomma. L'alternativa di fronte alla quale una sinistra «leggera» si è trovata a scegliere era, dopotutto, quella posta dal vecchio Platone all'inizio della filosofia: o scienza o opinione, verità o retorica, pedagogia o seduzione. Se oggi le si rimprovera di assomigliare troppo al suo avversario è perché, rinunciando al materialismo, la scelta era obbligata: opinione, retorica, seduzione.
Il vicolo cieco nel quale si è cacciata è ben espresso da una grande mistica cristiana, materialista e platonica, Simone Weil. La Weil osservava, infatti, che quando le opinioni regnano sovrane, quando la scienza non è più in grado di guidare l'azione, la sola legge che decide quale opinione prevarrà è quella della forza e del prestigio: forza e prestigio della retorica, forza e prestigio del denaro, forza e prestigio delle armi. Tutte doti, lo sappiamo, date in grande profusione proprio all'avversario che vorremmo combattere. Se, dunque, non si vuole assistere alla definitiva metamorfosi della sinistra in ceto sociale minoritario, la questione teorica e pratica del materialismo (il Grande Metodo) deve essere posta all'ordine del giorno. Lo si dovrà fare però senza indulgere in tentativi ingenui di «rifondazione». La crisi del materialismo, la crisi novecentesca dell'episteme, dunque anche la crisi del marxismo, deve essere parte integrante nel nuovo discorso teorico materialista. Le ragioni che rendono allora particolarmente interessante oggi la lettura di un testo giudicato per molto tempo out of date come la Critica della Ragion dialettica di Jean Paul Sartre sta proprio nella sua pretesa di andare materialisticamente oltre il materialismo storico e dialettico.
Qualche libro a cui appellarsi
In un saggio denso, arduo e appassionante titolato La materia della storia. Prassi e conoscenza in Jean Paul Sartre (Ets, Pisa 2009), che ha il sapore del corpo a corpo intellettuale con un pensiero difficile e sfuggente, Florinda Cambria ha chiamato questo esperimento «materialismo assoluto». Sartre, scrive, non pensa la materia come dato inerte o come fatto costituito, ma come prassi in atto, come un farsi che si fa e che non è mai completamente fatto, e spoglia questo fare dalla dimensione «soggettiva» e «umana» che sembrerebbe implicare (anche nel suo pensiero precedente), per restituirlo allo «sfondo di immanenza» che lo contiene. C'è insomma fungente alle nostre spalle una specie di totalità aperta e in divenire che ci «avviluppa» (l'espressione è di Sartre), in cui i confini dell'organico e dell'inorganico, del naturale e della protesi tecnologica, dell'umano e del non umano, sfumano fino a perdersi.
La materia dei materialisti assoluti assume allora i contorni di questa totalità che non è né storia umana né natura oggettiva e che non cessa di presentarsi, con le sue «esigenze», in tutte le concrete «situazioni di penuria e di lotta» nelle quali siamo gettati.
Kalle e Ziffel, i due protagonisti del Dialogo di profughi di Brecht, avrebbero senz'altro apprezzato questo modo profondamente spinoziano di parlare della materia, così diverso, a giudizio di Ziffel, da quello dei «tedeschi» (cioè degli intellettuali), «i quali sono poco dotati per il materialismo. Anche quando ce l'hanno, ne fanno subito un'idea, e allora è materialista uno che crede che le idee derivino dalle condizioni materiali e non viceversa, e della materia non se ne parla più». Parlarne nuovamente è invece oggi assolutamente necessario. Per questo bisogna salutare come un importante evento editoriale la recente pubblicazione del dimenticato libro di un trascurato autore «marxista», Josef Dietzgen, L'essenza del lavoro mentale (Mimesis), un autodidatta di genio, conciatore di pelle e agitatore rivoluzionario internazionalista, che aveva suscitato, al suo primo apparire, nel 1869, gli entusiasmi di Marx e di Engels (il volume contiene inoltre in appendice la prima edizione critica integrale in italiano della Acquisizione della filosofia del 1895). Come ricorda il curatore del volume, Paolo Sensini, Dietzgen, muovendo da un'analisi materialistica del processo della conoscenza, spinge la sua ricerca fino all'elaborazione di una nuova filosofia della natura, di indubbio sapore spinoziano, nella quale la materia si spoglia della sua veste «metafisica» e «filosofica». Non più semplice cosa inerte data in spettacolo a un soggetto separato ma totalità che ci avvolge da ogni parte e di cui la conoscenza è un aspetto costitutivo, una continuazione con altri mezzi, quelli caratteristici della specie umana, come la funzione clorofilliana lo è per le piante. «Lo spirito umano, scrive Dietzgen, spiegato filosoficamente e che si autoriconosce, è un frammento, una parte della natura assoluta». Parole insolite per un materialista «duro e puro», che ci ricordano però come «materialismo», per i socialisti, non fosse soltanto sinonimo di una «teoria» ma indicasse una prassi avente come meta nientemeno che la reintegrazione dell'uomo nell'assoluto.

