In vista
della celebrazione lunedì 10 febbraio della Giornata
del Ricordo, il Gruppo di ricerca storica del Centro per la nonviolenza di Brescia ha diramato una nota “sulle complesse vicende delle foibe, dell’esodo
dei giuliano-dalmati e delle vicende del confine orientale dopo la seconda
guerra mondiale”.
“Suscita
preoccupazione – spiega il portavoce Adriano Moratto, figlio di esuli - la
disinformazione con cui si affronta la tragedia delle foibe istriane, oggetto già
dopo l’8 settembre del 43 di interventi propagandistici, che isolandola dal
contesto storico e ignorando le responsabilità di chi quella guerra ha
scatenato, recupera acriticamente la pubblicistica nazifascista di allora”.
“Non ci si
può limitare a isolare singoli eventi, né fare finta che quella tragedia sia
maturata in forma indipendente da quelle che l’hanno preceduta” sottolinea.
“Faremmo un torto alle vittime italiane delle foibe e all'esodo di tanti nostri
connazionali dall'Istria e dalla Dalmazia, alle vittime nell'immediato
dopoguerra, alle decine di migliaia di donne e uomini che scapparono sotto la
pressione dei nazionalisti sloveni e croati, se non spiegassimo le ragioni che
stavano alla radice di quell'odio: la violenza e l'espansionismo fascisti, con
le loro innumerevoli e barbare stragi sul confine orientale. E, prima ancora,
la furibonda campagna di italianizzazione delle popolazioni slave durante il
ventennio di Mussolini, spinto invece a realizzare un preciso programma di
oppressione snazionalizzatrice dei sudditi del regno. Poi vennero la seconda
guerra mondiale dichiarata dall’Italia e l’invasione, nel ’41, al Regno
jugoslavo, i paesi bruciati, le stragi, le torture, i centomila civili
internati nei campi di concentramento italiani. E alla fine una ideologia
razzista anti slava militarmente praticata per lunghi anni dai fascisti si
rovesciò nella vendetta delle foibe con le centinaia di vittime ritenute
sommariamente responsabili delle violenza del regime (la cui “conoscenza”
prescinde in gran parte dalla ricerca storica più avanzata, prigioniera com’è
di un’informazione unilaterale e propagandistica veicolata dai principali
media) e nella “scelta” finale dell’esodo di tanti nostri connazionali da quei
luoghi”.
“La ricerca storica - conclude - dovrebbe
uscire dai vecchi schemi di sterili contrapposizione e lasciare a ricercatori
giovani e non coinvolti nelle diatribe dei testimoni, la possibilità di una
ricerca a tutto campo ora che sono disponibili anche documenti di fonte
yugoslava”.
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