venerdì 27 febbraio 2009

MIGRANTI

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Il rapporto 2008 del Viminale sull'immigrazione in alcuni punti di cruciale rilevanza smentisce in parte le argomentazioni che dominano il dibattito politico. L'onnipresente «percezione dell'insicurezza» si configura come un sentire comune diffuso a tal punto nella popolazione italiana da raddoppiare l'incidenza nell'arco di un solo anno. Dal 5,9% dei cittadini che «guardano con diffidenza agli immigrati», riporta il Ministero dell'Interno, siamo balzati all'11,3%. Dati percentuali che confermano la consistenza della fobia securitaria cui si aggrappa la ricerca di consensi in prossimità delle elezioni, ma che si traduce soprattutto in provvedimenti politici e pratiche di potere, invenzioni di «modelli» di gestione del «traffico umano» (il «modello Milano» così come quello di Bologna, Firenze, Verona e dei sindaci che si vorrebbero vigili urbani dell'intera città). Il dato che rimane costante riguarda però la presenza reale di immigrati sul territorio, un misero 5% che ci assegna all'ultimo posto tra i più importanti paesi europei. La Svizzera, per esempio, registra una percentuale del 20,2. L'Austria e la Germania si avvicinano al 10%. Dietro l'Italia si trova solo la Spagna, con il suo 4,6%.Non si tratta però di un presenza distribuita in modo omogeneo sulla nostra penisola: nel nord del paese gli immigrati rappresentano il 6,8% dei residenti, nel sud invece non oltre l'1,6%. Stiamo parlando di una popolazione giovane, la cui età media supera di poco i 30 anni, a fronte dei 42,3 anni della media degli italiani. I dati sulla natalità sono noti da tempo, ma anche questo rapporto ci informa che il 10% dei nuovi nati è figlio di genitori stranieri, un dato che si colloca all'interno di un raddoppio della natalità tra gli immigrati nel corso degli ultimi dieci anni. Ma torniamo all'insicurezza. Gli italiani rimangono un popolo accogliente (al 42%), o meglio un popolo «che prova sentimenti di apertura e disponibilità» nei confronti degli stranieri. Non si dice però che questa rilevazione comporta almeno un 68% di italiani ostile nei confronti della popolazione migrante. E il sentimento generale ben si esprime, infatti, in relazione all'aspetto più arroventato dell'incontro con l'altro: la fede. Un italiano su tre è contrario alla costruzione di moschee sul territorio nazionale benché la nostra Costituzione garantisca e tuteli il diritto alla libertà religiosa. Ma la distanza dei cittadini italiani dalla Carta del '48 è grande ormai quanto quella che accomuna un'intera classe politica, trasversalmente concorde sulla necessità della sua archiviazione. Il passaggio più interessante di questo rapporto riguarda la rilevanza della fede religiosa nella percezione dell'insicurezza. Sia gli italiani che gli stranieri intervistati percepiscono la religione dell'altro come la principale fonte di incompatibilità. Il 55% degli italiani ritiene che l'immigrazione che proviene da paesi islamici sia il problema più grave in assoluto, dovuto all'insofferenza che gli «islamici» manifestano nei confronti della religione cattolica, oltre a quello che viene definito «atteggiamento critico verso la cultura e le tradizioni italiane». La paura del terrorismo e delle infiltrazioni di cellule operative pronte a colpire è condivisa solo dal 17% degli italiani: un altro dato che dovrebbe far riflettere su come influiscano i processi di costruzione dell'«insicurezza percepita».Ma il colpo di scena arriva quando prendono la parola gli stranieri interpellati. Da parte degli immigrati islamici, che sembrano subire al pari degli italiani gli effetti della mistificazione della realtà che la nostra società produce, il disagio più impellente che incontrano nel nostro paese risiede nella difficoltà di «rispettare le proprie pratiche religiose». Non si fa cenno, per dire, alla fatica del lavoro, al salario troppo basso, alla precarietà dell'impiego. Il 77% degli stranieri si ritiene soddisfatto della propria vita in Italia, e ben il 70% si dice soddisfatto del proprio lavoro. Invece la paura che spopola è quella di «perdere i valori della propria cultura», di non trovare cibi rispettosi delle «tradizioni dei paesi d'origine», e infine il fatto che in Italia ci sia «troppa libertà». Una denuncia di lassismo che non può non suonare speculare a quella tuonata dalle destre nostrane e assecondata da buona parte dei «moderati» che governano alcune città-modello del nord. L'insicurezza percepita è reciproca e poggia sulle stesse fondamenta di fede. Con un termine singolare ma appropriatamente sinistro, l'indagine segnala gli effetti di una spinta fortemente identitaria sul nostro territorio: la crescente formazione di «enclavi etniche», comunità di stranieri che vivono separate dagli italiani. È una tendenza alla «segregazione residenziale» basata sul gruppo etnico di appartenenza. Evidentemente, possiamo ormai concludere, risultato di una duplice pulsione identitaria, degli italiani e degli stranieri migranti, basata sui presupposti di fede e sull'«invenzione della tradizione» da difendere (Hobsbawm-Ranger, L'invenzione della tradizione, Einaudi 2002). Perduta qualsiasi speranza di cambiamento e di miglioramento dell'esistente, gli italiani della «fortezza Europa» e i suoi assedianti sembrano rifugiarsi nella fede e nell'identità escludenti.
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Tempi duri per gli immigrati extracomunitari a Calcinato, dove è in vigore da oltre un anno una ordinanza chilometrica contenente dettagliatissimi “indirizzi per l’applicazione della normativa generale vigente in materia di iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente con disposizioni volte a tutelare le condizioni igienico sanitarie e la pubblica sicurezza”.
Dopo una lunga serie di premesse di carattere normativo, rilevato il “perdurante notevole aumento delle iscrizioni anagrafiche e delle comunicazioni di ospitalità, per impedirne una incontrollata espansione a tutela della salute, della sicurezza e dell’ordine pubblico”, il sindaco ordina che sul territorio comunale agli extracomunitari che richiedano l’iscrizione anagrafica, oltre ai documenti di rito, d’ora in poi venga richiesta la “attestazione di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria”, fissato per il 2007 in € 5.061,68 per nuclei sino a due membri, € 10.123,36 per nuclei dai tre ai quattro membri, € 15.185,04 per nuclei dai cinque membri in su.
Inoltre, mentre i cittadini dell’Unione Europea devono limitarsi a produrre, “nella ipotesi di soggiorno per motivi di lavoro, la documentazione attestante l’attività lavorativa subordinata o autonoma esercitata”, i cittadini della Romania e della Bulgaria dovranno esibire anche “il nulla osta rilasciato dallo Sportello Unico per l’Immigrazione nei settori diversi da quello agricolo, turistico alberghiero, lavoro domestico e di assistenza alla persona, edilizio, metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, lavoro stagionale”.
Il primo cittadino infine “stabilisce che qualora, nel corso dell’istruttoria della richiesta di iscrizione anagrafica, gli addetti agli uffici competenti vengano a conoscenza di notizie e di comportamenti penalmente rilevanti relative ai richiedenti l’iscrizione, gli stessi hanno l’obbligo di darne preventiva immediata comunicazione al Comando della locale stazione dei Carabinieri”.

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