lunedì 31 ottobre 2011
Un'ora di silenzio per i migranti defunti tentando di giungere in Europa
“Oggi che si commemorano i defunti - osserva il portavoce Adriano Moratto - ricordiamo che dal 1988 almeno 13.056 persone sono morte annegate nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico verso le Canarie (2.049 soltanto dall'inizio del 2011), 8.244 non sono mai state recuperate; 1.703 o più persone invece son decedute nell’attraversare il Sahara dal 1996”.
“Sono persone che muoiono giorno dopo giorno, anno dopo anno” sottolinea. “E i loro corpi, le loro storie, le loro vite finiscono nell’oblio, seppelliti in fondo al Mediterraneo o nel deserto libico, per la violenza, gli stenti, l’indifferenza. Sono morti senza nome, cancellati dalla vita e dalla memoria. Lo sanno le loro madri, i loro padri, le loro sorelle, i loro fratelli le loro figlie e i loro figli: li hanno visti partire e non ne hanno saputo più nulla. Non hanno un posto in cui andare a piangerli. Per loro non una tomba. Per loro non un fiore”.
Per informazioni e adesioni si può telefonare ai numeri 347.8640893 o 339.6243617 oppure inviare una e-mail all’indirizzo movimentononviolento.bs@alice.it.
domenica 30 ottobre 2011
Linea Indipendente è fuori di sé
A Calcinato la vita politica negli ultimi anni si è ridotta alla sterile contrapposizione fra due coalizioni che si sono alternate alla guida della comunità, rinchiudendosi sempre più in una sorta di “cittadella del potere” riservata ai pochi addetti ai lavori.
Noi riteniamo necessario liberare la discussione da questi limiti, rilanciando la partecipazione della cittadinanza affinché si riappropri del diritto-dovere di decidere consapevolmente del proprio futuro, con procedure democratiche, mentalità dialogante e spirito costruttivo.
Per fare ciò pensiamo che si debba creare una lista politica che raccolga l’eredità della parte migliore di quanto a sinistra si è mosso a Calcinato fino a ieri, ma che oggi non esiste quasi più: un movimento alternativo alle destre e autonomo dal Partito Democratico, che si ponga l’obiettivo di promuovere e tradurre nella nostra comunità, con iniziative e proposte concrete e credibili, i valori legati alla libertà di tutte e di tutti, alla solidarietà verso i più bisognosi, alla tutela del territorio e dell’ambiente.
Cerchiamo perciò di approfondire le questioni prima di proporre le soluzioni ai problemi, di promuovere la partecipazione dei cittadini prima di decidere cosa fare.
Guardiamo all’oggi e progettiamo il domani, con questi obiettivi per la nostra comunità:
· la difesa dell’ambiente da vecchie e nuove cave e discariche, oltre che da faraoniche opere pubbliche come l'alta velocità ferroviaria;
· la salvaguardia del territorio da uno sviluppo urbanistico ed edilizio esagerato, più legato a particolari interessi economici che ai reali bisogni della collettività;
· la diffusione di pratiche virtuose legate al risparmio e all’efficienza energetica nell’ edilizia pubblica e privata, e l’incentivazione all’ utilizzo di fonti energetiche alternative (come il solare e il fotovoltaico);
· promuovere un piano di edilizia veramente economica e popolare (anche per ridurre gli affitti delle case di proprietà privata), piano assurdamente trascurato proprio in questi ultimi vent’anni, durante i quali i governanti ci hanno ‘regalato’ il più vistoso incremento edilizio che Calcinato abbia mai sopportato nella sua storia;
· la promozione della raccolta porta a porta dei rifiuti e il contestuale studio di sistemi innovativi per il servizio istituendo una tariffa che premi chi riduce e ricicla i rifiuti;
· una gestione della spesa pubblica più sobria e oculata, che non butti il denaro pubblico in cementi, sovvenzioni e luminarie, ma consenta di risparmiare il più possibile per trovare i fondi necessari (e mai sufficienti) per l’istruzione pubblica, per il potenziamento dei servizi sociali e di assistenza, per rilanciare l’iniziativa del Comune nei settori della cultura e dell’aggregazione sociale;
· la partecipazione dei cittadini attraverso comitati di quartiere e di frazione (per la diretta e responsabile gestione del potere, intesa come servizio comunitario) e con forme di consultazione popolare che precedano l’approvazione del bilancio comunale e dei piani delle opere pubbliche;
· la riassunzione sotto il controllo del Comune e dei suoi organi tutti i servizi che in questi anni sono passati in gestione a società separate o private (la farmacia, l’acquedotto, il cimitero, la raccolta dei rifiuti, la gestione del verde e degli impianti sportivi) senza miglioramenti della qualità dei servizi resi ai cittadini;
· la promozione della convivenza e del rispetto dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini e le cittadine, di ogni colore, etnia e nazione che a Calcinato vivono, lavorano, studiano, si impegnano, si divertono e si confrontano con gli altri.
sabato 29 ottobre 2011
In morte di Ionut
Lascia la famiglia e una giovane fidanzata incinta. Lascia gli amici del campo di via Campagna. Lascia una breve vita vagabondata al sole e alle piogge delle nostre terre. Lascia a tutti nel cuore una domanda da troppo tempo senza risposte: perché?
venerdì 28 ottobre 2011
Padre Alex Zanotelli lunedì 31 ottobre a Molinetto
Leader nazionale del movimento per la nonviolenza, Zanotelli è salito alla ribalta delle cronache a partire dagli anni '80, quando dalle pagine del mensile “Nigrizia” prese a denunciare con puntualità le connessioni fra commercio delle armi, corruzione e sottosviluppo nel sud del pianeta. Anche per questo nell'87 fu inviato dalle autorità ecclesiastiche in missione nella baraccopoli kenyota di Korogocho, dove fino al 2004 ha condiviso la sorte dei poveri, dei malati e degli oppressi lavorando con gli abitanti che sopravvivevano riciclando e riutilizzando i rifiuti di una maxidiscarica.
