sabato 27 novembre 2010

VERSO LA COP 16 DI CANCUN: QUALE RUOLO PER L'EUROPA?



di Elena Fanetti*

La ‘Sedicesima Conferenza delle parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico’ (COP 16) che si apre lunedì 29 novembre a Cancún è vista da molti come una nuova (e forse l’ultima) chance per il successo dei negoziati internazionali sul cambiamento climatico, dopo il “fallimento” dello stesso incontro tenutosi a Copenaghen l’anno scorso. Visto che quest’anno non potrò essere in Messico per seguire da vicino, come avevo fatto l’anno scorso in Danimarca, le vicende dentro e fuori la Conferenza, mi limito a monitorare il dibattito in corso a livello soprattutto europeo (al momento mi trovo a Maastricht per un incarico di lavoro).

L’Unione Europea vorrebbe infatti mantenere un ruolo chiave nelle negoziazioni, come era stato a Kyoto nel 1997, ed in parte anche a Copenaghen. È stato il Consiglio UE, nelle sue Conclusioni del 28 e 29 ottobre scorso, a riaffermare l’importanza di una posizione compatta e ferma di tutti gli Stati Membri a Cancún. Nel 2009, grazie soprattutto allo svolgimento della Conferenza in territorio europeo, ed alla conseguente leadership della danese Connie Hedegaard, oggi Commissaria UE per il Clima, l’Unione era riuscita a mantenere il ruolo di guida, almeno nelle prime giornate della Conferenza.

L’emergere al tavolo dei negoziati delle nuove potenze come la Cina, ma anche India, Sud Africa e Brasile, ed il ruolo sempre prominente degli USA, da sempre uno dei Paesi più clima-scettici, avevano fatto scivolare, durante gli ultimi giorni nella fredda capitale danese, l’Unione e gli Stati Membri in una posizione marginale. Si ricorda infatti che l’asse USA-Cina fece cadere nelle ultimissime ore della COP 15 l’accordo vincolante voluto da molti, in particolare gli Stati europei e quelli in via di svilluppo. Insomma, una cosa pare certa: se non vogliamo rimanere delusi anche da Cancún, così come avvenne a Copenaghen, non ci resta che abbassare le nostre aspettative.

Anche il dibattito interno all’Unione, infatti, non è del tutto promettente. In seguito alla volontà espressa dal Consiglio nelle sue Conclusioni citate sopra, la Commissione Europea avrebbe dovuto pubblicare settimana scorsa l’annunciata ‘Comunicazione sul Cambiamento Climatico e lo Sviluppo’. Una dozzina di bozze sono state preparate, e quella finale sottoposta al Gabinetto della Commissione in ottobre, ma non è stato possibile raggiungere alcun accordo sul documento finale, in particolare per il tema dei finanziamenti. Per questa ragione, e per la quasi concomitante pubblicazione del Libro verde ‘La politica di sviluppo dell'Unione a sostegno della crescita inclusiva e dello sviluppo sostenibile; potenziare l'impatto della politica di sviluppo dell'UE’, che si occupa anche di temi legati al cambiamento climatico, il Segretario Generale della Commissione ha deciso di cancellarne la pubblicazione. A detta di molti esperti di Think-Tank e centri di ricerca europei, però, la limitata sezione dedicata al cambiamento climatico in questo Libro non è certo sufficiente e non può sostituire una Comunicazione della Commissione interamente dedicata al tema.

Nonostante ciò, secondo i più ottimisti, c’è ancora speranza per un risultato soddisfacente a Cancún, ed un ruolo vitale e credibile dell’Unione Europea nelle negoziazioni. Un risultato positivo di Copenaghen era stato il raggiungimento di un'intesa relativa alla necessità di non aumentare il riscaldamento globale di più di 2 gradi rispetto alla media dell'epoca preindustriale. Il principale obiettivo della nuova Conferenza sarà il raggiungimento di un accordo vincolante, così come non si era riusciti l’anno scorso in Danimarca. Questo accordo dovrà contenere tutte le questioni più scottanti legate al cambiamento climatico. Ad esempio, dovrà garantire che l’impegno a mantenere il regime di mitigazione instaurato dal Protocollo di Kyoto si protragga anche dopo la sua scadenza nel 2012. Un altro importante obiettivo sarà la messa a disposizione dei paesi in via di sviluppo di finanziamenti aggiuntivi per far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico, che si aggiungerebbero, cioè, agli aiuti ufficiali allo sviluppo già stanziati dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo. Infine, le parti dovranno impegnarsi a ridurre le emissioni causate dalla deforestazione (REDD+), e a trasferire tecnologie “pulite” dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo.

L’opinione pubblica si aspetta che l’Unione Europea prenda l’iniziativa nel riavviare i negoziati al momento attuale già stagnanti. Per dare un segnale di fiducia, l’Europa dovrebbe aumentare le proprie ambizioni in modo da creare un ‘effetto di trascinamento’ che trascini, appunto, verso un accordo anche i Paesi più eco-scettici. Per fare ciò, i governi dell’Unione dovrebbero, ad esempio, prendere maggiori misure a livello nazionale per accrescere il risparmio energetico e ridurre le emissioni.

Come si colloca l’Italia in questo contesto? L’allarme lanciato qualche giorno fa dalla stampa europea indicava che se l’UE fallirà nel mantenere le proprie promesse di dare €2,4 miliardi in aiuti ai paesi poveri per il cambiamento climatico, questo sarà dovuto al fatto che l’Italia non manterrà l’impegno finanziario promesso, a causa dei tagli previsti dal nostro governo nella spesa pubblica (che fra tanti settori colpiranno anche questo). Questo primo passo falso non è certo un segnale positivo, non ci permetterà di mantenere un ruolo credibile all’interno del dibattito europeo, nè al tavolo dei negoziati la settimana prossima in Messico.

*Bresciana di 28 anni, è da alcuni mesi assistente di ricerca presso il Centro Europeo di Gestione delle Politiche per lo Sviluppo (www.ecdpm.org) a Maastricht.

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