mercoledì 7 aprile 2010

A UN POVERO CHE CHIEDE LA CARITA' DEVI DARE CINQUE MONETE. TRE PER IL CIBO, DUE PER COMPRARE UN LIBRO




[di Alessandro Braga, da Il manifesto ]

Milano 04.04.2010

«Ripartire dalla cultura per uscire dalla barbarie»

Dario Fo giovedì sarà in scena per gli immigrati
«A un povero che chiede la carità devi dare cinque monete. Tre per il cibo, due per comprare un libro». Era scritto sul muro di una casa del popolo dei primi del Novecento. Dario Fo è convinto che sia necessario ripartire da lì, dalla cultura per il popolo, per uscire dalla barbarie che sta invadendo il nostro paese. Giovedì sera sarà al teatro Carcano di Milano con uno spettacolo a favore del Movimento immigrati primo marzo. Una piéce sull'immigrazione, sul palco ci saranno degli attori migranti. E ci sarà lui. Cosa dirà, di preciso, non lo sa ancora. Mentre parla, prende appunti. Gli vengono idee, spunti. Passa dal divano del salotto alla scrivania dello studio. Parla di Lega, degli immigrati di Rosarno. Ma anche di sant'Ambrogio e sant'Agostino.

Come nasce lo spettacolo?
Dal mio intervento durante lo sciopero dei migranti del primo marzo. Una manifestazione straordinaria, molto partecipata. In quell'occasione ho narrato l'origine della razza umana, la sua nascita in Africa per poi allargarsi a tutta la terra. Mi sono detto: dobbiamo andare avanti, fare altro. Ci siamo messi in moto e siamo arrivati allo spettacolo che giovedì prossimo porteremo in scena.

Uno spettacolo sull'immigrazione, a favore dei migranti. In questo momento e in terra lombarda è davvero in controtendenza.
Sì, perché mentre in altre nazioni si avanza, penso agli Stati uniti, che sono riusciti a eleggere un presidente nero, da noi c'è una recessione pazzesca, che genera odio e la paura dello straniero. Una sopraffazione dell'uomo sull'uomo che mi sconvolge. Ripenso a vari fatti di cronaca degli ultimi tempi e rabbrividisco. A come i neri di Rosarno venivano sfruttati, al fenomeno del caporalato. A quei lavoratori africani che hanno dovuto minacciare di darsi fuoco per farsi pagare gli stipendi. Ma anche a quella violenza terribile su bambini fatta in quella scuola veneta dove i ragazzini sono stati lasciati a pane e acqua perché i genitori non riuscivano a pagare la retta. Sono tutti segnali di come siamo caduti in basso dal punto di vista culturale.