Stabilitosi a vivere successivamente in una comunità religiosa nella periferia napoletana, in questi mesi è impegnato in un serrato tour nelle città della penisola per la promozione di una economia ecocompatibile e comunitaria, partendo dall’educazione a un consumo consapevole, che sia critico nei confronti degli iniqui meccanismi che regolano i rapporti fra i produttori dei paesi in via di sviluppo e i distributori delle merci, e dalla promozione del circuito del commercio equo e solidale con una rete di cooperative agroalimentari che garantiscono la qualità sociale e la genuinità dei prodotti.
L’incontro con Zanotelli avrà inizio alle ore 20.45.
giovedì 27 ottobre 2011
Una conferenza sulla violenza di genere
Per riflettere su questa preoccupante realtà domenica 30 ottobre sarà a Calcinato l'antropologa Michela Zucca, nell'ambito di un convegno del gruppo libertario Spartaco sul tema "La violenza sulle donne non fa notizia".
Collaboratrice dell'Università della Svizzera Italiana, la studiosa milanese ha svolto ampi lavori di campo in Sudamerica fra gli sciamani amazzonici. E' specializzata in cultura popolare, storia delle donne e analisi dell'immaginario e si occupa di formazione e sviluppo sostenibile in comunità rurali marginali, soprattutto alpine, come consulente di enti pubblici e privati. L'appuntamento è alle ore 17 la sala civica Morelli in Piazza Repubblica.
mercoledì 26 ottobre 2011
In Comune son finiti i soldi (per i poveri)
Fino alla fine dell'anno il Comune di Calcinato non erogherà più contributi economici di solidarietà sociale ai bisognosi poiché il denaro stanziato a più riprese nell'ambito della programmazione economica dell'amministrazione è esaurito. La notizia è resa noto da un cartello ben visibile da qualche giorno all'ingresso dell'ufficio servizi sociali al piano terra del municipio.
Ne parliamo con il sindaco Marika Legati, che ha fra l'altro anche la delega proprio ai servizi sociali. Il primo cittadino precisa che "si tratta di due tipologie di contributi previsti dalla normativa vigente, quelli per il minimo vitale (destinati ai nuclei familiari con un indicatore economico fino ai 5 mila euro annui) e i contributi straordinari erogabili fino ai 9mila euro in seguito ad una istruttoria dell'assistente sociale a fronte di gravi disagi economici causati dalla perdita del lavoro o da uno sfratto. Mentre molti degli assegni di minimo vitale hanno natura ormai cronica, quello del contributo straordinario è un fenomeno nuovo e quindi più preoccupante".
"Complessivamente - prosegue - sono una sessantina i cittadini ai quali eroghiamo il minimo vitale, in tranche mensili variamente versabili. Una ventina invece quelli che, dopo aver compiuto le necessarie indagini propedeutiche, godono del contributo straordinario, mille euro annuali una tantum. Il dato allarmante di quest'anno è stato che vi ricorrono per la prima volta anche persone che non si sono mai rivolte ai servizi sociali. Si tratta per lo più di nuclei familiari dell'età media di 40 anni, con genitori che han perso il lavoro e qualche volta anche la casa".
"Quasi la metà sono italiani - sottolinea - così come concittadine sono il 40% delle famiglie sfrattate". Quella degli sfratti è un'altra emergenza sul territorio. "Praticamente ogni settimana ne abbiamo uno" spiega il sindaco. "Nell'80% dei casi - osserva - si tratta di persone in grave stato di indigenza, per il 40% italiane. Per affrontare adegutamente il fenomeno e proteggere soprattutto i minori stiamo spendendo ingenti somme di denaro per garantire alle famiglie la sistemazione nelle case alloggio".
Ma torniamo ai fondi esauriti. "E' vero che non possiamo più istruire nuove pratiche - afferma il sindaco - ma dobbiamo anche dire che ciò accade ora a fronte di un intervento che nel 2011 ha visto il bilancio di previsione dei servizi sociali aumentare del 20% rispetto all'anno scorso. Da ggennaio ad oggi poi abbiamo ulteriormente incrementato di altri 200 mila euro la cifra disponibile con una serie di variazioni di bilancio, a dimostrazione del notevole impegno economico profuso in questo ambito dall'amministrazione".
"Naturalmente - informa - prosegue regolarmente l'erogazione dei bonus gas ed energia, i contributi per gli affitti, per le famiglie numerose, per gli anziani autosuffficienti e per le badanti".
Il primo cittadino non si nasconde comunque la drammaticità della situazione. "Il Comune da solo non ce la può fare a lungo termine. Occorre intensificare le sinergie: da noi funziona bene una rete di coordinamento di tutti gli enti assistenzialistici, che vanno dalle Caritas al Centro aiuto alla vita di Rivoltella alle parrocchie".
flavio marcolini
martedì 25 ottobre 2011
Un bell'Orto in Condotta
Sul territorio, ad accogliere l’iniziativa di educazione dei bambini allo sviluppo della sfera sensoriale facendo loro comprendere l’importanza dei prodotti alimentari, sarà la scuola dell’infanzia comunale “Antonio e Maria Bianchi” della frazione di Ponte San Marco.
