lunedì 31 ottobre 2011

Un'ora di silenzio per i migranti defunti tentando di giungere in Europa

Mercoledì 2 novembre il Movimento Nonviolento torna in Piazza Rovetta a Brescia per l’ “ora di silenzio” organizzata dalle ore 18 alle 19 in solidarietà con i migranti che quotidianamente attraversano il Mediterraneo per cercar fortuna in Europa.
“Oggi che si commemorano i defunti - osserva il portavoce Adriano Moratto - ricordiamo che dal 1988 almeno 13.056 persone sono morte annegate nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico verso le Canarie (2.049 soltanto dall'inizio del 2011), 8.244 non sono mai state recuperate; 1.703 o più persone invece son decedute nell’attraversare il Sahara dal 1996”.
“Sono persone che muoiono giorno dopo giorno, anno dopo anno” sottolinea. “E i loro corpi, le loro storie, le loro vite finiscono nell’oblio, seppelliti in fondo al Mediterraneo o nel deserto libico, per la violenza, gli stenti, l’indifferenza. Sono morti senza nome, cancellati dalla vita e dalla memoria. Lo sanno le loro madri, i loro padri, le loro sorelle, i loro fratelli le loro figlie e i loro figli: li hanno visti partire e non ne hanno saputo più nulla. Non hanno un posto in cui andare a piangerli. Per loro non una tomba. Per loro non un fiore”.
Per informazioni e adesioni si può telefonare ai numeri 347.8640893 o 339.6243617 oppure inviare una e-mail all’indirizzo movimentononviolento.bs@alice.it.

domenica 30 ottobre 2011

Linea Indipendente è fuori di sé

A Calcinato la vita politica negli ultimi anni si è ridotta alla sterile contrapposizione fra due coalizioni che si sono alternate alla guida della comunità, rinchiudendosi sempre più in una sorta di “cittadella del potere” riservata ai pochi addetti ai lavori.

Noi riteniamo necessario liberare la discussione da questi limiti, rilanciando la partecipazione della cittadinanza affinché si riappropri del diritto-dovere di decidere consapevolmente del proprio futuro, con procedure democratiche, mentalità dialogante e spirito costruttivo.

Per fare ciò pensiamo che si debba creare una lista politica che raccolga l’eredità della parte migliore di quanto a sinistra si è mosso a Calcinato fino a ieri, ma che oggi non esiste quasi più: un movimento alternativo alle destre e autonomo dal Partito Democratico, che si ponga l’obiettivo di promuovere e tradurre nella nostra comunità, con iniziative e proposte concrete e credibili, i valori legati alla libertà di tutte e di tutti, alla solidarietà verso i più bisognosi, alla tutela del territorio e dell’ambiente.

Il motivo che ci guida è quello di creare un luogo di confronto e dibattito sulla situazione concreta del nostro Comune, di dare testa e gambe su cui camminare ad una autonoma visione dei problemi, del presente e del futuro della nostra gente e del nostro territorio.

Cerchiamo perciò di approfondire le questioni prima di proporre le soluzioni ai problemi, di promuovere la partecipazione dei cittadini prima di decidere cosa fare.

Guardiamo all’oggi e progettiamo il domani, con questi obiettivi per la nostra comunità:

· la difesa dell’ambiente da vecchie e nuove cave e discariche, oltre che da faraoniche opere pubbliche come l'alta velocità ferroviaria;

· la salvaguardia del territorio da uno sviluppo urbanistico ed edilizio esagerato, più legato a particolari interessi economici che ai reali bisogni della collettività;

· la diffusione di pratiche virtuose legate al risparmio e all’efficienza energetica nell’ edilizia pubblica e privata, e l’incentivazione all’ utilizzo di fonti energetiche alternative (come il solare e il fotovoltaico);

· promuovere un piano di edilizia veramente economica e popolare (anche per ridurre gli affitti delle case di proprietà privata), piano assurdamente trascurato proprio in questi ultimi vent’anni, durante i quali i governanti ci hanno ‘regalato’ il più vistoso incremento edilizio che Calcinato abbia mai sopportato nella sua storia;

· la promozione della raccolta porta a porta dei rifiuti e il contestuale studio di sistemi innovativi per il servizio istituendo una tariffa che premi chi riduce e ricicla i rifiuti;

· una gestione della spesa pubblica più sobria e oculata, che non butti il denaro pubblico in cementi, sovvenzioni e luminarie, ma consenta di risparmiare il più possibile per trovare i fondi necessari (e mai sufficienti) per l’istruzione pubblica, per il potenziamento dei servizi sociali e di assistenza, per rilanciare l’iniziativa del Comune nei settori della cultura e dell’aggregazione sociale;

· la partecipazione dei cittadini attraverso comitati di quartiere e di frazione (per la diretta e responsabile gestione del potere, intesa come servizio comunitario) e con forme di consultazione popolare che precedano l’approvazione del bilancio comunale e dei piani delle opere pubbliche;

· la riassunzione sotto il controllo del Comune e dei suoi organi tutti i servizi che in questi anni sono passati in gestione a società separate o private (la farmacia, l’acquedotto, il cimitero, la raccolta dei rifiuti, la gestione del verde e degli impianti sportivi) senza miglioramenti della qualità dei servizi resi ai cittadini;

· la promozione della convivenza e del rispetto dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini e le cittadine, di ogni colore, etnia e nazione che a Calcinato vivono, lavorano, studiano, si impegnano, si divertono e si confrontano con gli altri.

sabato 29 ottobre 2011

In morte di Ionut

Ionut Imandita è morto. Il giovane romeno di 18 anni colpito mercoledì sera alla nuca da un colpo di pistola esploso da uno sconosciuto nel campo nomadi a Calcinatello non ce l’ha fatto ed è spirato ieri all´Ospedale Civile di Brescia.
Lascia la famiglia e una giovane fidanzata incinta. Lascia gli amici del campo di via Campagna. Lascia una breve vita vagabondata al sole e alle piogge delle nostre terre. Lascia a tutti nel cuore una domanda da troppo tempo senza risposte: perché?