Con la Lega che fa incetta di voti alle elezioni...
Perché falsifica la realtà storica dei fatti. Con questo spettacolo voglio smontare tutte le falsità, le furbizie travestite da cultura che portano avanti. E lo faccio andando a fondo nelle nostre tradizioni. Perché le radici padane non sono quelle della Lega, ma sono fatte di solidarietà e accoglienza. La storia insegna che a Milano è sempre stato così. Penso a sant'Agostino, un nero che è diventato quello che è stato. E poi sant'Ambrogio. Il più famoso vescovo di Milano era arrivato a dirsi favorevole alla comunità dei beni. E se un campagnolo veniva in città e aveva un mestiere era subito integrato nel tessuto della città, difeso a costo di guerre. La Lega queste cose non le dice, anzi rigira la storia a suo piacimento. Posso raccontare la storia dei monfortini?

Prego.
È un fatto che risale all'anno mille o giù di lì. Gli abitanti di Monforte d'Alba erano catari. Per questo il vescovo di Milano ha mosso guerra contro di loro. Quando hanno perso, sono stati obbligati a fare una scelta. O abbracciare una croce, o saltare nel fuoco. Molti di loro coerentemente hanno scelto la condanna a morte. È da questa storia che nasce poi nella toponomastica milanese corso Monforte. Pensa che l'unico sindaco leghista di Milano, Marco Formentini, voleva che quella zona fosse dedicata alla Padania. Senza capire il vero significato, che è quello di un riconoscimento della libertà. È uno dei tanti esempi della grettezza culturale di questi personaggi.

Ma basta ridare cultura al popolo per invertire questa tendenza, con le forze più razziste del panorama politico che aumentano i loro consensi?
Non basterà, ma è necessario provarci. Noi come sinistra abbiamo consegnato il popolo in mano a questa gente.

Appunto, la sinistra. Dov'è?
Più che altro dove dovrebbe essere. La strada da imboccare è semplice, e i fatti dimostrano che è quella giusta. Abbiamo vinto dove siamo tornati a fare quello che facevamo prima. Dobbiamo stare in mezzo alla gente.

venerdì 19 febbraio 2010

PER I SETTANTANNI DI DE ANDRE'