Il progetto, che coinvolge più di quattrocento scuole in tutta Italia, fa parte delle iniziative di educazione al gusto attivate da Slow Food. L’Orto in Condotta si rifà ai tre principi cardine della filosofia dell’associazione: buono, pulito e giusto. Buono, perché attraverso un serie di laboratori di analisi sensoriale allena ragazzi e genitori a distinguere i cibi sulla base della qualità organolettica, per imparare a richiedere e monitorare anche la qualità delle mense. Pulito, perché i ragazzi imparano a utilizzare metodi produttivi biologici e biodinamici, a ricercare e salvaguardare i semi di varietà orticole della tradizione locale, a considerare come prioritaria la riduzione delle miglia alimentari ricercando cibo del territorio. Giusto, perché promuove la trasmissione dei saperi fra generazioni, valorizzando il ruolo sociale di persone anziane e volontari e la collaborazione fra realtà diverse, tramite il gemellaggio anche con realtà del Sud del pianeta, e perché persegue la giustizia sociale attraverso la creazione di condizioni di lavoro rispettose dell’uomo e dei suoi diritti.
Il progetto dell’Orto in Condotta – oltre alla creazione e coltivazione di un orto a scuola – prevede anche la realizzazione di corsi di formazione per insegnanti, incontri informativi per genitori, attività didattico-educative con gli studenti in classe, in cucina e nell’orto stesso, la realizzazione di piccoli eventi come mercatini o merende.
Da martedì quindi l’asilo di Ponte San Marco verrà inserito nelle reti italiana e internazionale degli School Gardens nonché sul sito www.slowfood.it con una scheda descrittiva che permette ad ogni esperienza di essere conosciuta e valorizzata, con l’obiettivo di favorire lo scambio tra le diverse realtà aderenti alla rete e non solo. Per i bimbi calcinatesi ci sarà inoltre la possibilità di partecipare all’edizione 2012 di Terra Madre, la popolare manifestazione agroalimentare che Carlin Petrini e i suoi operatori organizzano ogni anno per valorizzare esperienze genuine, biologiche ed ecocompatibili.
lunedì 24 ottobre 2011
Muhammar
Muhammar
Braccato da aerei sibilanti,
in una strada logora,
le pareti screpolate,
non ci sono mobili
a cui potersi aggrappare.
"Figlio, figlio!" urli,
ma il buio non ti risponde.
"Papà, papà!" chiama,
e tu non lo senti.
Poi, un abbraccio convulso,
due corpi si toccano;
una breccia e, dal tetto,
si vede un cielo pieno zeppo
di punti neri che scendono veloci.
Noi, nell'altra stanza,
si sta al sicuro,
siamo alleati, degli americani.
Dobbiamo soltanto
non farti fuggire,
orribile mostro
che spargi il terrore
negli aeroporti d'Europa.
Ti vogliono uccidere,
fartela smettere.
Ma, che vadano al diavolo!
Io vengo di là e vi porto via,
te e tuo figlio.
Mi scosto dal gruppo,
ti copro di azzurro,
andiamocene da questa tomba.
Saliamo sull'automobile
e, come d'incanto,
viaggiamo verso mia moglie.
Non te lo dirò che siamo italiani
perché io non sono tuo nemico.
Non ti dirò che andiamo in Italia,
sulle Alpi, a sparire da qui.
E tu vieni e fai domande confuse,
ricevi confuse risposte e ti conforti.
Tuo figlio è tra le mie gambe
e tu, steso dietro,
parli con mia moglie.
Nessuno ti deve scoprire!
E i turisti chiedono chi sei.
Sei il mio cugino arabo
(con un poco di barba
sembri già meno quel mostro
che tutti ti pensano).
Accenno improvviso uno strano dialetto
per fingere che so parlare con te.
In vero non so, non riesco
a capire le tue parole e i tuoi pensieri.
Poi, strani, sembrano scoprire chi sei,
si offusca l'immagine, prendon tuo figlio,
il sogno mi scoppia in mente, la sveglia è improvvisa.
sabato 22 ottobre 2011
«L'odio seminato in Libia provocherà ancora scontri e tante vittime»
«Il raìs è morto, ma il paese è stremato e distrutto da una guerra civile non ancora conclusa»
L'uccisione di Muammar Gheddafi è già un «giallo». «Grazie alla nostra offensiva», rassicura un portavoce del Cnt, e un altro precisa «era ferito alle gambe, non sparate ha gridato, è stato portato a Misurata e nel trasporto è morto», «Ferito alle gambe e colpo mortale alla testa» cambia versione un altro comandante degli insorti, «No, l'ho visto su un cellulare, era vivo al momento della cattura» testimonia Tony Birtley inviato di Al Jazeera. Poi la conferma della versione più credibile: sono stati i cacciabombardieri o gli elicotteri Nato che hanno colpito a più riprese il convoglio di decine di macchine che, con quella di Gheddafi, provava a forzare il blocco prima verso Bengasi poi verso Misurata. Un convoglio che ha continuato a combattere fino alla fine. Sulla morte del raìs abbiamo rivolto alcune domande allo storico del colonialismo Angelo Del Boca, biografo di Gheddafi.
Quale idea ti sei fatto degli avvenimenti che hanno portato alla morte di Gheddafi?