venerdì 28 ottobre 2011

Padre Alex Zanotelli lunedì 31 ottobre a Molinetto

Lunedì 31 ottobre nell’aula magna delle scuola media statale di Molinetto di Mazzano il missionario comboniano Alex Zanotelli terrà una conferenza sulla grave situazione economica internazionale, soffermandosi sulle drammatiche condizioni di vita in cui versano le popolazioni del sud del pianeta a causa dello sfruttamento dei paesi ricchi.
Leader nazionale del movimento per la nonviolenza, Zanotelli è salito alla ribalta delle cronache a partire dagli anni '80, quando dalle pagine del mensile “Nigrizia” prese a denunciare con puntualità le connessioni fra commercio delle armi, corruzione e sottosviluppo nel sud del pianeta. Anche per questo nell'87 fu inviato dalle autorità ecclesiastiche in missione nella baraccopoli kenyota di Korogocho, dove fino al 2004 ha condiviso la sorte dei poveri, dei malati e degli oppressi lavorando con gli abitanti che sopravvivevano riciclando e riutilizzando i rifiuti di una maxidiscarica.
Stabilitosi a vivere successivamente in una comunità religiosa nella periferia napoletana, in questi mesi è impegnato in un serrato tour nelle città della penisola per la promozione di una economia ecocompatibile e comunitaria, partendo dall’educazione a un consumo consapevole, che sia critico nei confronti degli iniqui meccanismi che regolano i rapporti fra i produttori dei paesi in via di sviluppo e i distributori delle merci, e dalla promozione del circuito del commercio equo e solidale con una rete di cooperative agroalimentari che garantiscono la qualità sociale e la genuinità dei prodotti.
L’incontro con Zanotelli avrà inizio alle ore 20.45.

giovedì 27 ottobre 2011

Una conferenza sulla violenza di genere

Oggi in Italia in sette omicidi su dieci la vittima è una donna; in otto casi su dieci l’omicida è un uomo, nella maggior parte il partner o l’ex partner che rifiuta di essere lasciato. La famiglia inoltre è la situazione più a rischio per violenza e femminicidio: dal 2002 gli omicidi maturati all’interno dei rapporti di prossimità hanno preso il sopravvento su quelli malavitosi e il fenomeno è in costante aumento.
Per riflettere su questa preoccupante realtà domenica 30 ottobre sarà a Calcinato l'antropologa Michela Zucca, nell'ambito di un convegno del gruppo libertario Spartaco sul tema "La violenza sulle donne non fa notizia".
Collaboratrice dell'Università della Svizzera Italiana, la studiosa milanese ha svolto ampi lavori di campo in Sudamerica fra gli sciamani amazzonici. E' specializzata in cultura popolare, storia delle donne e analisi dell'immaginario e si occupa di formazione e sviluppo sostenibile in comunità rurali marginali, soprattutto alpine, come consulente di enti pubblici e privati. L'appuntamento è alle ore 17 la sala civica Morelli in Piazza Repubblica.

mercoledì 26 ottobre 2011

In Comune son finiti i soldi (per i poveri)

Fino alla fine dell'anno il Comune di Calcinato non erogherà più contributi economici di solidarietà sociale ai bisognosi poiché il denaro stanziato a più riprese nell'ambito della programmazione economica dell'amministrazione è esaurito. La notizia è resa noto da un cartello ben visibile da qualche giorno all'ingresso dell'ufficio servizi sociali al piano terra del municipio.

Ne parliamo con il sindaco Marika Legati, che ha fra l'altro anche la delega proprio ai servizi sociali. Il primo cittadino precisa che "si tratta di due tipologie di contributi previsti dalla normativa vigente, quelli per il minimo vitale (destinati ai nuclei familiari con un indicatore economico fino ai 5 mila euro annui) e i contributi straordinari erogabili fino ai 9mila euro in seguito ad una istruttoria dell'assistente sociale a fronte di gravi disagi economici causati dalla perdita del lavoro o da uno sfratto. Mentre molti degli assegni di minimo vitale hanno natura ormai cronica, quello del contributo straordinario è un fenomeno nuovo e quindi più preoccupante".

"Complessivamente - prosegue - sono una sessantina i cittadini ai quali eroghiamo il minimo vitale, in tranche mensili variamente versabili. Una ventina invece quelli che, dopo aver compiuto le necessarie indagini propedeutiche, godono del contributo straordinario, mille euro annuali una tantum. Il dato allarmante di quest'anno è stato che vi ricorrono per la prima volta anche persone che non si sono mai rivolte ai servizi sociali. Si tratta per lo più di nuclei familiari dell'età media di 40 anni, con genitori che han perso il lavoro e qualche volta anche la casa".

"Quasi la metà sono italiani - sottolinea - così come concittadine sono il 40% delle famiglie sfrattate". Quella degli sfratti è un'altra emergenza sul territorio. "Praticamente ogni settimana ne abbiamo uno" spiega il sindaco. "Nell'80% dei casi - osserva - si tratta di persone in grave stato di indigenza, per il 40% italiane. Per affrontare adegutamente il fenomeno e proteggere soprattutto i minori stiamo spendendo ingenti somme di denaro per garantire alle famiglie la sistemazione nelle case alloggio".

Ma torniamo ai fondi esauriti. "E' vero che non possiamo più istruire nuove pratiche - afferma il sindaco - ma dobbiamo anche dire che ciò accade ora a fronte di un intervento che nel 2011 ha visto il bilancio di previsione dei servizi sociali aumentare del 20% rispetto all'anno scorso. Da ggennaio ad oggi poi abbiamo ulteriormente incrementato di altri 200 mila euro la cifra disponibile con una serie di variazioni di bilancio, a dimostrazione del notevole impegno economico profuso in questo ambito dall'amministrazione".

"Naturalmente - informa - prosegue regolarmente l'erogazione dei bonus gas ed energia, i contributi per gli affitti, per le famiglie numerose, per gli anziani autosuffficienti e per le badanti".

Il primo cittadino non si nasconde comunque la drammaticità della situazione. "Il Comune da solo non ce la può fare a lungo termine. Occorre intensificare le sinergie: da noi funziona bene una rete di coordinamento di tutti gli enti assistenzialistici, che vanno dalle Caritas al Centro aiuto alla vita di Rivoltella alle parrocchie".