Il 70esimo compleanno di Fabrizio De André viene celebrato a Montichiari dall’Istituto statale Don Milani con una variegata serie di manifestazioni che si aprono nel prossimo weekend.
Venerdì 26 e sabato 27 febbraio al GardaForum di via Trieste si svolgerà infatti il convegno “De André canta la Costituzione”, appuntamento culminante del Progetto Faber, “itinerario didattico-educativo che in questi mesi ha approfondito i nessi fra il dettato costituzionale e il corpus del cantautore che, a undici anni dalla scomparsa, resta uno degli interpreti più autorevoli non solo della musica d’autore italiana ma anche delle esigenze mai sopite di collegare sempre più il paese reale al paese legale” come spiega il prof. Flavio Marcolini.
“L’obiettivo – sottolinea - è avvicinare alla conoscenza e interpretazione di testi di impegno civile, consentendo una comprensione originale dell’attualità di un autore che ha inverato gli aneliti contenuti nella Costituzione, al di fuori delle schermaglie politiche spesso interessate a polemiche di breve periodo e scarsa utilità più che ad affermare realmente i principi sanciti in una Carta che trova insospettabilmente nel genio sovversivo di De André un caleidoscopico megafono ad amplificarne il valore.
Illustrare ai ragazzi i diversi articoli attraverso le sue riflessioni in musica costituisce il miglior omaggio al lavoro svolto dai padri costituenti, che in tal modo viene affidato in forme attualizzate alla meditazione dei giovani, con l’auspicio che essi sappiano divenire, per dirla con don Milani, ‘cittadini sovrani di se stessi’ e difendere l’eguaglianza, la giustizia sociale e i diritti civili”.
Venerdì a partire dalle ore 9 interverranno Paolo Da Nuvola (pubblicista e docente di diritto nelle scuole milanesi), il chitarrista Giorgio Cordini (collaboratore per anni del cantautore genovese, nei dischi e in tournée) e soprattutto la vedova Dori Ghezzi che parlerà di “una vita insieme a Fabrizio”.
In serata alle ore 20.45 concerto di cover con i Diatonica. Sabato alle 8.30 toccherà ad Antonio D’Andrea (docente di diritto costituzionale alla facoltà di giurisprudenza della Statale di Brescia) e a Sandro Canestrini (avvocato trentino, difensore in processi politici come quelli della risiera di San Sabba, del Vajont, per l’obiezione di coscienza al servizio e alle spese militari, per la strage di Ustica) riflettere sull’attualità della Costituzione.
“Sin qui - racconta Marcolini - il progetto ha coinvolto decine di classi e si articolato in otto ambiti tematici dedicati ad ambiente, guerra, emarginati, giustizia, famiglia, religiosità, minoranze, democrazia e poteri occulti. In una prima fase essi sono stati sviscerati in lezioni frontali in aula e in attività di laboratorio. Dopo il convegno avremo altre occasioni di approfondimento. Da lunedì 19 a sabato 24 aprile alcune classi del liceo sociopsicopedagogico e sportivo del Don Milani in collaborazione con la compagnia teatrale “I Saggi e i Folli”, proporranno spettacoli monotematici ispirati all’opera del cantautore. Ancora teatro giovedì 29 aprile con “La pesantezza leggera di asini in volo”, piéce nella quale il regista Pietro Arrigoni ripercorre la vita di De André attraverso le sue canzoni, dirigendo sul palco del Teatro Gloria la compagnia stabile degli studenti della scuola di via Marconi”.
A maggio poi ci saranno le ultime due date. Sabato 8 dalle ore 8.30 in poi le alunne della terza A liceo sociopsicopedagogico, con gli alunni della scuola primaria, animeranno le piazze della città, cantando in coro canzoni come “ La guerra di Piero”, “Il pescatore”, “Andrea” “Geordie”, “Verdi pascoli” e tante altre. Sabato 29 gran finale con un concerto al Castello Bonoris: dalle ore 16 in poi la band del Don Milani (composta da un batterista, un bassista, due chitarristi, un mandolinista, un flautista, un sassofonista, un cantante e due coriste) e il maestro Mario Tononi, direttore del Coro polifonico “Ars Nova” di Carpenedolo, proporranno insieme ad altri artisti il repertorio di De André, sino alle 21 quando la serata verrà conclusa dalla esibizione del gruppo di Cordini “Mille anni ancora”. Tutte le iniziative sono ad ingresso libero.
Informazioni e prenotazioni al 328.9683409

lunedì 8 febbraio 2010

DALLA COMMISSIONE BIBLIOTECA - CULTURA




Martedì 26 gennaio 2010 si è svolta la prima commissione biblioteca della nuova amministrazione comunale.
Ha presieduto l'assessore alla cultura Stefano Vergano, che dopo una breve introduzione ha elencato i motivi e i passaggi in seguito ai quali la commissione è stata riunita così tardivamente.
Si è quindi passati alla nomina del presidente della commissione biblioteca. Il nome, indicato dalla maggioranza, è quello di Mascia Mirabassi, che ha ammesso candidamente di non avere particolari obiettivi e di essere alla prima esperienza di questo tipo. Mette comunque a disposizione la sua buona volontà nella speranza di dare un contributo positivo. Nessuno ha sollevato obiezioni quindi la nomina è stata accettata.
Il passo successivo è stata la lettura della bozza di carta dei servizi redatta dal bibliotecario Pierangelo Bono. Le nuove normative impongono che ogni biblioteca sia dotata di una carta dei servizi. Il documento consta di una decina di pagine in cui in dettaglio più che sufficiente vengono elencati i servizi a disposizione dei fruitori della biblioteca e il livello di qualità di tali servizi. Anche in questo caso non sono state mosse particolari obiezioni.
L'assessore Vergano ha poi illustrato un'informativa circa la stesura di un documento di regolamentazione della sponsorizzazione di attività culturali da parte di privati. Attualmente questo regolamento non esiste, quindi questo tipo di sponsorizzazione non è al momento possibile. L'intento è quello di rendere possibile un nuovo tipo di entrate nelle casse comunali, al fine di rendere possibili attività culturali superiori in qualità e in numero, garantendo, attraverso un regolamento, correttezza e trasparenza.I membri della minoranza hanno posto l'attenzione sui rischi di possibili condizionamenti esterni da parte di privati che, procedendo o meno alla sponsorizzazione, influiscano sulla buona riuscita delle singole attività.
L'assessore Vergano ha risposto che dell'attenzione è stata posta in questo senso; è comunque sempre il comune a proporre l'attività culturale. Poi il privato decide se sponsorizzare o meno. Durante la prossima commissione verrà presentata una bozza di tale regolamento.
L'ultimo punto all'ordine del giorno riguardava le attività culturali in programma. Tra queste, la rassegna teatrale al teatro Don Bertini, tuttora in corso, e un evento da organizzarsi in merito al giorno del ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata, di cui non ho al momento notizie più precise.