Nella confusione totale un dato è certo: Gheddafi, uomo che veniva dal deserto e che per 42 anni ha retto un paese tribale come la Libia, è morto ed è morto ucciso. Ancora non sappiamo bene se a stroncare la sua vita sono stati gli insorti in combattimento oppure, com'è più credibile, uno degli undicimila attacchi aerei della Nato che hanno fatto la differenza. Noi propendiamo per questa più veritiera versione, perché il modo di combattere degli insorti è sempre stato molto impreciso, casuale e a volte addirittura ridicolo. E senza i raid della Nato gli insorti non avrebbero prevalso. Se sono stati gli aerei o gli elicotteri dell'Alleanza atlantica a conquistare questa vittoria che dovrebbe mettere fine ad una guerra che doveva durare «poche settimane» ed è invece durata otto mesi, dobbiamo dire che la Nato ha fatto una brutta figura. Sperperando il denaro del contribuente occidentale che dovrebbe essere prezioso dentro il baratro della crisi finanziaria. Quando si faranno i calcoli precisi si scoprirà che sono state gettate sulla Libia, «per proteggere i civili», dalle 40 alle 50.000 bombe ovviamente intelligenti, che oltre a stragi silenziose hanno provocato la devastazione del territorio anche per il futuro.
C'è un giornalista libico, Mahmoud al-Farjani che ha raccolto la testimonianza dei miliziani del Cnt che avrebbero trovato il corpo, e che dicono che «ha combattuto fino alla fine, aveva segni di ferite alle gambe e al busto»...
L'ho detto fin dal primo giorno di guerra. Gheddafi non era l'uomo che poteva prediligere la fuga né un compromesso. Poteva soltanto morire con un'arma in mano. Da questo punto di vista, ha fatto la morte che voleva. E le modalità della sua uccisione rischiano anche di trasformarlo in un mito, anche perché non ci sono molti altri esempi in giro.
L'uccisione in combattimento di Gheddafi facilita la pacificazione della Libia?
Assolutamente no. Perché la Libia è distrutta, è un paese tutto da ricostruire, con gli arsenali di armi abbandonati e rivenduti al miglior offerente. Parlare di normalizzazione della Libia è a dir poco un termine impreciso. E tutto quello che era stato fatto per bloccare la deriva dell'integralismo islamico è andato in fumo. Mi sembra che se ne sia accorta perfino la signora Clinton perché ora vuole inviare soldati per cercare tutte queste armi sparite. Altro che pacificazione, sono troppi gli odi e le vendette che sono state accese. È stata una vera guerra civile, perché non erano poche migliaia di persone quelle schierate con Gheddafi ma centinaia di migliaia. E non è ancora finita, l'odio seminato dalla presenza neocolonialista dell'Occidente provocherà ancora scontri e vittime. Proprio nel ricordo del giovane ufficiale che nel '69 fece una rivoluzione senza spargere sangue.
Ora vediamo gli spari di gioia degli insorti e il titolo televisivo è che tutti i libici festeggiano...
Chi festeggia davvero, visto che la violenza repressiva di Gheddafi per gran parte si è riversata nel tempo contro rivolte interne spesso collegate a interessi occidentali ma soprattutto, e per conto dell'Occidente, contro gli integralisti islamici (vedi il massacro di Abu Salim del 1996). Mentre restano incerti, a partire da Lockerbie, le stragi terroristiche che alla fine la leadership di Gheddafi si era accollate proprio quando emergevano ben altre responsabilità. Per Lockerbie, per esempio e lo sanno tutti, quelle dell'Iran per ritorsione all'abbattimento di un aereo civile iraniano ad opera della Marina militare Usa.
I leader occidentali tirano un sospiro di sollievo...
Nel centenario dell'occupazione coloniale della Libia, La Russa e Frattini - ricordiamoci che il nostro ministro degli esteri indicava in Gheddafi «l'esempio da seguire per tutta l'Africa» - sono entusiasti, doppia esultanza per Sarkozy che nello stesso giorno diventa padre ed eroe, e per Hillary Clinton che forse più di Obama si è spesa per questa guerra. Alla fine Ronald Reagan, che più volte provò ad assassinare il Colonnello libico, ha avuto ragione...
venerdì 21 ottobre 2011
Dei mezzi e dei fini nelle manifestazioni di protesta
L'obiettivo dell'incontro, in preparazione da diverso tempo, è quello di coinvolgere le persone interessate a riflettere su come e perché manifestare il proprio dissenso nei confronti dell’attuale situazione politica, soprattutto dopo le violenze di sabato scorso a Roma. Interverrà, fra gli altri, Adriano Moratto, membro del coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento. L’appuntamento è alle ore 10.
giovedì 20 ottobre 2011
Lettera aperta a quelli del black bloc
Marina Petrillo
martedì 18 ottobre 2011
Una vittoria di tutti
Nei giorni scorsi la quinta sezione del consiglio di Stato, presieduta dal giudice Calogero Piscitello, ha confermato una sentenza del Tar di Brescia che già il 12 marzo 2010 aveva dichiarato legittimo l’atto condannando in quella sede Enel Sole a pagare 9mila euro di spese legali.
Ora, secondo i giudici di Palazzo Spada, “l’esercizio del diritto di riscatto non è subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, in quanto la mancata definizione consensuale della questione patrimoniale implica la remissione della controversia economica ad un collegio arbitrale”. Da oltre un anno e mezzo l’acquisizione degli impianti ha consentito, per esempio, all’amministrazione comunale di Calcinato di aprire alle nuove tecnologie e metodi costruttivi che potrebbero in futuro portare ad una riduzione della bolletta elettrica e a un abbattimento dei costi di manutenzione e gestione, spezzando la sudditanza monopolistica del servizio e garantendo importanti risultati gestionali ed economici.
lunedì 17 ottobre 2011
Chi si ricorda di György Lukacs?
biblioteche che, fra l’altro, dalle nostre parti sembrano autorizzate a disfarsi di volumi che non vengono consultati da più di 10. I suoi libri sono coperti dalle polveri del tempo per ragioni niente affatto casuali. Sulla rimozione culturale, oltre che politica, delle sue fulgide intuizioni, hanno certamente influito dapprima gli eventi che hanno condotto allo smantellamento del blocco filosovietico e poi, soprattutto, la madornale amnesia collettiva che ha colpito le sinistre un po’ in tutto il mondo.
