lunedì 25 luglio 2011

CONTRO LE CAMPAGNE DI LIBIA ED AFGHANISTAN




Chiediamo a tutte le persone di volonta' buona e di retto sentire di far sentire la propria voce al Parlamento italiano affinche' non rifinanzi le guerre e le stragi in Afghanistan e in Libia.

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La partecipazione italiana a quelle guerre e' illegale, poiche' viola l'art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana.

La partecipazione italiana a quelle guerre e' gia' costata troppe morti, tra cui quaranta giovani soldati italiani.

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La partecipazione italiana a quelle guerre costituisce anche uno sperpero scellerato ed assurdo di enormi risorse finanziarie dello stato italiano.

Quegli ingenti fondi non siano piu' utilizzati per provocare la morte di esseri umani, e siano utilizzati invece per garantire in Italia a tutti il diritto alla casa, alla scuola, alla salute, all'assistenza.

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Chiediamo che il Parlamento ripudi la guerra, nemica dell'umanita'.

Chiediamo che il Parlamento riconosca, rispetti e promuova la vita, la dignita' e i diritti di ogni essere umano.

Chiediamo al Parlamento che cessi la partecipazione italiana alle guerre in corso.

Chiediamo al Parlamento che si torni al rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana.

Chiediamo al Parlamento che l'Italia svolga una politica internazionale di pace con mezzi di pace, per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, per il riconoscimento e l'inveramento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani.

Solo la pace salva le vite.

linea indipendente

venerdì 22 luglio 2011

UN TUFFO AL CUORE




Poi il ritorno;nel vedere la fotografia, la comprensione che trattasi solo di una strana omonimia..

martedì 19 luglio 2011

(re) INSTALLAZIONE DI FONTANE PUBBLICHE SUL TERRITORIO




Un anonimo compagno ci ha contattato per avanzare 2 proposte, che cominciamo a pubblicare:



Le Fontane sono sparite dal Territorio Comunale; le motivazioni addotte, al tempo del loro smantellamento, erano di eccessivo spreco di acqua, oltre a scuse di tipo igienico.

Con le dispersioni accertate del nostro vecchio acquedotto non crediamo sia certo la presenza di qualche punto di erogazione pubblico a metterne in crisi il bilancio idrico, tanto più se si prevedesse di dotare i rubinetti di moderne tecnologie a tempo.

Ma questo lo sappiamo.
La realtà è ben più triste: l'acqua della fontana è di tutti e forse è proprio questo ad aver generato fastidio ed indotto i diversi amministratori a liberarsene; perché è cambiata la composizione del concetto di tutti.
Invece che luogo del refrigerio e del civilissimo diritto a dissetarsi, sono state confuse come problema di sicurezza ed igiene pubblica. L'esito è che nemmeno i cittadini (non quelli definiti dai precetti della rivoluzione francese, ma piuttosto quelli che possono vantare radici generazionali in paese) possono goderne. Neanche quando utilizzano la rete di percorsi ciclopedonale che sta godendo di sempre maggior successo. Se si vuole perseguire questa idea dell'attraversamento diffuso del territorio, con scopi sportivi e di loisir, perché non ricominciare a dotare di minimi dotazioni?

Solo la toponomastica ci ricorda la presenza diffusa e capillare sul territorio di luoghi legati alla presenza di acqua: dalle contrade Pòs, Pòsèt, Sariolète, Fòs a Neuf, alle località inurbate Caiciù, Bòche, fino alla presenza di un'infinità di fossi, canali e condotte, per lo più, purtroppo, interrate; il processo di distruzione del paese ha portato ad una realtà assolutamente irriconoscibile ed omologata.

La proposta è integrabile anche con la richiesta dell'adesione al progetto della provincia di Brescia per l'installazione di uno (o più) punti acqua, come quasi tutte le realtà limitrofe hanno fatto.


attendiamo, come al solito, idee in proposito, suggerimenti o commenti

lunedì 18 luglio 2011

GASDOTTI E BOLLETTE




Non si scopre nulla. L'amministrazione comunale è lenta, senza progettualità e senza prospettiva. Il ritardo, anzi, il fatto di non aver neanche preso in considerazione il dovere di bandire una gara per il rinnovo della gestione delle reti gas ne è l'ennesima conferma.
La normativa recente (che vincola i contratti in attesa della definizione degli ATE, favorendo i concessionari) blocca la possibilità di rivedere gli accordi di gestione; alcuni comuni (Offlaga per esempio) hanno appaltato ad un nuovo gestore, nonostante la normativa non fosse coerente ed hanno vinto un ricorso al TAR di Brescia che ha reinterpretato la norma.
Calcinato poteva addirittura evitare questo passaggio, dato che da anni proroga ad A2A un contratto vecchio di più di vent'anni.

Abbiamo votato a favore di un ulteriore anno di proroga perché riteniamo che sia meglio una gestione di una grande azienda a capitale pubblico, in prosecuzione di quanto sta avvenendo oggi, in questo momento di passaggio; con la richiesta esplicita di cominciare immediatamente ad organizzare un bando, eventualmente intercomunale, con la finalità di incrementare gli incameramenti da parte del comune, mantenendo fissi costi e qualità del servizio per i cittadini.
Anzi, perché non pensare addirittura ad una gestione diretta della rete gas?
Polemizzare, sbandierando cifre e cifroni alla Berlusconi, non sappiamo fino a che punto sia interessante e produttivo; e non crediamo neanche sia il modo utile per sviluppare la progettualità nella giunta al potere.

domenica 17 luglio 2011

SULLA PROROGA AL P.A. IN VARIANTE "COSTIOLO"