flavio marcolini

martedì 25 ottobre 2011

Un bell'Orto in Condotta

Nasce l’Orto in Condotta a Calcinato. Oggi in municipio verranno firmati i protocolli d’intesa per il sostegno e la realizzazione dell’iniziativa ideata da Slow Food e sostenuta dal Comune insieme a una nutrita serie di sponsor.
Sul territorio, ad accogliere l’iniziativa di educazione dei bambini allo sviluppo della sfera sensoriale facendo loro comprendere l’importanza dei prodotti alimentari, sarà la scuola dell’infanzia comunale “Antonio e Maria Bianchi” della frazione di Ponte San Marco.
Il progetto, che coinvolge più di quattrocento scuole in tutta Italia, fa parte delle iniziative di educazione al gusto attivate da Slow Food. L’Orto in Condotta si rifà ai tre principi cardine della filosofia dell’associazione: buono, pulito e giusto. Buono, perché attraverso un serie di laboratori di analisi sensoriale allena ragazzi e genitori a distinguere i cibi sulla base della qualità organolettica, per imparare a richiedere e monitorare anche la qualità delle mense. Pulito, perché i ragazzi imparano a utilizzare metodi produttivi biologici e biodinamici, a ricercare e salvaguardare i semi di varietà orticole della tradizione locale, a considerare come prioritaria la riduzione delle miglia alimentari ricercando cibo del territorio. Giusto, perché promuove la trasmissione dei saperi fra generazioni, valorizzando il ruolo sociale di persone anziane e volontari e la collaborazione fra realtà diverse, tramite il gemellaggio anche con realtà del Sud del pianeta, e perché persegue la giustizia sociale attraverso la creazione di condizioni di lavoro rispettose dell’uomo e dei suoi diritti.
Il progetto dell’Orto in Condotta – oltre alla creazione e coltivazione di un orto a scuola – prevede anche la realizzazione di corsi di formazione per insegnanti, incontri informativi per genitori, attività didattico-educative con gli studenti in classe, in cucina e nell’orto stesso, la realizzazione di piccoli eventi come mercatini o merende.
Da martedì quindi l’asilo di Ponte San Marco verrà inserito nelle reti italiana e internazionale degli School Gardens nonché sul sito www.slowfood.it con una scheda descrittiva che permette ad ogni esperienza di essere conosciuta e valorizzata, con l’obiettivo di favorire lo scambio tra le diverse realtà aderenti alla rete e non solo. Per i bimbi calcinatesi ci sarà inoltre la possibilità di partecipare all’edizione 2012 di Terra Madre, la popolare manifestazione agroalimentare che Carlin Petrini e i suoi operatori organizzano ogni anno per valorizzare esperienze genuine, biologiche ed ecocompatibili.

lunedì 24 ottobre 2011

Muhammar

Dal volume Giù dal marciapiede (Lumini editore, 1997) pubblichiamo la poesia Muhammar, ricostruzione in versi di un sogno che Flavio Marcolini fece nella notte fra il 3 e 4 settembre 1986. Erano i giorni in cui il dittatore libico - accusato di essere il mandante di alcune stragi terroristiche - fu pesantemente bombardato dagli aerei americani. Allora sfuggì alla morte. Non così il 20 ottobre 2011.

Muhammar

Braccato da aerei sibilanti,
in una strada logora,
le pareti screpolate,
non ci sono mobili
a cui potersi aggrappare.
"Figlio, figlio!" urli,
ma il buio non ti risponde.
"Papà, papà!" chiama,
e tu non lo senti.
Poi, un abbraccio convulso,
due corpi si toccano;
una breccia e, dal tetto,
si vede un cielo pieno zeppo
di punti neri che scendono veloci.
Noi, nell'altra stanza,
si sta al sicuro,
siamo alleati, degli americani.
Dobbiamo soltanto
non farti fuggire,
orribile mostro
che spargi il terrore
negli aeroporti d'Europa.
Ti vogliono uccidere,
fartela smettere.
Ma, che vadano al diavolo!
Io vengo di là e vi porto via,
te e tuo figlio.
Mi scosto dal gruppo,
ti copro di azzurro,
andiamocene da questa tomba.
Saliamo sull'automobile
e, come d'incanto,
viaggiamo verso mia moglie.
Non te lo dirò che siamo italiani
perché io non sono tuo nemico.
Non ti dirò che andiamo in Italia,
sulle Alpi, a sparire da qui.
E tu vieni e fai domande confuse,
ricevi confuse risposte e ti conforti.
Tuo figlio è tra le mie gambe
e tu, steso dietro,
parli con mia moglie.
Nessuno ti deve scoprire!
E i turisti chiedono chi sei.
Sei il mio cugino arabo
(con un poco di barba
sembri già meno quel mostro
che tutti ti pensano).

Accenno improvviso uno strano dialetto
per fingere che so parlare con te.
In vero non so, non riesco
a capire le tue parole e i tuoi pensieri.
Poi, strani, sembrano scoprire chi sei,
si offusca l'immagine, prendon tuo figlio,
il sogno mi scoppia in mente, la sveglia è improvvisa.

sabato 22 ottobre 2011

«L'odio seminato in Libia provocherà ancora scontri e tante vittime»

Dal quotidiano il manifesto del 21 ottobre 2011 riprendiamo questa intervista di Tommaso De Francesco al massimo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca.