Tuttavia per comprendere la complessità del presente è impossibile non soffermarsi sul pensiero di questo filosofo e critico letterario, erede della grande tradizione speculativa tedesca che va da Kant a Hegel a Marx. Questa tradizione pone al centro della propria riflessione la categoria della totalità, intesa da Marx come “il dominio determinante e onnilaterale dell’intero sulle parti”. L’analisi di Lukacs mira a scoprire i nessi e le mediazioni che collegano le parti fra di loro e con l’intero.
Ciò è evidente nell’impostazione del suo pensiero estetico e nella critica letteraria, ambiti che, lungi dal costituire luoghi di studio separati dal contesto sociale, hanno per lui il compito di contribuire alla sostituzione di ciò che l’esistenza è nella società borghese con ciò che dovrebbe essere, dell’uomo lacerato e scisso della società capitalistica con l’ “uomo intero” che ha nel socialismo la sua realizzazione.
Quando Lukacs approda al marxismo, fra il 1917 e il 1918, è già celebre per la sua avversione al proprio ambiente sociale (era figlio di un noto banchiere di Budapest) e a quella che lui chiama “epoca della compiuta peccaminosità”, che non consente alcuna riconciliazione con la realtà e che lo spinge a ricercare nell’arte quella vita autentica alla quale aspirava. Nella critica all’esistenza sempre più artificiale della civiltà capitalistica nella grande città moderna, della quale coglie la meccanicità in opposizione al carattere organico della vita comunitaria nelle epoche precedenti, si trova la radice del suo marxismo.
Già nella “Teoria del romanzo” (1920) Lukacs delinea una sorta di filosofia della storia comprendente sostanzialmente due epoche antitetiche: l’epoca greca, della vita piena dell’ “uomo intero”, in cui non è ancora avvenuta la scissione fra dimensione interiore ed esteriore, e l’epoca borghese, considerata, appunto, “della compiuta peccaminosità”. Espressione poetica della prima e l’epos, della seconda il romanzo, di cui traccia una evoluzione culminante nella “Educazione sentimentale” di Flaubert, tipico racconto della disillusione dell’individuo che scopre quanto la società e il mondo siano totalmente estranei ai suoi valori.
Impressionato dagli orrori del primo conflitto mondiale, Lukacs si iscrive nel 1918 al Partito comunista ungherese e partecipa al breve esperimento della Repubblica dei Consigli di Bela Kun. In questo periodo viene accusato di idealismo esasperato, sia dal movimento socialdemocratico che da quello bolscevico. Dopo la tragica fine di quell’esperienza, si rifugia prima a Vienna e, dopo l’avvento del nazismo, a Mosca dove rimane fino al 1945.
Tra i due schieramenti del movimento operaio internazionale, opta per quello comunista, benché debba ad esso pagare il prezzo dell’autocritica e dell’abiura delle opere giovanili. Come molti altri intellettuali, non sa “fare parte per se stesso” e, pur di contribuire alla lotta contro il nazifascismo, non esita ad abbracciare la causa ignobile dello stalinismo. Può così lavorare all’Istituto per il marxismo-leninismo di Mosca, dedicandosi agli studi, apparentemente neutrali, di estetica e critica letteraria ed elaborando quegli scritti che, pubblicati allora solo in parte nelle riviste dell’intellettualità antifascista, hanno poi visto la luce nel dopoguerra rivelando una sterminata mole di lavoro. Fra gli altri, sono da ricordare i “Saggi sul realismo”, quelli sulla letteratura tedesca, sulla storia dell’estetica e il fondamentale “Il romanzo storico”.
Le opere raccolte in Italia da Cesare Cases nel 1953 a formare il volume “Il marxismo e la critica letteraria” affrontano il problema di un’estetica fondata sul materialismo storico e dialettico. Per Lukacs ai classici del marxismo mancò il tempo per dare sistemazione definitiva alle proprie concezioni estetiche, assorbiti com’erano dall’attività politica e dalla riflessione sull’economia. Le concezioni estetiche di Marx e di Engels vanno quindi ricercate in scritti occasionali, lettere, frammenti e manoscritti: tale sterminata e multiforme congerie di materiali dimostra come i due furono per tutta la vita lettori attenti che non si limitavano a concepire la letteratura come uno svago.
Secondo loro l’arte e la letteratura rientrano nella totalità dello sviluppo storico, nel quale il momento economico è ‘soltanto’ il momento egemonico che determina tutti gli altri, compreso quello artistico. Tuttavia si sforzano di dimostrare che anche il momento economico è a sua volta influenzabile, spesso in modo decisivo, da altre sfere, considerate potenzialmente autonome.
E’ celebre il passo dell’Introduzione del 1857 ai “Grundrisse” sul piacere estetico che l’arte greca continua a procurare ai moderni. Marx riteneva che la società capitalistica non produca lo stadio più elevato dell’arte perché la divisione sfrenata del lavoro, la reificazione, l’alienazione e la mercificazione generale portano all’occultamento dei reali rapporti umani e alla perdita di quella ‘humanitas’ che è mezzo e fine dell’arte. Tuttavia egli non credeva (come invece sostenevano Bakunin e, più tardi, i nichilisti) che la condizione primaria per la costruzione di una società di uomini nuovi risiedesse nella distruzione completa delle produzioni (anche artistiche) del passato. Seppe valorizzare, ad esempio, la creatività rinascimentale e Lukacs ne riprende il pensiero quando afferma nell’ “Estetica”: “La realtà – e perciò anche il suo rispecchiamento e la sua riproduzione attraverso il pensiero – è un’unità dialettica, di continua e discontinuità, di tradizione e rivoluzione, di passaggi garruli e di salti. Lo stesso socialismo scientifico è qualcosa di completamente nuovo alla storia, ed è tuttavia insieme la realizzazione di un’aspirazione millenaria dell’umanità”.
