lunedì 23 gennaio 2012

Per la verità, sulle foibe...

Suscitano preoccupazione la leggerezza, la protervia e la disinformazione con le quali da più parti ultimamente si affronta la tragedia delle foibe istriane, oggetto di interventi a scopi propagandistici che tendono a isolarla dal contesto in cui maturò alla fine della seconda guerra mondiale.
Antidoto alla semplificazione interessata è, ancora una volta, la memoria storica, che non può essere ridotta a semplice ricordo, né limitarsi a isolare singoli eventi, ma richiede elaborazione per sedimentarsi nelle coscienze.
Fare memoria di un dramma così terribile come quello delle foibe non può consentire - alla onestà intellettuale dello storico, del politico, del cittadino - di fare finta che quella tragedia sia maturata in forma indipendente da quelle che l’hanno preceduta.
E’ doveroso ricordare solennemente le vittime italiane delle foibe e l'esodo forzato di tanti nostri connazionali dall'Istria e dalla Dalmazia, celebrare le migliaia di persone uccise nell'immediato dopoguerra durante l'occupazione jugoslava di Trieste, omaggiare le decine di migliaia di donne e uomini che abbandonarono le proprie case sotto la pressione del revanscismo sloveno e croato, condannare senza appello il nazionalismo e l'odio etnico.
Ma è altrettanto doveroso spiegare le ragioni che stavano alla radice di quell'odio: la violenza e l'espansionismo fascisti - con le loro innumerevoli e barbare stragi - sul confine orientale. E, prima ancora, la furibonda campagna di italianizzazione delle popolazioni slave durante il ventennio di Mussolini, negato a governare con giustizia territori plurietnici, plurilingui e multiculturali, spinto invece a realizzare un preciso programma di oppressione snazionalizzatrice dei sudditi del regno.
Non occorre essere nati fra Trieste e Gorizia per sapere che prima del fascismo quel confine non esisteva, né sulla carta, né soprattutto nelle menti e nella vita quotidiana di chi viveva in quei luoghi. Italiani, sloveni, croati si mescolavano, facevano gli stessi lavori, abitavano le stesse case, venivano sepolti negli stessi cimiteri. L'uno a fianco dell'altro. Il confine fu tracciato dopo e, anche se non c'era sulla carta geografica, cresceva e si alimentava nel razzismo istituzionale del regime.
Con l’avvento del fascismo furono aboliti tutti gli enti culturali, sociali e sportivi della popolazione slovena e croata, sparì ogni segno esteriore della presenza dei croati e sloveni, vennero chiuse le loro scuole di ogni grado, cessarono di uscire i loro giornali, i libri scritti nelle loro lingue furono considerati materiale sovversivo. Con un decreto del 1927 furono forzosamente italianizzati i cognomi di famiglia e migliaia di persone finirono al confino, le lingue croata e slovena dovettero sparire perfino dalle lapidi sepolcrali, furono cacciate dai tribunali e dagli altri uffici, bandite dalla vita quotidiana. Alcune centinaia di democratici italiani (socialisti, comunisti e cattolici), che lottarono per la difesa dei più elementari diritti delle minoranze, subirono attentati, arresti, processi e lunghi anni di carcere inflitti dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
E sugli infoibamenti il triste brevetto non è slavo, ma italiano, come si evince da una canzoncina in voga fra gli squadristi, che già negli anni Venti solevano gettarvi chi, fra i croati, aveva la pretesa, per esempio, di parlare nella lingua materna:

A Pola xe l'Arena
la Foiba xe a Pisin:
che i buta zo in quel fondo
chi ga certo morbin.
(A Pola c'è l'Arena,
a Pisino c'è la Foiba:
in quell'abisso vien gettato
chi ha certi pruriti).

Poi vennero la seconda guerra mondiale dichiarata dall’Italia alla Jugoslavia, i paesi bruciati, le stragi, le torture, i centomila civili internati nei campi di concentramento italiani (perché nessuno si ricorda di quello famigerato sull’isola di Arbe?). E alla fine un odio militarmente praticato per lunghi anni dai fascisti si rovesciò nella atroce rappresaglia delle foibe e nell'esodo finale di tanti nostri connazionali da quei luoghi.

6 commenti:

  1. Siete tutti fuori di testa: la canzone sulla foiba di Pisino l'ha inventata Giacomo Scotti, grande fabulatore e mistificatore della storia istriana e ignorante storico delle foibe; nel 2013 dobbiamo ancora trovare questo somaro che non insegna niente a nessuno! Vasco Vascon

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  2. Ci spiace che Vasco Vascon (ma è uno pseudonimo?) non sappia argomentare le sue ragioni e si riduca ad apodittici insulti gratuiti e senza uno straccio di motivazione.
    Parla dello storico Giacomo Scotti con epiteti irricevibili. Si possono discutere le scelte di Scotti che da oltre 60 anni vive in quei luoghi, ma non la sua conoscenza della situazione istriana pur così complessa e infarcita da memorie propagandistiche sulle vicende di una italianità perseguitata in quanto tale.
    Se Vascon crede di avere ragioni, le esponga e verificheremo la loro credibilità. Se invece il suo è un livore aprioristico per ragioni sue ne prendiamo atto e tale lo consideriamo.
    Ci chiediamo solo che cosa c'entri Giacomo Scotti con la canzoncina sulle foibe di Pisin. Da sedicente esperto di cose istriane quale si atteggia, il Vascon dovrebbe sapere che quel testo è stato pubblicato nel lontano 1919 in un libro intitolato "Trieste. La fedele di Roma" e all' epoca Giacomo Scotti non era manco nato.

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    1. La canzone della foiba di Pisino appariene a un canto popolare istriano del 1902 riportato da Franceco Semi nel libro 'El Parlar S'ceto e Neto De Capodistria'. Giacomo Scotti c'entra perchè i versi qui riportati sono opera sua e di altri che da lui hanno copiato - Ma appartengone a quel antico canto popolare. - a me riesce facile dare le prove -- quello che è difficile è farlo capire a chi presenta sempre Scotti come lo scopritore delle foibe -- io dico qui davanti a tanti italiani e giornalisci che Gaicomo Scotti è un falsario della storia italiana di cui non sa niente - della storia dell'Istria niente del tutto -- è solo un grande somaro -- da venti o tern t'anni racconta sempre le stesse balle e non è mai andato a vedere e informarsi su chi ha scritto quei versi -- Giacomo Scotti, perchè continuii a prendere per i fondelli gli italiani?

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    2. La canzoncina che presentate non la cantavano gli squadristi ma fa parte di un vecchio canto popolare istriano scritto da Guido Giorgeri nel 1902 presentato nel 1983 da Francesco Semi ne
      'El Parlar Neto E S'ceto De Capodistria' vasco vascon p.s. - se si corregge non si perde niente s si guadagna qualcosa.

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  3. Grazie agli ultimi due commenti per le loro precisazioni. Andremo a studiare.

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  4. Scotti Giacomo -- lo storico che fa diventare istriane le foibe di Tito! vasco vascon

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