«Il raìs è morto, ma il paese è stremato e distrutto da una guerra civile non ancora conclusa»
L'uccisione di Muammar Gheddafi è già un «giallo». «Grazie alla nostra offensiva», rassicura un portavoce del Cnt, e un altro precisa «era ferito alle gambe, non sparate ha gridato, è stato portato a Misurata e nel trasporto è morto», «Ferito alle gambe e colpo mortale alla testa» cambia versione un altro comandante degli insorti, «No, l'ho visto su un cellulare, era vivo al momento della cattura» testimonia Tony Birtley inviato di Al Jazeera. Poi la conferma della versione più credibile: sono stati i cacciabombardieri o gli elicotteri Nato che hanno colpito a più riprese il convoglio di decine di macchine che, con quella di Gheddafi, provava a forzare il blocco prima verso Bengasi poi verso Misurata. Un convoglio che ha continuato a combattere fino alla fine. Sulla morte del raìs abbiamo rivolto alcune domande allo storico del colonialismo Angelo Del Boca, biografo di Gheddafi.
Quale idea ti sei fatto degli avvenimenti che hanno portato alla morte di Gheddafi?
Nella confusione totale un dato è certo: Gheddafi, uomo che veniva dal deserto e che per 42 anni ha retto un paese tribale come la Libia, è morto ed è morto ucciso. Ancora non sappiamo bene se a stroncare la sua vita sono stati gli insorti in combattimento oppure, com'è più credibile, uno degli undicimila attacchi aerei della Nato che hanno fatto la differenza. Noi propendiamo per questa più veritiera versione, perché il modo di combattere degli insorti è sempre stato molto impreciso, casuale e a volte addirittura ridicolo. E senza i raid della Nato gli insorti non avrebbero prevalso. Se sono stati gli aerei o gli elicotteri dell'Alleanza atlantica a conquistare questa vittoria che dovrebbe mettere fine ad una guerra che doveva durare «poche settimane» ed è invece durata otto mesi, dobbiamo dire che la Nato ha fatto una brutta figura. Sperperando il denaro del contribuente occidentale che dovrebbe essere prezioso dentro il baratro della crisi finanziaria. Quando si faranno i calcoli precisi si scoprirà che sono state gettate sulla Libia, «per proteggere i civili», dalle 40 alle 50.000 bombe ovviamente intelligenti, che oltre a stragi silenziose hanno provocato la devastazione del territorio anche per il futuro.
C'è un giornalista libico, Mahmoud al-Farjani che ha raccolto la testimonianza dei miliziani del Cnt che avrebbero trovato il corpo, e che dicono che «ha combattuto fino alla fine, aveva segni di ferite alle gambe e al busto»...
L'ho detto fin dal primo giorno di guerra. Gheddafi non era l'uomo che poteva prediligere la fuga né un compromesso. Poteva soltanto morire con un'arma in mano. Da questo punto di vista, ha fatto la morte che voleva. E le modalità della sua uccisione rischiano anche di trasformarlo in un mito, anche perché non ci sono molti altri esempi in giro.
L'uccisione in combattimento di Gheddafi facilita la pacificazione della Libia?
Assolutamente no. Perché la Libia è distrutta, è un paese tutto da ricostruire, con gli arsenali di armi abbandonati e rivenduti al miglior offerente. Parlare di normalizzazione della Libia è a dir poco un termine impreciso. E tutto quello che era stato fatto per bloccare la deriva dell'integralismo islamico è andato in fumo. Mi sembra che se ne sia accorta perfino la signora Clinton perché ora vuole inviare soldati per cercare tutte queste armi sparite. Altro che pacificazione, sono troppi gli odi e le vendette che sono state accese. È stata una vera guerra civile, perché non erano poche migliaia di persone quelle schierate con Gheddafi ma centinaia di migliaia. E non è ancora finita, l'odio seminato dalla presenza neocolonialista dell'Occidente provocherà ancora scontri e vittime. Proprio nel ricordo del giovane ufficiale che nel '69 fece una rivoluzione senza spargere sangue.
Ora vediamo gli spari di gioia degli insorti e il titolo televisivo è che tutti i libici festeggiano...
Chi festeggia davvero, visto che la violenza repressiva di Gheddafi per gran parte si è riversata nel tempo contro rivolte interne spesso collegate a interessi occidentali ma soprattutto, e per conto dell'Occidente, contro gli integralisti islamici (vedi il massacro di Abu Salim del 1996). Mentre restano incerti, a partire da Lockerbie, le stragi terroristiche che alla fine la leadership di Gheddafi si era accollate proprio quando emergevano ben altre responsabilità. Per Lockerbie, per esempio e lo sanno tutti, quelle dell'Iran per ritorsione all'abbattimento di un aereo civile iraniano ad opera della Marina militare Usa.
I leader occidentali tirano un sospiro di sollievo...
Nel centenario dell'occupazione coloniale della Libia, La Russa e Frattini - ricordiamoci che il nostro ministro degli esteri indicava in Gheddafi «l'esempio da seguire per tutta l'Africa» - sono entusiasti, doppia esultanza per Sarkozy che nello stesso giorno diventa padre ed eroe, e per Hillary Clinton che forse più di Obama si è spesa per questa guerra. Alla fine Ronald Reagan, che più volte provò ad assassinare il Colonnello libico, ha avuto ragione...

venerdì 21 ottobre 2011

Dei mezzi e dei fini nelle manifestazioni di protesta

Sabato 22 ottobre il Centro per la nonviolenza di via Milano 65 in città ospita un convegno per discutere “le ragioni della nonviolenza nella società attuale”.
L'obiettivo dell'incontro, in preparazione da diverso tempo, è quello di coinvolgere le persone interessate a riflettere su come e perché manifestare il proprio dissenso nei confronti dell’attuale situazione politica, soprattutto dopo le violenze di sabato scorso a Roma. Interverrà, fra gli altri, Adriano Moratto, membro del coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento. L’appuntamento è alle ore 10.

