Ecco un libro da raccomandare, il volume "Prigioniero a Cefalonia" (Mursia editore), diario del soldato calcinatese Angelo Gino Scalvini, che racconta la sua terribile odissea in tempo di guerra. È la storia di uno dei pochi militari italiani che nel settembre 1943 sopravvissero alla strage di Cefalonia, una pagina gloriosa nella storia dell'esercito italiano, argomento anni fa del film "Il mandolino del capitano Corelli" del regista americano John Madden, con Nicholas Cage, Penelope Cruz e Irene Papas.
Scalvini fu assegnato alla Divisione Acqui il 13 gennaio 1943: per mesi respira la calma apparente dell'isola greca e annota nel suo diario le giornate sempre uguali in quel presidio sperduto nel Mediterraneo. Poi sul finire dell'estate, si diffonde la notizia dell'armistizio.. L'8 settembre, il giorno in cui viene reso nota la firma dell'armistizio da parte del maresciallo Badoglio, ha poco più di vent'anni e si trova con i suoi commilitoni nell'isola di Ulisse, Itaca. Mai luogo fu più presago del lungo peregrinare che il destino gli avrebbe assegnato. Il 9 a Samo partecipa con i compagni alla leggendaria "consultazione referendaria", unica nel suo genere nella storia militare del nostro paese. Il generale Antonio Gandin fa infatti qualcosa di assolutamente coraggioso: chiede agli uomini della sua divisione ("i banditi della Acqui", li chiameranno poi i nazifascisti) di pronunciarsi personalmente sull'ultimatum tedesco che chiede la consegna delle armi. La decisione della stragrande maggioranza è chiara: resistere al nemico che in quelle ore sta invadendo la patria. Da allora in poi il suo diario diventa la testimonianza dei giorni febbrili della resistenza della divisione italiana contro i Tedeschi. La repressione è durissima e costò ai nostri quasi 1.500 morti in battaglia, 5.000 giustiziati, 3.000 prigionieri destinati poi a scomparire negli abissi marini a bordo delle navi tedesche che urtano nelle mine disseminate un po' ovunque. In totale i soldati morti furono 9.406.
Scalvini trascorre la notte successiva al massacro appostato su un albero a pochi metri dal mare. "Quella notte bevvi acqua di mare" racconta nelle sue memorie. Sotto gli occhi gli passano le immagini dei molti compagni che ha visto assassinare dai soldati della Wehrmacht. Gente che implora la salvezza non per sé ma per la propria famiglia. Nomi di giovani vite spezzate qua e là dalla ferocia nazista. Tra i tanti Scalvini ricorda uno delle sue parti: "L'ultimo che vidi morire in quell'inferno fu Daniele Zani di Calvisano".
In seguito salta con altri militari su una scialuppa di salvataggio, dopo due naufragi ai quali è scampato miracolosamente. E snocciola un altro episodio: "Qualche minuto prima avevo scommesso con Fernando Vezzola di Polpenazze. Lui voleva dividere subito la pagnotta rimasta e mi disse "Mangiamola adesso, magari si muore": Io invece l'avevo invitato a spartirla dopo il bombardamento". Pochi minuti dopo per il giovane della Valtenesi è la fine, mentre Scalvini si salva sorprendentemente a bordo di una specie di kayak greco.
Le disavventure delle quali è disseminato il suo cammino sono infinite. Più volte Scalvini ha sorpreso se stesso a raccontarne laconici brandelli in questi anni in paese. Tra le tante l'arrivo al Pireo, il porto di Atene: "Senza scarpe, di notte, davanti all'Acropoli illuminata dalla luna, sbucano dal sentiero due amici del paese. se non esiste il Signore, qualcuno dovrebbe spiegarmi ora a chi devo questo incontro. Sono Enrico Davo e Pietro Ramoni. È una festa!". Al termine della guerra i due torneranno in patria solo dopo altre inenarrabili peripezie.
Scalvini verrà poi catturato dai tedeschi e caricato su un treno insieme ad altre centinaia di prigionieri. destinazione Barauka, nell'alta Bielorussia. Il viaggiò dura ventiquattro giorni, stretti come sardine in vagoni piombati. Dopo Barauka passa al campo di Riga; nei mesi seguenti - quelli della disperata ritirata delle truppe tedesche - è a Danzica. Svolge le mansioni più disparate. "Facevo il facchino, spostavo caramelle, morti, pesci, feriti...". Infine il ritorno a casa, su mezzi di fortuna. A Calcinato giunge, stremato nel fisico e con la morte nel cuore, il 10 settembre 1945. Ma più forte delle strazianti immagini che ha ancora negli occhi è la voglia di ricominciare, l'indistruttibile attaccamento alla vita, che per Scalvini significa una famiglia e un lavoro ai quali il superstite calcinatese dedica i lunghi e gioiosi anni dalla ricostruzione ad oggi.
Nell'ambito del filone memorialistico, questo diario si segnala come prezioso ausilio per chi intende approfondire la conoscenza di un evento storico fondamentale per la resistenza italiana al nazismo.
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