Marco Lazzaroni

giovedì 28 gennaio 2010

SI E' SPENTA LA VOCE DI TUTTI I RIBELLI




Oggi è morto a Cornish, negli Stati Uniti, Jerome David Salinger, l'autore di libri immortali come "Il giovane Holden", "Franny e Zooey", "Alzate l'architrave carpentieri", "Seymour" e "Nove racconti".
Se n'è andato d'inverno come le anatre del Central Park, in un giorno ideale per i pescibanana. E' volato giù nella segale nella collina, dalla parte che declina, dopo avere giocato per oltre 91 anni con la vita e con la scrittura. Volerà per sempre sulle ali dei sogni della nostra giovinezza.
Ora prendete i suoi libri, sfogliatene le visionarie pagine, leggete ad alta voce con i vostri amici le sue storie intrise di una sorprendente, vertiginosa purezza! E' tutto quel che resta, tutto quel che va.

martedì 15 dicembre 2009

HANS PETER DURR


un amico, enrico grazioli, ci gira cortesemente un estratto della rielaborazione dell'intervista a Hans Peter Dürr, fisico firmatario del trattato di Postdam 2005 e Nobel per la pace del 1995.


Goethe non sbagliava quando a inizio XIX secolo nel suo Italienische Reise scriveva “questo maestoso spettacolo della natura, questo delizioso quadro che è il Lago di Garda”. A conferma di questo fascino negli anni successivi lo visitarono altri personaggi come Byron, Klimt e Pound. Per la sua bellezza sempiterna in questi giorni, oltre alle tante famigliole di turisti, ha accolto il fisico tedesco Hans-Peter Dürr, che nato a Stoccarda nel 1929, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1995 con il gruppo Pugwash e nel 1987 il premio Nobel alternativo per il suo impegno a favore dell'uso pacifico dell'alta tecnologia.

L'insigne scienziato e autore di saggi e articoli sul rapporto tra scienza, politica, economica e spiritualità, è arrivato sabato a Moniga del Garda per incontrarsi con alcuni connazionali per parlare di energie alternative al petrolio, al gas e al nucleare. Il perché abbia scelto il Garda, già ne aveva conosciuto la sponda veronese qualche anno fa, lo esplica con un movimento del braccio a indicare il paesaggio e dicendo: «È un posto stupendo». Alloggiato al Residence Riai, ha ricevuto anche la visita del vicesindaco Claudio Soncina e dell'assessore al turismo Luigi Alberti, che lo hanno omaggiato con una targa di Moniga e dei calici dal gambo rosa dedicati al vino Chiaretto emblema della cittadina.