giovedì 20 ottobre 2011

Lettera aperta a quelli del black bloc

Potrei essere vostra madre, o vostra sorella - per fortuna non lo sono, perché immagino che per quanto amiate le vostre madri e sorelle, la loro saggezza vi appaia come un altro pezzo di quel presunto perbenismo che siete venuti a disfare con le vostre mani, con le vostre braccia giovani, con le vostre spranghe e i vostri bastoni. Ma non sono né vostra madre né vostra sorella, sono una giornalista, lavoro da tanti anni in una radio indipendente, e da poco meno di un anno faccio un lavoro che prima nemmeno esisteva, il curatore di social media, una persona che verifica e sceglie contenuti tratti dal lavoro collettivo della rete per produrre a sua volta contenuti informativi. Seguo da dieci mesi le rivolte arabe, e questo mi ha cambiato la vita. Non solo perché le rivolte l’hanno cambiata a tante persone, ma perché le migliaia di ragazze e ragazzi che stanno lottando per il futuro dei loro paesi mi hanno restituito la passione civile, mi hanno fatto sentire interrogata sui modi in cui facciamo politica, mi hanno strappato dal meccanismo di delega vuota degli ultimi quindici anni, e mi hanno fatto restare in un paese che prima volevo lasciare. Studiare l’attivismo in rete mi ha condotto alle stesse conclusioni di altre decine di curatori: non esiste bloggare o twittare da una posizione di neutralità; si può offrire alla rete la propria esperienza di verifica, di studio, di approfondimento, ma si diventa partecipi, e in qualche modo attivisti, senza quasi rendersene conto, senza averlo deciso. E un bel mattino si accetta che sia così. Perché, vi assicuro, non si può stare immersi nella lotta di piazza Tahrir senza sentirsi in qualche modo responsabilizzati, interrogati nel profondo, chiamati - non a riempirsi la bocca di slogan, ma a fare sul serio. E così come faccio dirette Twitter sul Cairo col cuore in gola perché ad ogni sit-in o corteo uno di quei ragazzi può lasciarci la pelle - come è successo a Mina Daniel, disarmato, durante il massacro dei copti il 9 ottobre - così ho twittato la Roma del #15O con crescente apprensione. Ho avuto paura che vi faceste accoppare da un poliziotto che perdeva la testa. Ho avuto paura che vi faceste pestare a sangue come chi è stato a Genova dieci anni fa ricorda bene e non dimenticherà mai. Ho avuto paura che saltaste in aria nell’esplosione di una di quelle auto che avete bruciato. Ho avuto paura che uno di quei blindati ubriachi vi investisse. Ho avuto paura che ammazzaste un poliziotto. Ho avuto paura che il vostro disprezzo evidente per la gran massa di gente perbene fra cui vi siete mimetizzati vi portasse a ferire, o a uccidere, o a far uccidere, una persona che un bastone o una spranga non li userebbe mai. Poi ho capito che voi non avete paura. Voi vi piacete così, vi sentite belli con la vostra ferocia, con la vostra rapida coreografia della morte, ho capito che corteggiate il pericolo, che non vi importa delle conseguenze, che pensate di non avere niente da perdere (e siete troppo giovani per capire che invece avete parecchio), e soprattutto ho capito che non state costruendo niente. Senza quella folla immensa in cui vi siete nascosti - lo sapete benissimo - non siete niente, nessuno vi guarda, nessuno si cura di voi, non contate un accidenti. È vero, siete bellissimi e subdoli e veloci come un branco di lupi che discende in pianura. I miei amici antagonisti vi ammirano, sono dalla vostra parte, riconoscono in voi una rabbia profonda che tutti proviamo. Salvo poi essere un filo confusi - infiltrati della polizia oppure intrepidi compagni?Devo scrivervi perché ho rispetto per chi muore per le cose in cui crede. Per chi non ha scelta. Per chi in piazza ci va studiando, facendo fatica, mediando con persone che la pensano diversamente. Per chi si stanca, e piange, per chi diventa eroe suo malgrado, e perde amici e fratelli, e pure non smette. Per chi da dieci mesi non dorme una notte intera, per chi si interessa della democrazia e si domanda come crearne una che funzioni e darle il proprio contributo. Per chi si fa un culo pazzesco nelle scuole, nella magistratura, nei sindacati clandestini, nei giornali censurati, nella tutela legale dei prigionieri politici, nel servizio d’ordine della piazza più rivoluzionaria del mondo. Per chi va in galera a vent’anni per aver scritto una cosa di troppo in un blog, o viene torturato per un graffito. Per chi rinunciando ad armarsi ha scelto la strada più lunga e produttiva. Per chi le botte e i gas lacrimogeni se li risparmierebbe se potesse, per chi i sassi li tira perché ha di fronte un apparato infernale e corrotto che da 40 anni lo schiaccia e lo tortura - e non per modo di dire. Per chi soltanto una settimana fa ha visto i soldati gettare nel Nilo cadaveri di cristiani disarmati. Voi siete solo imitatori, attori, pedine. Non avete rispetto per i vostri diritti, e ricoprite un ruolo ridicolo nella stessa recita che tanto detestate. È nato un movimento internazionale, se vi va di rendervene conto, che potrebbe perfino salvarci dal nostro provincialismo. Ha quattro regole in croce, e chiede di rispettare solo quelle. Ha scelto la resistenza passiva - la studia, la pratica, sa a cosa serve. Se volete, è anche casa vostra. Sta a voi. Dentro al movimento, con le vostre forti braccia e magari anche il cervello, potete sperare di contare qualcosa. Ma se non avete rispetto, se non vi fidate di nessuno, se siete cinici e nichilisti e avete già deciso che non cambierà mai niente, se pensate di essere un po’ più derubati degli altri, più precari degli altri, più disoccupati degli altri, allora andate a fare gli esclusi per scelta sugli spalti degli stadi, o a spaccare vetrine da soli finché non sarete cresciuti - con la vostra illusione di avere sempre ragione, di sfidare il sistema, o di distruggere i simboli della proprietà privata mentre è vostro padre che paga ancora le rate. Vi va bene che siete italiani. Vi va bene che qui c’è qualcuno a cui fa comodo che esistiate, che finge di non vedere i bastoni nascosti a San Giovanni dalla sera prima, che non vi ferma alla stazione Termini mentre passate col viso coperto e un metro di legno che vi spunta dagli zaini. Vi va bene che qui il rapporto di fiducia con la polizia è così corroso e malato che a via Merulana si è fatta un’assemblea tragica in mezzo ai lacrimogeni per decidere se consegnare o no 3 di voi agli agenti - perché la polizia è maiale se ti carica, o se carica quelli sbagliati, ma è anche vigliacca se non ti protegge dai provocatori. Vi va bene che siete nati in un paese così bizantino e pieno di segreti che le teorie del complotto sono sempre lecite. Vi va bene che siete in un paese vecchio, l’unico in cui il movimento che dichiara la fine di un sistema fallimentare scende in piazza ancora coi suoi stracci di bandiere, con le sue divisioni tribali, con i suoi rottami di sindacato, col suo ritardo spaventoso in un paese governato da un impunito. Vi va bene che siete in un paese ipocrita, teatrale, che sfila in tv ma poi alle assemblee di discussione non ci va, e che ha aspettato invano per anni che qualcuno lo chiamasse in piazza invece di andarci e basta. E vi va bene che siamo ancora così stupidi da organizzare cortei-fiume in mezzo ai palazzi più preziosi del mondo invece di occupare pacificamente una piazza - perché certo, poi ci toccherebbe anche metterla in sicurezza noi stessi, e tenerla pulita, e prendercene la responsabilità. Vi va bene che vi sia stato offerto di nuovo un palcoscenico - voi, e tre ore di caroselli anni ‘70 delle camionette in diretta tv. Col “sistema” sembrate d’accordo almeno su una cosa: sul fatto che è meglio non manifestare del tutto, che è meglio tenere la bocca chiusa e starsene a casa, cioè esattamente l’opposto di quello che reclama questo movimento - il diritto a riprendersi lo spazio pubblico, e a usarlo per il bene comune. Avrete pure vent’anni ma siete vecchi anche voi, non scandalizzate nessuno, e vi lasciate usare. Vi hanno fatto credere che la prima linea sia quella piazza da cui avete divelto i sanpietrini, e ci siete cascati. E invece, come vi dirà qualunque vero rivoluzionario, la prima linea è dentro, e si trova insieme, e costa tempo, pazienza, e fatica.Una cosa è sicura - questo movimento sarà anche ingenuo, ma tanto non sarete voi a cambiare il mondo. Avreste dovuto restare a bocca aperta, quando la basilica ha aperto i suoi giardini ai manifestanti soffocati dai lacrimogeni a San Giovanni. A bocca aperta per la bellezza straordinaria di quel luogo che appartiene all’umanità intera, e che è nostro privilegio conservare a prescindere dalla fede religiosa. E qualcuno avrebbe dovuto dirvi che a gennaio, per proteggere con una catena umana il Museo Egizio del Cairo, uomini e donne si sono presi per mano mentre dai tetti gli sparavano addosso i cecchini del loro stesso presidente. E che quegli uomini e quelle donne sanno che la nonviolenza ha un prezzo salato, come 700 morti, che non si finisce mai di pagare. Ma ci ricordano che è uno strumento collettivo di straordinaria civiltà e potenza; ti permette di vincere battaglie decisive, ti migliora, ti moltiplica, ti eleva, ti fa contare sul serio, e ti conquista il rispetto del mondo.
Marina Petrillo

martedì 18 ottobre 2011

Una vittoria di tutti

Enel Sole dovrà versare 15mila euro di spese processuali in egual misura alle amministrazione comunali di Calcinato, Corte Franca e Orzinuovi, enti a cui il Consiglio di Stato ha dato di nuovo ragione nella sentenza d’appello che mette la parola fine al contenzioso sul diritto di riscatto degli impianti della pubblica illuminazione, dei quali ora i tre Comuni divengono proprietari a tutti gli effetti potendone disporre liberamente.
Nei giorni scorsi la quinta sezione del consiglio di Stato, presieduta dal giudice Calogero Piscitello, ha confermato una sentenza del Tar di Brescia che già il 12 marzo 2010 aveva dichiarato legittimo l’atto condannando in quella sede Enel Sole a pagare 9mila euro di spese legali.
Ora, secondo i giudici di Palazzo Spada, “l’esercizio del diritto di riscatto non è subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, in quanto la mancata definizione consensuale della questione patrimoniale implica la remissione della controversia economica ad un collegio arbitrale”. Da oltre un anno e mezzo l’acquisizione degli impianti ha consentito, per esempio, all’amministrazione comunale di Calcinato di aprire alle nuove tecnologie e metodi costruttivi che potrebbero in futuro portare ad una riduzione della bolletta elettrica e a un abbattimento dei costi di manutenzione e gestione, spezzando la sudditanza monopolistica del servizio e garantendo importanti risultati gestionali ed economici.