Esaminando la letteratura della seconda metà dell’Ottocento, Lukacs la definisce come “espressione della decadenza ideologica della borghesia”. Dopo il 1848, anno in cui, parafrasando Marx, non se ne vanno solamente i re, la crisi del realismo sfociò da un alto nel naturalismo, dall’altro nel formalismo soggettivistico definibile con la formula “l’arte per l’arte”.
Respinto ovviamente il secondo, Lukacs sottopone a forte critica pure il primo. Con il suo culto per il rispecchiamento fotografico, il naturalismo secondo lui si pregiudica la possibilità di scavare sotto la superficie del reale e di cogliere le forze intime che muovono l realtà trasformandola radicalmente in continuazione. Cogliere il fatto puro e semplice, astraendolo da tutti i suoi rapporti e legami con la complessità sociale, è considerato dal pensatore il pesante limite di scrittori come Zola, Hugo e i veristi italiani.
Nel fatto singolare quindi deve trasparire il fatto universale, l’universalità. Ciò si realizza attraverso il particolare, categoria centrale dell’estetica lukacsiana. In letteratura la particolarità si incarna nel ‘tipo’, ossia nel personaggio artistico dotato di una precisa fisionomia intellettuale, caratterizzato come individuo ma portatore di valori universali. Numerosi sono gli esempi che offre: il personaggio di Socrate nel “Simposio” di Platone, Pierre Bezuchov e Nataša Rostava in “Guerra e pace” di Tolstoj, Rastignac nella “Comédie Humaine” di Balzac. Ma la figura forse più tipica è il Don Chisciotte di Cervantes: metafora difficilmente riscontrabile nella vita quotidiana, la sua battaglia contro i mulini a vento è però una efficacissima rappresentazione del tormentato tramonto degli ideali e del mondo della cavalleria di cui era espressione, per far posto alla nascente società borghese.
Naturalmente questa visione cela il pericolo di indurre a individuare il piatto rapporto immediato fra personaggio e universalità di cui esso è veicolo. La grandezza dell’artista sta appunto nel far emergere l’universalità del personaggio, la sua weltanschauung, i suoi interessi, la classe sociale a cui appartiene, in una parola la sua ‘tipicità’ in mezzo alla complessità e contraddittorietà della sua individualità. Da questa prospettiva, Lukacs considera Joyce, Proust e Kafka come i massimi esponenti della decadenza ideologica della borghesia perché i loro personaggi (Leopold Bloom in primis) sono espressione di quella mediocrità dell’esistenza verso la quale nutriva un odio viscerale: “L’attaccamento alla mediocrità deriva dall’incredulità storicamente necessaria in questo periodo, nell’eccezionale come reale aspetto dell’umana grandezza. La società capitalistica soffoca e immiserisce le capacità degli uomini”.
Il fatto di lavorare durante la guerra in uno dei templi della cultura stalinista non lo preserva dai sospetti e dalla repressione. Nel 1944 non è arrestato dalla polizia politica solo grazie all’intervento del dirigente bulgaro del Komintern Dimitrov. Le sue critiche nei confronti degli scrittori sovietici osservanti i canoni stabiliti per il realismo socialista sono numerose. Per Lukacs esso scade spesso a letteratura a tesi, l’estremo opposto del formalismo dell’arte per l’arte. La rappresentazione agiografica degli eroi del socialismo, contrapposta alla denigrazione dei sabotatori della rivoluzione, non consente di cogliere la complessità dei personaggi trasformatori, in parallelo, della realtà esterna e della propria dimensione interna.
E’ altrettanto ostile alla deformazione staliniana della partiticità dello scrittore, della funzione ancillare della letteratura nei confronti della politica del partito unico. Contro la concezione degli scrittori come “ingegneri dell’anima”, Lukacs ritiene che il possesso del metodo d’analisi marxista non sia di per sé garanzia di superiorità culturale e che Montaigne resterà sempre più interessante di un marxista mediocre perché lo scoiattolo dell’Himalaya non deve credere di essere più grande dell’elefante delle pianure.
Sulla questione del linguaggio e dei generi letterari, nel saggio “Lo scrittore e il critico”, dopo aver ricordato che il grande teorico è anche teorico dell’estetica che fa scaturire le proprie riflessioni dall’esito della propria arte, con la sua genuina tendenza verso l’oggettività, cita l’esempio di Manzoni, il quale partecipa al movimento per l’unità nazionale italiana e, stimolato da questi problemi concreti e storici, avvia un ripensamento della propria poetica e del proprio linguaggio. Da qui derivano la sua critica alla tragedia classica e la ricerca di un nuovo genere letterario che tenda all’oggettività, al rapporto tra arte e vita che, unito alla ricerca di un nuovo linguaggio, miri alla comprensione da parte del popolo e alla diffusione presso le masse. Il romanzo storico e la lingua toscana sono i mezzi con cui consegue tale scopo. Sotto questo aspetto, come si vede, l’annosa questione dei generi letterari cessa di essere astratta e vuota poiché attiene ai problemi fondamentali dell’arte.
