sabato 2 giugno 2012

Il terremoto impone di ripensare il territorio

In questi giorni sembrano diventati tutti sismologi, geologi, architetti e strutturisti!
Nel confuso dibattito in corso sulla serie sismica che ha sconvolto la terra emiliana la risposta più chiara è arrivata paradossalmente da uno che non c'entra nulla con queste figure, giovedì sera nel corso della trasmissione “Servizio Pubblico” di Michele Santoro, dove Philippe Daverio ha detto delle sacrosante verità: l'Italia dovrebbe essere tutta a pari rischio sismico.
Per rimanere alla nostra zona, le falesie dell'Alto Garda mostrano come, centinaia di secoli fa, probabilmente l'invaso stesso del lago sia derivato dallo scorrimento relativo di due faglie che, guarda caso, con intervalli di circa un secolo fanno tremare la zona di Salò. Eppure Salò, nonostante due terremoti distruttivi in meno di cento anni, non è classificata col primo grado di rischio sismico. Allo stesso modo è giusto ricordare che la cosiddetta "Bassa Bresciana" non è un paesaggio pianeggiante omogeneo: esiste un gradino geologico tra Capriano e Castenedolo di circa 30 metri di dislivello; e proprio qui, nei pressi del Monte Netto (più o meno come a Mirandola) A2A sta progettando un bacino di accumulo del gas.
Per anni i sindaci si sono battuti per evitare che i propri comuni non rientrassero nelle classificazioni sismiche: perchè altrimenti le pratiche edilizie non potevano essere depositate da semplici geometri, ma dovevano essere calcolate da tecnici laureati e depositate presso opportune sedi di controllo (un tempo il Genio Civile di Brescia).
A Calcinato il terremoto di Salò ce lo ricordiamo tutti, nonostante non avessimo avuto grossi danni. E ora qualsiasi scossa in Emilia (distante meno di cento chilometri) viene percepita distintamente anche qui da noi; eppure siamo classificati come zona a basso rischio sismico.
Ma c’è di più. In tutti i corsi di geotecnica, geofisica e geologia (ma non acquisita dalla normativa, chissà perché..) viene insegnato che la faglia più rischiosa d'Europa è la linea Insubrica (la memoria della genesi Alpina), una fessurazione che parte dall'Insubria (zona del Verbano) e arriva in Slovenia attraversando le Alpi trasversalmente. Essa coincide sostanzialmente con la Valtellina e, ovviamente, implica il coinvolgimento delle sue vali trasversali a nord (il Cantone dei Grigioni) e a sud (le valli orobiche e le tre valli bresciane), oltre a quelle altoatesine e trentine, non da ultime la Val di Non e la Val di Genova. Se si pensa che in quest’area ci sono diversi invasi Enel nel giro di pochi km (in Valvestino, nella valle del Chiese e nel bacino del lago d'Idro, tanto per citarne alcuni) si può comprendere di quale rischio catastrofico stiamo parlando!
E continuiamo a sentir ripetere i media che i tempi della storia non ricordano catastrofi in queste zone (vero: solo se escludiamo il terremoto che rase al suolo, tra le altre, Brescia nel 1222, oltre a quello del 1117 che distrusse tutta la pianura, da Pavia a Verona, o a quelli del XIV secolo, che rasero al suolo Ferrara e pochi anni dopo Finale Emilia, implicando la ricostruzione e l'addizione erculea di Biagio Rossetti e la riedificazione del castello di Finale, tanto per concludere qui la lista).
La speranza è che il ministro Passera abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di annullare la mappatura sismica attuale e imporre la necessità di un calcolo antisismico di elevato grado di raffinatezza per ogni fabbricato su tutto il territorio nazionale, (limitando la prefabbricazione e le autocertificazioni industriali), il che equivale ad affermare quello che (dal mio modesto punto di vista) sostengo: il patrimonio edilizio italiano è obsoleto, inadeguato, da sostituire.
La soluzione? Occorre farsi forza, ammettere che l'idea che finanza ed edilizia potessero generare ricchezza all'infinito, sostenersi a vicenda e accrescere il Pil a dismisura, in una spirale autoalimentata era ed è una bufala (l'investimento edilizio per troppi anni è purtroppo stato l'unico, e troppo facile, chiavistello per accede a finanziamenti bancari) e ammettere di aver ecceduto nella fiducia nell'investimento nel mattone.
L'Emilia e la sua catastrofe potrebbero diventare l'occasione della sperimentazione urbanistica e il laboratorio dell'Italia futura. Pare, notizia di oggi, che parecchie zone produttive dei Comuni colpiti saranno interessate da ordini di demolizione generali. Probabilmente sarebbe giusto così: intervenire radicalmente, piuttosto che pretendere un adeguamento. Da lì bisognerà cominciare a demolire i fabbricati di tutta Italia (iniziando, paradossalmente da quelli più recenti) e ricostruire tutto. E magari in parallelo progettare una nuova idea di città, di convivenza, di territorio e di produzione: il riscatto di un generazione che, ad oggi, non ha futuro, perché schiacciata in modelli precedenti, consapevolmente superati, ma apparentemente incontrovertibili.
Ci vorranno anni e quindi forse varrebbe la pena iniziare subito.
Flavio Vida

Nessun commento:

Posta un commento