lunedì 17 ottobre 2011

Chi si ricorda di György Lukacs?

A 40 anni dalla morte, la figura e le opere del pensatore ungherese sono sempre più sepolte nelle
biblioteche che, fra l’altro, dalle nostre parti sembrano autorizzate a disfarsi di volumi che non vengono consultati da più di 10. I suoi libri sono coperti dalle polveri del tempo per ragioni niente affatto casuali. Sulla rimozione culturale, oltre che politica, delle sue fulgide intuizioni, hanno certamente influito dapprima gli eventi che hanno condotto allo smantellamento del blocco filosovietico e poi, soprattutto, la madornale amnesia collettiva che ha colpito le sinistre un po’ in tutto il mondo.
Tuttavia per comprendere la complessità del presente è impossibile non soffermarsi sul pensiero di questo filosofo e critico letterario, erede della grande tradizione speculativa tedesca che va da Kant a Hegel a Marx. Questa tradizione pone al centro della propria riflessione la categoria della totalità, intesa da Marx come “il dominio determinante e onnilaterale dell’intero sulle parti”. L’analisi di Lukacs mira a scoprire i nessi e le mediazioni che collegano le parti fra di loro e con l’intero.
Ciò è evidente nell’impostazione del suo pensiero estetico e nella critica letteraria, ambiti che, lungi dal costituire luoghi di studio separati dal contesto sociale, hanno per lui il compito di contribuire alla sostituzione di ciò che l’esistenza è nella società borghese con ciò che dovrebbe essere, dell’uomo lacerato e scisso della società capitalistica con l’ “uomo intero” che ha nel socialismo la sua realizzazione.
Quando Lukacs approda al marxismo, fra il 1917 e il 1918, è già celebre per la sua avversione al proprio ambiente sociale (era figlio di un noto banchiere di Budapest) e a quella che lui chiama “epoca della compiuta peccaminosità”, che non consente alcuna riconciliazione con la realtà e che lo spinge a ricercare nell’arte quella vita autentica alla quale aspirava. Nella critica all’esistenza sempre più artificiale della civiltà capitalistica nella grande città moderna, della quale coglie la meccanicità in opposizione al carattere organico della vita comunitaria nelle epoche precedenti, si trova la radice del suo marxismo.
Già nella “Teoria del romanzo” (1920) Lukacs delinea una sorta di filosofia della storia comprendente sostanzialmente due epoche antitetiche: l’epoca greca, della vita piena dell’ “uomo intero”, in cui non è ancora avvenuta la scissione fra dimensione interiore ed esteriore, e l’epoca borghese, considerata, appunto, “della compiuta peccaminosità”. Espressione poetica della prima e l’epos, della seconda il romanzo, di cui traccia una evoluzione culminante nella “Educazione sentimentale” di Flaubert, tipico racconto della disillusione dell’individuo che scopre quanto la società e il mondo siano totalmente estranei ai suoi valori.
Impressionato dagli orrori del primo conflitto mondiale, Lukacs si iscrive nel 1918 al Partito comunista ungherese e partecipa al breve esperimento della Repubblica dei Consigli di Bela Kun. In questo periodo viene accusato di idealismo esasperato, sia dal movimento socialdemocratico che da quello bolscevico. Dopo la tragica fine di quell’esperienza, si rifugia prima a Vienna e, dopo l’avvento del nazismo, a Mosca dove rimane fino al 1945.
Tra i due schieramenti del movimento operaio internazionale, opta per quello comunista, benché debba ad esso pagare il prezzo dell’autocritica e dell’abiura delle opere giovanili. Come molti altri intellettuali, non sa “fare parte per se stesso” e, pur di contribuire alla lotta contro il nazifascismo, non esita ad abbracciare la causa ignobile dello stalinismo. Può così lavorare all’Istituto per il marxismo-leninismo di Mosca, dedicandosi agli studi, apparentemente neutrali, di estetica e critica letteraria ed elaborando quegli scritti che, pubblicati allora solo in parte nelle riviste dell’intellettualità antifascista, hanno poi visto la luce nel dopoguerra rivelando una sterminata mole di lavoro. Fra gli altri, sono da ricordare i “Saggi sul realismo”, quelli sulla letteratura tedesca, sulla storia dell’estetica e il fondamentale “Il romanzo storico”.
Le opere raccolte in Italia da Cesare Cases nel 1953 a formare il volume “Il marxismo e la critica letteraria” affrontano il problema di un’estetica fondata sul materialismo storico e dialettico. Per Lukacs ai classici del marxismo mancò il tempo per dare sistemazione definitiva alle proprie concezioni estetiche, assorbiti com’erano dall’attività politica e dalla riflessione sull’economia. Le concezioni estetiche di Marx e di Engels vanno quindi ricercate in scritti occasionali, lettere, frammenti e manoscritti: tale sterminata e multiforme congerie di materiali dimostra come i due furono per tutta la vita lettori attenti che non si limitavano a concepire la letteratura come uno svago.
Secondo loro l’arte e la letteratura rientrano nella totalità dello sviluppo storico, nel quale il momento economico è ‘soltanto’ il momento egemonico che determina tutti gli altri, compreso quello artistico. Tuttavia si sforzano di dimostrare che anche il momento economico è a sua volta influenzabile, spesso in modo decisivo, da altre sfere, considerate potenzialmente autonome.
E’ celebre il passo dell’Introduzione del 1857 ai “Grundrisse” sul piacere estetico che l’arte greca continua a procurare ai moderni. Marx riteneva che la società capitalistica non produca lo stadio più elevato dell’arte perché la divisione sfrenata del lavoro, la reificazione, l’alienazione e la mercificazione generale portano all’occultamento dei reali rapporti umani e alla perdita di quella ‘humanitas’ che è mezzo e fine dell’arte. Tuttavia egli non credeva (come invece sostenevano Bakunin e, più tardi, i nichilisti) che la condizione primaria per la costruzione di una società di uomini nuovi risiedesse nella distruzione completa delle produzioni (anche artistiche) del passato. Seppe valorizzare, ad esempio, la creatività rinascimentale e Lukacs ne riprende il pensiero quando afferma nell’ “Estetica”: “La realtà – e perciò anche il suo rispecchiamento e la sua riproduzione attraverso il pensiero – è un’unità dialettica, di continua e discontinuità, di tradizione e rivoluzione, di passaggi garruli e di salti. Lo stesso socialismo scientifico è qualcosa di completamente nuovo alla storia, ed è tuttavia insieme la realizzazione di un’aspirazione millenaria dell’umanità”.
Esaminando la letteratura della seconda metà dell’Ottocento, Lukacs la definisce come “espressione della decadenza ideologica della borghesia”. Dopo il 1848, anno in cui, parafrasando Marx, non se ne vanno solamente i re, la crisi del realismo sfociò da un alto nel naturalismo, dall’altro nel formalismo soggettivistico definibile con la formula “l’arte per l’arte”.