Dopo la fine della guerra Lukacs torna in Ungheria. Nel 1956 è in prima fila nel processo del disgelo e inizia la sua denuncia dei crimini di Stalin e dello stalinismo. Membro del Circolo Petöfi che raggruppa gli intellettuali libertari, viene rieletto al comitato centrale del partito ungherese e diviene ministro dell’istruzione durante il primo governo Nagy. A seguito dei fatti dell’ottobre 1956 e della successiva repressione, viene deportato brevemente in Romania. L’anno seguente è di nuovo a Budapest dove, fino alla morte, si dedicherà esclusivamente agli studi.
Segnato dall’esperienza bellica e soprattutto dalle nefande conseguenze dello stalinismo, si convince della necessità di una rifondazione ideologica, politica e culturale del marxismo. Mentre da un lato è necessario un enorme lavoro scientifico per cogliere la realtà quale essa è e spiegare i fenomeni nuovi, dall’altro si impone il ritorno all’anima stessa del marxismo, il metodo dialettico. A partire dal 1955 il filosofo imposta un lavoro decennale che si concluderà con la stesura delle sue riflessioni in ambito etico ed estetico. Di particolare interesse è l’ “Estetica”, opera in cui filosofia della storia, ontologia, etica e politica sono mirabilmente fuse insieme avendo come centro la considerazione dell’opera d’arte. Il suo fine è l’analisi della funzione sociale dell’arte, la funzione che essa ha svolto e continua a svolgere nella storia dell’umanità. Ma contro ogni volgare sociologismo, contro ogni riduzionismo, il punto di partenza dell’analisi è sempre l’opera d’arte. Si tratta poi di ricostruire la sua genesi e il suo “mandato sociale”, cioè le sue radici storiche e sociali. Centrale in queste pagine è la categoria della “catarsi”, intesa come “liberazione dalle scorie dell’alienazione e dell’estraniazione”, l’effetto che l’opera d’arte autentica produce nel fruitore.
L’”Estetica” merita di essere ripresa e studiata, non solo perché secondo il suo autore l’educazione estetica è un momento importante dell’educazione politica, ma soprattutto perché segna il definitivo e consapevole superamento, anche in ambito artistico, della codificazione staliniana della “teoria della conoscenza marxista”.
Leggere oggi un pensatore della profondità e ampiezza di interessi di György Lukacs è fondamentale per comprendere le ragioni della crisi della letteratura e della società che il nostro tempo si trova a vivere. E’ necessario per ricomporre una prospettiva di trasformazione reale del pessimo stato di cose presenti.
Flavio Marcolini
sabato 15 ottobre 2011
4 novembre: non festa, ma lutto!
Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.
Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile dovranno essere rigorosamente nonviolente, senza dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; ; non dovranno prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, dovranno essere rigorosamente nonviolente.
Occorre quindi che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.
Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.
venerdì 14 ottobre 2011
L’ALFABETO DI DON MILANI
AMORE: “Il desiderio di esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore. Per cui essere maestro, essere sacerdote, essere artista, essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa”.
AUTOMOBILE: “L’automobile non la guido fino a che i miei parrocchiani non l’avranno anche
loro. Quando avere l’automobile sarà una cosa normale, quel giorno la comprerò anch’io”.
B
BOCCIARE: “Bocciare è come sparare su un cespuglio: forse era un ragazzo, forse una lepre: si
vedrà a comodo”.
BOCCIATURA: “Il modo di scrivere che io ho insegnato là è considerato scarno e poi con il tipo di
temi che ricevono non sono capaci di scrivere perché considerano il tema una farsa, una cosa
convenzionale. Qui (a Barbiana) erano abituati a scrivere quando occorreva scrivere e mai per
esercitazione. Parlare una lingua straniera là è considerato zero, se non si conoscono le regoline. La storia moderna su cui (i miei alunni) sono ferrati, là non la fanno nemmeno. La geografia politica su cui saprebbero tutto, là non viene chiesta. La cultura sindacale ancora meno. La passione per l’insegnamento cha hanno fatto qua ai loro compagni minori non è considerato quanto la conoscenza del “parentado “ di Enea”.
C
COMPAGNA DI SCUOLA: “Una sola compagna mi parve un po’ elevata. Leggeva bei libri. Si
chiudeva in camera ad ascoltare Bach. E’ il frutto massimo cui può aspirare una scuola come la
vostra. A me invece hanno insegnato che questa è la più brutta tentazione. Il sapere serve solo per darlo”.
COSCIENZA: “A Norimberga e a Gerusalemme sono stati condannati uomini che avevano
obbedito. L’umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c’è una legge che gli
uomini non hanno ancora ben scritta nei loro codici, ma è scritta nel loro cuore. Una gran parte
dell’umanità la chiama la legge di Dio, l’altra parte la chiama la legge della Coscienza”.
COTTIMO: (Agli insegnanti) “Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ogni ragazzo che impara tutte le materie. O meglio, multa per ogni ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa uguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi scegliereste di notte col pensiero fisso su lui a cerare un modo nuovo di far scuola, tagliato a misura sua. Andreste a cercarlo a casa, non vi dareste pace perché la scuola che perde Gianni non è degna di essere chiamata scuola”.
D
DIPLOMA: “Giorno per giorno (alcuni ragazzi) studiano per il registro, per la pagella, per il
diploma. Lingue, storia, scienze tutto diventa voto e null’altro. Dietro a quei fogli di carta c’è solo
l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice, ma stringi stringi il succo è
quello”.
E
ESSERE POVERI: “La povertà non si misura a pane, a casa, a caldo, ma sul grado di cultura e sulla funzione sociale”.
F
FEDE: “La fede non è qualcosa da infilare alla prima occasione nei discorsi, ma un modo di vivere
e di pensare”.