Stamattina ripartiva per la Germania con una serie di viaggi futuri in giro per il mondo per spiegare che «Il nucleare può solo creare danni. Il futuro è l'energia solare». Detta da lui, è una espressione che colpisce. «Io sono un fisico nucleare – dice – ma dico che bisogna sbarazzarsi del nucleare: è troppo pericoloso per noi. Può essere solo un disastro. Perché dovremmo costruire un reattore quando abbiamo il sole? Le grandi centrali nucleari sono un'idea antidemocratica che centralizza le fabbriche». Ognuno deve fare la sua parte, perché la democrazia non è solo votare il presidente: «Significa anche che tu sia coinvolto nel creare il futuro».

Dürr è uno dei tre firmatari del Manifesto di Potsdam, secondo cui ambiente economia società sono i tre filoni essenziali lungo i quali può e deve realizzarsi uno sviluppo sostenibile. Il Manifesto si richiama all'appello di Einstein e Russel del 1955 contro le armi atomiche, che anche secondo l'ospite gardesano «dovrebbero scomparire» e le centrali nucleari giocano un ruolo fondamentale: «Il maggiore pericolo è lo scarto radioattivo contenente plutonio che può essere utilizzato per armi come quella di Nagasaki. In Nord Corea l'hanno utilizzato».

Dürr è anche uno dei «founding councillors» dell'Ong World Future Council, che lavora per un futuro sostenibile in vari campi tra cui quello dei diritti umani, un tema d'attualità in Italia per la questione dei clandestini respinti in mare: «Si violano diritti umani in questi casi, ma dovremmo fare in modo che per ogni persona non sia necessario lasciare la propria terra. Ognuno dovrebbe avere un pezzo di terra dove sopravvivere, perché la dignità umana è provvedere a se stessi, alla famiglia». «Democrazia – conclude Durr - non significa che tutti sono uguali, ma che devono avere le stesse possibilità».


enrico.grazioli@gmail.com

sabato 12 dicembre 2009

SOLO IL FURTO HA FATTO NASCERE LA PROPRIETA' PRIVATA




[da una omelia di Sant'Ambrogio, vescovo di Milano]

«...Ricchi, non vi è nulla nella vostra attività di uomini che possa piacere a Dio. Anche se tenete appesa una croce sopra il letto e disponete di una cappella dove pregare soli e assistere alla messa. Voi vi stringete ai vostri beni, gridando «È mio!». No, nulla è vostro su questa terra. Il proprietario èsolo il Creatore; quello che credete di possedere è solo momentaneamente vostro, e serve per render palese la vostra ingordigia. Distribuitene, finché siete in tempo, ai disperati, ai derubati dalla vostra insolente avidità.
Nessun lascito sostanzioso alla chiesa e al suo clero vi salverà, voi disprezzate tanto gli schiavi e li considerate esseri inferiori, e non è colpacompletamente vostra giacchè vi hanno insegnato che anche dopo la morte la loro anima resterà quella di uno schiavo. No! Voi siete gli schiavi, anche nell'anima vostra, voi che vi abbrancate ai vostri beni come la tigna al grano.
Solo il furto ha fatto nascere la proprietà privata».

martedì 8 dicembre 2009

LA CIVILTA' FATTA PERSONA




[di aldo busi]