Respinto ovviamente il secondo, Lukacs sottopone a forte critica pure il primo. Con il suo culto per il rispecchiamento fotografico, il naturalismo secondo lui si pregiudica la possibilità di scavare sotto la superficie del reale e di cogliere le forze intime che muovono l realtà trasformandola radicalmente in continuazione. Cogliere il fatto puro e semplice, astraendolo da tutti i suoi rapporti e legami con la complessità sociale, è considerato dal pensatore il pesante limite di scrittori come Zola, Hugo e i veristi italiani.
Nel fatto singolare quindi deve trasparire il fatto universale, l’universalità. Ciò si realizza attraverso il particolare, categoria centrale dell’estetica lukacsiana. In letteratura la particolarità si incarna nel ‘tipo’, ossia nel personaggio artistico dotato di una precisa fisionomia intellettuale, caratterizzato come individuo ma portatore di valori universali. Numerosi sono gli esempi che offre: il personaggio di Socrate nel “Simposio” di Platone, Pierre Bezuchov e Nataša Rostava in “Guerra e pace” di Tolstoj, Rastignac nella “Comédie Humaine” di Balzac. Ma la figura forse più tipica è il Don Chisciotte di Cervantes: metafora difficilmente riscontrabile nella vita quotidiana, la sua battaglia contro i mulini a vento è però una efficacissima rappresentazione del tormentato tramonto degli ideali e del mondo della cavalleria di cui era espressione, per far posto alla nascente società borghese.
Naturalmente questa visione cela il pericolo di indurre a individuare il piatto rapporto immediato fra personaggio e universalità di cui esso è veicolo. La grandezza dell’artista sta appunto nel far emergere l’universalità del personaggio, la sua weltanschauung, i suoi interessi, la classe sociale a cui appartiene, in una parola la sua ‘tipicità’ in mezzo alla complessità e contraddittorietà della sua individualità. Da questa prospettiva, Lukacs considera Joyce, Proust e Kafka come i massimi esponenti della decadenza ideologica della borghesia perché i loro personaggi (Leopold Bloom in primis) sono espressione di quella mediocrità dell’esistenza verso la quale nutriva un odio viscerale: “L’attaccamento alla mediocrità deriva dall’incredulità storicamente necessaria in questo periodo, nell’eccezionale come reale aspetto dell’umana grandezza. La società capitalistica soffoca e immiserisce le capacità degli uomini”.
Il fatto di lavorare durante la guerra in uno dei templi della cultura stalinista non lo preserva dai sospetti e dalla repressione. Nel 1944 non è arrestato dalla polizia politica solo grazie all’intervento del dirigente bulgaro del Komintern Dimitrov. Le sue critiche nei confronti degli scrittori sovietici osservanti i canoni stabiliti per il realismo socialista sono numerose. Per Lukacs esso scade spesso a letteratura a tesi, l’estremo opposto del formalismo dell’arte per l’arte. La rappresentazione agiografica degli eroi del socialismo, contrapposta alla denigrazione dei sabotatori della rivoluzione, non consente di cogliere la complessità dei personaggi trasformatori, in parallelo, della realtà esterna e della propria dimensione interna.
E’ altrettanto ostile alla deformazione staliniana della partiticità dello scrittore, della funzione ancillare della letteratura nei confronti della politica del partito unico. Contro la concezione degli scrittori come “ingegneri dell’anima”, Lukacs ritiene che il possesso del metodo d’analisi marxista non sia di per sé garanzia di superiorità culturale e che Montaigne resterà sempre più interessante di un marxista mediocre perché lo scoiattolo dell’Himalaya non deve credere di essere più grande dell’elefante delle pianure.
Sulla questione del linguaggio e dei generi letterari, nel saggio “Lo scrittore e il critico”, dopo aver ricordato che il grande teorico è anche teorico dell’estetica che fa scaturire le proprie riflessioni dall’esito della propria arte, con la sua genuina tendenza verso l’oggettività, cita l’esempio di Manzoni, il quale partecipa al movimento per l’unità nazionale italiana e, stimolato da questi problemi concreti e storici, avvia un ripensamento della propria poetica e del proprio linguaggio. Da qui derivano la sua critica alla tragedia classica e la ricerca di un nuovo genere letterario che tenda all’oggettività, al rapporto tra arte e vita che, unito alla ricerca di un nuovo linguaggio, miri alla comprensione da parte del popolo e alla diffusione presso le masse. Il romanzo storico e la lingua toscana sono i mezzi con cui consegue tale scopo. Sotto questo aspetto, come si vede, l’annosa questione dei generi letterari cessa di essere astratta e vuota poiché attiene ai problemi fondamentali dell’arte.
Dopo la fine della guerra Lukacs torna in Ungheria. Nel 1956 è in prima fila nel processo del disgelo e inizia la sua denuncia dei crimini di Stalin e dello stalinismo. Membro del Circolo Petöfi che raggruppa gli intellettuali libertari, viene rieletto al comitato centrale del partito ungherese e diviene ministro dell’istruzione durante il primo governo Nagy. A seguito dei fatti dell’ottobre 1956 e della successiva repressione, viene deportato brevemente in Romania. L’anno seguente è di nuovo a Budapest dove, fino alla morte, si dedicherà esclusivamente agli studi.
Segnato dall’esperienza bellica e soprattutto dalle nefande conseguenze dello stalinismo, si convince della necessità di una rifondazione ideologica, politica e culturale del marxismo. Mentre da un lato è necessario un enorme lavoro scientifico per cogliere la realtà quale essa è e spiegare i fenomeni nuovi, dall’altro si impone il ritorno all’anima stessa del marxismo, il metodo dialettico. A partire dal 1955 il filosofo imposta un lavoro decennale che si concluderà con la stesura delle sue riflessioni in ambito etico ed estetico. Di particolare interesse è l’ “Estetica”, opera in cui filosofia della storia, ontologia, etica e politica sono mirabilmente fuse insieme avendo come centro la considerazione dell’opera d’arte. Il suo fine è l’analisi della funzione sociale dell’arte, la funzione che essa ha svolto e continua a svolgere nella storia dell’umanità. Ma contro ogni volgare sociologismo, contro ogni riduzionismo, il punto di partenza dell’analisi è sempre l’opera d’arte. Si tratta poi di ricostruire la sua genesi e il suo “mandato sociale”, cioè le sue radici storiche e sociali. Centrale in queste pagine è la categoria della “catarsi”, intesa come “liberazione dalle scorie dell’alienazione e dell’estraniazione”, l’effetto che l’opera d’arte autentica produce nel fruitore.
L’”Estetica” merita di essere ripresa e studiata, non solo perché secondo il suo autore l’educazione estetica è un momento importante dell’educazione politica, ma soprattutto perché segna il definitivo e consapevole superamento, anche in ambito artistico, della codificazione staliniana della “teoria della conoscenza marxista”.
Leggere oggi un pensatore della profondità e ampiezza di interessi di György Lukacs è fondamentale per comprendere le ragioni della crisi della letteratura e della società che il nostro tempo si trova a vivere. E’ necessario per ricomporre una prospettiva di trasformazione reale del pessimo stato di cose presenti.
Flavio Marcolini

