domenica 10 maggio 2020

Coronavirus: le novità dalla Cina raccontate dalla designer calcinatese Laura Mimini

Ci giungono aggiornamenti dalla regione cinese del Guangdong, la seconda regione fra le più colpite dal coronavirus, dove da un anno e mezzo vive la designer calcinatese Laura Mimini, che lavora per la Ewel, una azienda locale che vende prevalentemente prodotti legati al riscaldamento e alla ventilazione e investe su merci che esporta in tutto il mondo. 
“Io mi trovo a Shunde, un villaggio di 230 mila abitanti in provincia di Foshan, un grande polo industriale e tecnologico situato fra Hong Kong, Shenzhen e Canton” racconta. “Mentre in Italia la situazione epidemiologica a marzo si esacerbava, qui si attenuava lentamente, assestandosi a fine mese verso la crescita zero di defunti e contagiati. Poi, con la riapertura del traffico aereo internazionali, sono cominiciati ad arrivare viaggiatori un po’ da tutto il  mondo e qui nel sud della Cina c’è stato un secondo outbreak estesosi, seppur con una recrudescenza molto contenuta, fino a Hong Kong”. 
“I cinesi - prosegue - memori del dramma vissuto poco tempo prima, si sono spaventati e per gli aerei provenienti dal’estero i numeri dei voli consentiti son diminuiti drasticamente, son state intensificate le procedure di sicurezza e imposta la quarantena obbligatoria (da autopagarsi), mentre aumentavano i contagiati e le vittime. Dare la colpa agli stranieri è stato un attimo. In pratica è accaduto qui quello che era successo a febbraio in Italia: si vedevano gli stranieri come gli untori della situazione”. 
E questa psicosi collettiva si è rivolta anche contro chi era qui da molto tempo, come me” dichiara. “Oggi diversi cittadini, per lo più ignoranti e soprattutto le persone anziane, se per strada vedono in giro un occidentale cambiano direzione; sono evidentemente spaventati e hanno davvero reazioni che giudico poco piacevoli. In tutto il Guangdong, soprattutto nelle grandi città, si sono verificati preoccupanti episodi di razzismo impensabili fino a qualche tempo fa, con stranieri espulsi”. 
“È qualcosa di più grave della diffidenza” osserva. “Per esempio, qui a Shunde un paio di settimane fa io mi ero iscritta a un corso di yoga, trovando calore, accoglienza e professionalità nella direzione e negli insegnanti. Dopo la prima lezione, un gruppo di persone si è lamentato della mia presenza perché ero straniera e quindi la direzione mi ha chiesto di restarmene a casa e non frequentare più lezioni per almeno quindici giorni, una sorta di quarantena. Io ho cercato di spiegare loro che abito in Cina da molto tempo, poi visto che non la capivano non ho insistito, ho riavuto indietro la quota dell’iscrizione e me ne sono andata”. 
“Dal punto di vista medico-sanitario - secondo la giovane designer – la Cina continua invece a lavorare molto bene. Nonostante si sia usciti dalla fase emergenziale, la guardia non è mai stata abbassata. Continuano a far controlli sulle temperature corporee, consigliando caldamente di girare con la mascherina e altri dispositivi di protezione individuale, che diventano obbligatori in luoghi di forte assembramento come i centri commerciali. Ciascun residente è pure tenuto a munirsi di un ‘codice di salute’ attraverso il quale viene scansionato quando transita in determinate aree prestabilite, per  confermarne la salute, l’assenza di precedenti vitali, e la stabile dimora da tempo nel paese. Le informazioni invece lasciano a desiderare: si è collegato il ritorno del virus al ‘ritorno degli stranieri’, ma si trattava invece per il 95% di cinesi rimpatriati, è assurdo che un 5% di stranieri preoccupino così tanto la popolazione”. 
“Tutto il mondo è paese, oggi qui ieri in Italia” conclude. “Forse io sono un po’ ingenuamente ottimista; invece bisogna fare i conti con la triste realtà e capire che il genere umano è da ogni parte uguale”.

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