8.12.09 da M. L’unico aspetto interessante di una persona, e interessante molto più a lungo della sua vita emotiva e delle sue traversie esistenzial-sessual-sentimentali, è la sua cabratura civile e la sua lealtà verso i principi basilari della convivenza sociale. Di un essere umano mi interessa in che modo e quanto favorisce il lavoro nero o se se ne lascia sfruttare, anche per tornaconto, che rapporto ha con le istituzioni e se ne denuncia la corruzione e le mele marce o se ne è correo, se paga le tasse e se ne vigila criticamente la spesa pubblica, quanto è familista contro le famiglie altrui e i singoli, quanto è machista e omofobo e razzista e fanatico della sua setta religiosa quasi sempre per ragioni di portafoglio, quanto si avvale del proprio potere e denaro e privilegi, fossero pure culturali, per calpestare i fondamentali diritti altrui, se rispetta la coda agli sportelli, se sorpassa a destra, se distrae fondi pubblici per intascarseli, se è pervaso da un senso di giustizia non narcisista omologante il mondo a propria immagine e somiglianza e qual è il suo grado di ipocrita perbenismo, e se quanto e per quanto a lungo il suo dire è coerente col suo fare, se e quanto è riuscito a sconfiggere il suo istinto di rapina e a promuovere sulla sua pelle una democrazia non di facciata e, infine, se è riuscito a restare intelligente senza diventare un furbo che ipocritamente pensa di essere addirittura più intelligente degli altri. Non è importante riuscirci, è fondamentale averci provato – in ogni singolo istante della propria e altrui vita. Le storie degli uomini e delle donne, prive di questa intensità civile, i loro gioie e dolori, i loro amori, passioni, lutti, tradimenti, odi, generosità, sacrifici, sogni, successi e fallimenti e delusioni, e ideologie a parole, e i loro pro e i loro contro sono pettegolezzi ormonali tutti uguali e tutti ugualmente noiosi. E’ una vita che non incontro una persona interessante che lo resti per più di cinque minuti, e in Italia per più di tre. Non ci sarà alcun altro mio sms. E baci. A.B.

lunedì 7 dicembre 2009

SUL PIANETA ROSSO E BEFFARDO




MERCOLEDI' 9 DICEMBRE 2009
ALLE ORE 20.45
PRESSO LA SALA CIVICA MORELLI IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA A CALCINATO

ultima serata della rassegna cinematografica
"ITALIANI BRAVA GENTE?"
organizzata dal gruppo libertario Spartaco.

In programma "FASCISTI SU MARTE", film del 2006 di Corrado Guzzanti con C.Guzzanti, M.Mazzocca, P.Petrolo, A.Purgatori

Un manipolo di camicie nere, comandato dal gerarca Barbagli, nel maggio del 1939 parte alla conquista di Marte, "rosso pianeta bolscevico e traditor", dove combatte la popolazione locale, i Mimìmmi. Il film cita liberamente dai discorsi di Benito Mussolini e da alcuni film storici e vi aggiunge la satira sulla politica attuale, sulle grandi opere e sulle promesse elettorali e post-elettorali del governo Berlusconi. L'undici settembre, la teoria del complotto, il berlusconismo, le quote rosa, il problema dell'integrazione, gli immigrati, tutti temi riportati sullo schermo con un accuratissimo linguaggio che rifà il verso all'enfatico intercalare dei vecchi cinegiornali.

mercoledì 2 dicembre 2009

ALL'AMATO SE STESSO DEDICA QUESTE RIGHE L'AUTORE




Le quattro
pesanti come un colpo
a Cesare quel ch'è di Cesare
a Dio, quel ch'è di Dio

se io fossi piccolo
come il grande oceano
camminerei sulla punta dei piedi delle onde
nell'alta marea
sino a sfiorar la luna
dove trovare un'amata
uguale a me
angusto sarebbe il cielo
per potermi contenere

se io fossi povero
come un miliardario
che cos'è il denaro per l'anima
è un ladro insaziabile
si annida in essa
all'orda di tutti i miei più sfrenati desideri
non basterebbe l'oro
di tutte le Californie

se io potessi balbettare
come Dante, o Petrarca
accendere l'anima per una sola
ordinarle coi versi di bruciare
le parole del mio amore sarebbero
un arco di trionfo
pompose ed inutili
vi passerebbero le amanti
di tutti i secoli
dei secoli
e così sia


se io fossi silenzioso


come il tuono
gemerei, abbracciando in un tremito
il decrepito eremo terrestre
urlerò con la mia voce immensa
le comete torceranno le ali fiammeggianti
e giù si getteranno, a capofitto
per la malinconia
coi raggi degli occhi rosicchierei le notti

se io fossi buio
come il sole
ma perché mai dovrei io
abbeverare
con il mio splendore
il ventre dimagrato
della terra
morirò
porterò via con me
il mio amore immenso
in quali notti
quali malattie
da quali Golia fui generato
così grande
così inutile.