L’anno si è aperto con una grave perdita per le donne e gli uomini di buona volontà. Giovedì 5 gennaio ci ha lasciati don Luisito Bianchi, morto a 84 anni dopo essere stato cappellano nell'abbazia di Viboldone, insegnante al seminario di Cremona, missionario in Belgio, viceassistente nazionale delle Acli, prete operaio in una fabbrica di Alessandria e inserviente in ospedale.
Ma la sua fama resta indissolubilmente legata al romanzo “La messa dell’uomo disarmato” (Sironi editore, Milano 2003, pagg. 860, euro 19), una prodigiosa epopea che ha circolato in edizione autoprodotta a cura di un gruppo di amici dell'Abbazia di Viboldone tra l'89 e il '95, finché l'editore milanese non lo ha proposto al grande pubblico.
Mai come in questi anni il valore di liberazione dalla dittatura nazifascista della guerra partigiana è stato messo in discussione non solo dai politici ma anche da storici e giornalisti. E allora può tornare utile la lettura di quest’opera monumentale che è forse in grado di mettere la parola fine alle polemiche, consegnando ai lettori la chiarezza di uno spartiacque: da una parte i valori e gli ideali della giustizia e della libertà, dall´altra il tentativo sconfitto di soggiogare le coscienze alla cieca volontà di pochi, intrisa di barbarie e razzismo.
Già la biografia del tutto particolare di questo prete ci parla del testo. Nato a Vescovato (Cremona) nel 1927, partecipa alla Resistenza ed è sacerdote dal 1950. Delle proprie esperienze successive ha parlato in diversi libri: "Salariati" (1968), "Come un atomo sulla bilancia" (1972), "Dialogo sulla gratuità" (1975), "Gratuità tra cronaca e storia" (1982), "Dittico vescovatino" (2001), "Sfilacciature di fabbrica" e "Simon mago" (2002).
Ma è la vicenda che ebbe inizio nella primavera del 1940 quella destinata a segnarlo per sempre. Franco lascia il monastero benedettino in cui era novizio e torna alla cascina dei genitori, La Campanella, per fare il contadino. L´Italia entra in guerra e Piero, suo fratello, è inviato come ufficiale medico in Grecia. Rientrerà pochi mesi dopo con i piedi semicongelati, mentre altri giovani partiranno per la campagna di Russia. Franco è voce narrante di una vicenda corale, che fa della Campanella e del paese intorno il formidabile microcosmo dell´Italia rurale di allora: i contadini e gli ambulanti, le operaie della filanda, un professore socialisteggiante, il maresciallo dei carabinieri, il segretario del fascio, l´arciprete. Su tutti piomba l´8 settembre 1943, a segnare un momento di svolta e di insospettata chiarezza: l´occupazione nazista induce tutti a compiere delle scelte. Per alcuni coraggiosi è la lotta partigiana sui monti: Lupo, Piero, Rondine, il Capitano, Spartaco, Sbrinz e gli altri trovano sostegno pratico e spirituale nei monaci del monastero in cui Franco è stato novizio. Don Benedetto è con loro: combatte inerme ma non inerte, abitato com’è da un pulsante sentimento di fraternità.
Circolato semiclandestinamente in edizione autoprodotta e autofinanziata tra il 1989 e il 1995, questo romanzo è già stato a suo tempo un best seller, al di fuori del mercato librario, diffondendosi di mano in mano, di amicizia in amicizia presso tutti coloro che secondo don Luisito “continuano questa testimonianza e tramandano questa memoria e la incarnano nella situazione di oggi: nella gratuità dell’impegno per la pace, la nonviolenza, l’eguaglianza tra gli esseri umani, la fraternità” come affermò in un intervista a Jesus nell’aprile 2005. “Tutti quelli che si sforzano di non strumentalizzare gli altri, che servono i fratelli e non li usano per i loro obiettivi, che si donano gratuitamente e non chiedono nulla in cambio, tutti questi sono i nuovi ribelli per amore” dichiarò, concludendo: “Se fanno i volontari qui oppure nel Terzo mondo o se protestano contro la guerra e contro il potere degli eserciti e delle multinazionali – e lo fanno perché vogliono un mondo più giusto e libero, e non per avere un tornaconto – tutti questi sono i nuovi ribelli per amore. Bisogna essere un po’ ribelli, infatti, per sapere che un mondo diverso è possibile”.
Flavio Marcolini
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