FRONTIERE: “Ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati”.
G
GIORNALE: “A Barbiana leggevamo ogni giorno il giornale, ad alta voce, da cima a fondo. Sotto
gli esami due ore di scuola spese sul giornale, ognuno se la strappa dalla sua avarizia. Perché non
c’è nulla sul giornale che serva ai vostri esami. E’ la riprova che c’è poco nella vostra scuola che
serva nella vita. (…) Ma politica e cronaca, cioè le sofferenze degli altri, valgono più di voi e di noi
stessi”.
GIUSTIZIA: “La più accanita (professoressa) protestava che non aveva mai cercato e mai avuto
notizie sulle famiglie dei ragazzi. ‘Se un compito è da quattro, io gli do quattro’. E non capiva,
poveretta, che era proprio di questo che era accusata. Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disuguali”.
H
HO DA DIRVI: (Prima di morire ai ragazzi di Barbiana) “Ragazzi mi date molto di più di quello
che ho dato a voi. Quanto è bella l’amicizia, specialmente in situazioni simili”.(…)
“Chi non si abbandona alla morte vuol dire che prima non si è abbandonato alla vita, alle passioni e all’amore”.(…)
“Mi sono fatto cristiano e prete solo per spogliarmi di ogni privilegio; ora mi sento l’ultimo
anch’io”.
I
I CARE: “Sulle pareti della mia scuola c’è scritto grande ‘I care’. E’ il motto intraducibile dei
giovani americani migliori: ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E’ il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’”.
INCOMPETENTI: “La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde: La vostra scuola
dell’obbligo ne perde per strada 462.000. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi
che li perdete e non tornate a cercarli”.
L
LEGGE: “Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è d’obbedirla. Posso
solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste: Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
LINGUE: “(I miei ragazzi) devono imparare almeno tre lingue perché le barriere spariranno e
vivremo a contatto con persone che parlano lingue diverse”.
M
MAESTRO: “La scuola è l’unica differenza tra l’uomo e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto
quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti”.
MAESTRO E PROFETA: “Il maestro deve essere per quanto può un profeta, scrutare i segni dei
tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e noi
vediamo solo in modo confuso”.
N
NON TI FIDARE: (A Pipetta, una giovane attivista comunista di Cadenzano) “E’ un caso, sai, che
tu mi trovi a lottare con te contro i signori. Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata
di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocefisso”.
O
OBBEDIENZA: “Occorre avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono sovrani, per cui
l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni; che non credano di potersene
far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico
responsabile di tutto”.
OBIETTORI: “Aspettate a insultarli (gli obiettori di coscienza). Domani forse scoprirete che sono
dei profeti…”
OSPEDALE: “Lo abbiamo visto anche noi che con loro (i ragazzi difficili, i bocciati) la scuola
diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la
scuola non è più scuola: è un ospedale che cura i sani e respinge gli ammalati”.
P
PAROLA: (Ai suoi ragazzi) “Ogni parola che non conosci è una pedata in più che avrai nella vita”.
PATRIA: “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel
vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”.
POLITICA: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la
politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Q
QUANDO: Quando i ragazzi tornavano dai loro viaggi all’estero, don Lorenzo faceva suonare le
campane di Barbiana. “Ecco i miei bambini” esultava felice.
QUATTRO: “Consegnandomi un tema con un quattro lei mi disse: ‘Scrittori si nasce, non si
diventa’. Ma intanto (lei professore) prende lo stipendio come insegnante di italiano. La teoria del
genio è un’invenzione borghese. Nasce da razzismo e pigrizia mescolati insieme”.
R
RAGAZZI: “ Ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo posto”.
RASOIO: “La scuola siede tra passato e futuro e deve averli presenti entrambi. E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi sul filo del rasoio: da un lato formare il loro senso della legalità, dall’altro la
volontà di leggi migliori, cioè di senso politico”.
S
SCUOLA: “Il fine ultimo della scuola è dedicarsi al prossimo; quello immediato, da ricordare
minuto per minuto; è di intendere gli altri e di farsi intendere”.
SCUOLA: “La scuola non deve consegnare ai poveri le cose che abbiamo costruito e che stanno
cadendo da tutte le parti, ma solo gli arnesi del mestiere perché costruiscano loro cose tutte diverse dalle nostre e non sotto il nostro patrocinio né paterna compiacenza”.
SCUOLA: “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Quello che
loro credevano di stare imparando da me, sono io che l’ho imparato da loro. Io ho insegnato loro
soltanto ad esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere”.
T
TRAGEDIA: “Quale tragedia più grossa di essere derisi dai poveri?”.
U
UGUAGLIANZA: “Perché il sogno dell’uguaglianza non resti un sogno, vi proponiamo tre
riforme: 1- Non bocciare, 2- A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno,
3- Agli svogliati basta dargli uno scopo”.
UOMINI: “Da bestie si può diventare uomini e da uomini si può diventare santi: Ma da bestie a
santi d’un sol passo non si può diventare”.
V
VITA: (Al momento del trasferimento a Barbiana) “La grandezza di una vita non si misura dalla
grandezza del luogo in cui si è svolta e neanche le possibilità di fare il bene si misurano sul numero dei parrocchiani”.
VOI: “Voi (professori) dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza parla come voi.
Appartiene alla ditta”.
Z
ZUCCONE: “Chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come il
primo della classe. Sembrava che la scuola fosse fatta per lui. Finchè non aveva capito, gli altri non andavano avanti”.
(Le citazioni sono tratte dai volumi “Esperienze pastorali”, “L’obbedienza non è più una virtù” e “Lettera a una professoressa”)