Prima si demolisce tutto; dando il colpo di grazia a quanto non è crollato dopo anni di abbandono. Per evitare che qualcosa d'altro possa essere detto su un luogo così sensibile per il paese.
E poi, in previsione di una legge regionale che punisce i comuni inadempienti in termini di adozione del PGT, bloccandone i piani attuativi, si chiede la proroga di un piano di recupero in variante a dir poco scellerato.
L'area aveva conosciuto in tempi abbastanza recenti una proposta trasformativa che evitava inutili demolizioni e la riperimetrazione, inserita solo per allargare la speculazione; ma ovviamente era stata bocciata. E' successo così anche per un altra vergogna urbanistica: la distruzione di Palazzo Bassa in via XX Settembre.
La mannaia della LR 3/2011 poteva essere occasione per ripensare completamente il piano, autorizzato, ma non eseguito; invece l'amministrazione ha preferito asseverare ulteriormente questo scempio.
Il voto del nostro gruppo in consiglio comunale è stato coerente con le altre richieste di proroga: consci del garbuglio legislativo abbiamo preferito (peccando di pietà) non intrometterci in quella che è pubblicamente è stata venduta come una questione privatistica, legata a difficoltà imprenditoriali, astenendoci.
Lavarsi le mani non serve a nulla, è vero, ma comunque non stando al governo del paese (e neanche in commissione urbanistica, dove quantomeno questi ragionamenti potrebbero essere messi a verbale, in vece di una passività dei membri che genera sempre unanimità dei giudizi) è impossibile incidere sulle scelte di trasformazione territoriale.

Demolire palazzo Bianchi, oltre che stupido, è perfettamente inutile. Altrove potrebbero essere concordate le operazioni speculative: in espansione ai margini dell'abitato in aree appositamente previste, con standard, parametri e modalità non in variante quantomeno. Così come è stupido ed inutile deformare parte del centro storico, inserendovi ulteriori volumetrie gigantesche, se rapportate al contesto.

Trentacinque anni fa si demoliva la Filanda, che col senno già di allora, non di poi, avrebbe risolto la necessità di spazi pubblici per le generazioni a venire, in opera dall'orizzonte culturale notevole.
Oggi demoliamo parte della storia politica, culturale ed architettonica del paese. In favore di una speculazione inutile, della quale, tolti i diretti interessati, probabilmente nessuno è a favore.
E allora qual è la rappresentanza del consiglio e della giunta??

giovedì 14 luglio 2011

ISLANDA, QUANDO IL POPOLO SCONFIGGE L'ECONOMIA GLOBALE



di Andrea Degl'Innocenti

L'hanno definita una 'rivoluzione silenziosa' quella che ha portato l'Islanda alla riappropriazione dei propri diritti. Sconfitti gli interessi economici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell'intero sistema finanziario internazionale, gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato a stilare una nuova Costituzione.

Oggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo. Di quelle storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate di bocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita o inviate per e-mail ai propri amici. È la storia diuna delle nazioni più ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.

L'Islanda. Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente, noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffi bianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero, ha dato il via ad un'eruzione ben più significativa, seppur molto meno conosciuta. Un'esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari: di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistema del debito.

Ma procediamo con ordine. L'Islanda è un'isola di sole di 320mila anime – il paese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo di esercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto 100mila chilometri quadrati, un terzo dell'intera Italia, situato un poco a sud dell'immensa Groenlandia.

15 anni di crescita economica avevano fatto dell'Islanda uno dei paesi più ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di 'neoliberismo puro' applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti. IceSave, si chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri risparmi.

Così, se da un lato crescevano gli investimenti, dall'altro aumentava il debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivato al 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercati finanziari del 2008. Le tre principali banche del paese, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il crollo della corona sull'euro – che perse in breve l'85 per cento – non fece altro che decuplicare l'entità del loro debito insoluto. Alla fine dell'anno il paese venne dichiarato in bancarotta.

Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che accordò all'Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della popolazione aumentavano.

A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alle dimissioni del governo. Nel frattempo i potentati finanziari internazionali spingevano perché fossero adottate misure drastiche. Il Fondo Monetario Internazionale e l'Unione Europea proponevano allo stato islandese di di farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo. Vale a dire spalmandolo sulla popolazione. Era l'unico modo, a detta loro, per riuscire a rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda ed Inghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini.

Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì prevalente, cedette da subito alle richieste della comunità economica internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta la restituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periodo di 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento.

Si trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino della nazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altri privati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente affermato che quando avvenne il crack, “gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini d'Islanda era decisamente troppo.

Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos'altro invece si riaggiustò. Si ruppe l'idea che il debito fosse un'entità sovrana, in nome della quale era sacrificabile un'intera nazione. Che i cittadini dovessero pagare per gli errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d'un tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano tenuti a rappresentare.

Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò di ratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un referendum, di modo che questi si potessero esprimere.

La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo stato islandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivando a paventare l'isolamento dell'Islanda. I grandi banchieri di queste due nazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava a votare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verrà impedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentemente concesso. Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato contro l'Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi e dei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell'intervista - ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”.

A marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento delle preferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelò immediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nel frattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si era mosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario. L'Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing,Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella vicenda abbandonarono in fretta l'Islanda.

In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzione islandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieri internazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando il paese aveva ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamente identica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali (come inserire la parola 'presidente' al posto di 're').

Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un'assemblea costituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolari elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Per candidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l'appoggio di almeno 30 persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito.

Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta. "Io credo - ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consiglio costituente - che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene abbozzata principalmente in Internet".

Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio eranotrasmesse in streamingonline e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturita da questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta al vaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni.

Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l'Islanda che si sta riprendendo dalla terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti e della partecipazione.

Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settore pubblico era l'unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelli portoghesi, spagnoli ed italiani. In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese. Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?


da ilcambiamento.it