domenica 9 febbraio 2014

Per la verità, sulle foibe...

In vista della celebrazione lunedì 10 febbraio della Giornata del Ricordo, il Gruppo di ricerca storica del Centro per la nonviolenza di Brescia ha diramato una nota “sulle complesse vicende delle foibe, dell’esodo dei giuliano-dalmati e delle vicende del confine orientale dopo la seconda guerra mondiale”.
“Suscita preoccupazione – spiega il portavoce Adriano Moratto, figlio di esuli - la disinformazione con cui si affronta la tragedia delle foibe istriane, oggetto già dopo l’8 settembre del 43 di interventi propagandistici, che isolandola dal contesto storico e ignorando le responsabilità di chi quella guerra ha scatenato, recupera acriticamente la pubblicistica nazifascista di allora”.
“Non ci si può limitare a isolare singoli eventi, né fare finta che quella tragedia sia maturata in forma indipendente da quelle che l’hanno preceduta” sottolinea. “Faremmo un torto alle vittime italiane delle foibe e all'esodo di tanti nostri connazionali dall'Istria e dalla Dalmazia, alle vittime nell'immediato dopoguerra, alle decine di migliaia di donne e uomini che scapparono sotto la pressione dei nazionalisti sloveni e croati, se non spiegassimo le ragioni che stavano alla radice di quell'odio: la violenza e l'espansionismo fascisti, con le loro innumerevoli e barbare stragi sul confine orientale. E, prima ancora, la furibonda campagna di italianizzazione delle popolazioni slave durante il ventennio di Mussolini, spinto invece a realizzare un preciso programma di oppressione snazionalizzatrice dei sudditi del regno. Poi vennero la seconda guerra mondiale dichiarata dall’Italia e l’invasione, nel ’41, al Regno jugoslavo, i paesi bruciati, le stragi, le torture, i centomila civili internati nei campi di concentramento italiani. E alla fine una ideologia razzista anti slava militarmente praticata per lunghi anni dai fascisti si rovesciò nella vendetta delle foibe  con le centinaia di vittime ritenute sommariamente responsabili delle violenza del regime (la cui “conoscenza” prescinde in gran parte dalla ricerca storica più avanzata, prigioniera com’è di un’informazione unilaterale e propagandistica veicolata dai principali media) e nella “scelta” finale dell’esodo di tanti nostri connazionali da quei luoghi”.
 “La ricerca storica - conclude - dovrebbe uscire dai vecchi schemi di sterili contrapposizione e lasciare a ricercatori giovani e non coinvolti nelle diatribe dei testimoni, la possibilità di una ricerca a tutto campo ora che sono disponibili anche documenti di fonte yugoslava”.

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