sabato 15 ottobre 2011

4 novembre: non festa, ma lutto!

Proponiamo che per il 4 novembre si realizzino anche a Calcinato, Calcinatello e Ponte San Marco commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze.
Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.
Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile dovranno essere rigorosamente nonviolente, senza dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; ; non dovranno prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, dovranno essere rigorosamente nonviolente.
Occorre quindi che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio.
Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.

venerdì 14 ottobre 2011

L’ALFABETO DI DON MILANI

A
AMORE: “Il desiderio di esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore. Per cui essere maestro, essere sacerdote, essere artista, essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa”.
AUTOMOBILE: “L’automobile non la guido fino a che i miei parrocchiani non l’avranno anche
loro. Quando avere l’automobile sarà una cosa normale, quel giorno la comprerò anch’io”.
B
BOCCIARE: “Bocciare è come sparare su un cespuglio: forse era un ragazzo, forse una lepre: si
vedrà a comodo”.
BOCCIATURA: “Il modo di scrivere che io ho insegnato là è considerato scarno e poi con il tipo di
temi che ricevono non sono capaci di scrivere perché considerano il tema una farsa, una cosa
convenzionale. Qui (a Barbiana) erano abituati a scrivere quando occorreva scrivere e mai per
esercitazione. Parlare una lingua straniera là è considerato zero, se non si conoscono le regoline. La storia moderna su cui (i miei alunni) sono ferrati, là non la fanno nemmeno. La geografia politica su cui saprebbero tutto, là non viene chiesta. La cultura sindacale ancora meno. La passione per l’insegnamento cha hanno fatto qua ai loro compagni minori non è considerato quanto la conoscenza del “parentado “ di Enea”.
C
COMPAGNA DI SCUOLA: “Una sola compagna mi parve un po’ elevata. Leggeva bei libri. Si
chiudeva in camera ad ascoltare Bach. E’ il frutto massimo cui può aspirare una scuola come la
vostra. A me invece hanno insegnato che questa è la più brutta tentazione. Il sapere serve solo per darlo”.
COSCIENZA: “A Norimberga e a Gerusalemme sono stati condannati uomini che avevano
obbedito. L’umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c’è una legge che gli
uomini non hanno ancora ben scritta nei loro codici, ma è scritta nel loro cuore. Una gran parte
dell’umanità la chiama la legge di Dio, l’altra parte la chiama la legge della Coscienza”.
COTTIMO: (Agli insegnanti) “Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ogni ragazzo che impara tutte le materie. O meglio, multa per ogni ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa uguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi scegliereste di notte col pensiero fisso su lui a cerare un modo nuovo di far scuola, tagliato a misura sua. Andreste a cercarlo a casa, non vi dareste pace perché la scuola che perde Gianni non è degna di essere chiamata scuola”.
D
DIPLOMA: “Giorno per giorno (alcuni ragazzi) studiano per il registro, per la pagella, per il
diploma. Lingue, storia, scienze tutto diventa voto e null’altro. Dietro a quei fogli di carta c’è solo
l’interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice, ma stringi stringi il succo è
quello”.
E
ESSERE POVERI: “La povertà non si misura a pane, a casa, a caldo, ma sul grado di cultura e sulla funzione sociale”.
F
FEDE: “La fede non è qualcosa da infilare alla prima occasione nei discorsi, ma un modo di vivere
e di pensare”.
FRONTIERE: “Ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati”.
G
GIORNALE: “A Barbiana leggevamo ogni giorno il giornale, ad alta voce, da cima a fondo. Sotto
gli esami due ore di scuola spese sul giornale, ognuno se la strappa dalla sua avarizia. Perché non
c’è nulla sul giornale che serva ai vostri esami. E’ la riprova che c’è poco nella vostra scuola che
serva nella vita. (…) Ma politica e cronaca, cioè le sofferenze degli altri, valgono più di voi e di noi
stessi”.
GIUSTIZIA: “La più accanita (professoressa) protestava che non aveva mai cercato e mai avuto
notizie sulle famiglie dei ragazzi. ‘Se un compito è da quattro, io gli do quattro’. E non capiva,
poveretta, che era proprio di questo che era accusata. Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disuguali”.
H
HO DA DIRVI: (Prima di morire ai ragazzi di Barbiana) “Ragazzi mi date molto di più di quello
che ho dato a voi. Quanto è bella l’amicizia, specialmente in situazioni simili”.(…)
“Chi non si abbandona alla morte vuol dire che prima non si è abbandonato alla vita, alle passioni e all’amore”.(…)
“Mi sono fatto cristiano e prete solo per spogliarmi di ogni privilegio; ora mi sento l’ultimo
anch’io”.
I
I CARE: “Sulle pareti della mia scuola c’è scritto grande ‘I care’. E’ il motto intraducibile dei
giovani americani migliori: ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E’ il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’”.
INCOMPETENTI: “La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde: La vostra scuola
dell’obbligo ne perde per strada 462.000. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi
che li perdete e non tornate a cercarli”.
L
LEGGE: “Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è d’obbedirla. Posso
solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste: Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
LINGUE: “(I miei ragazzi) devono imparare almeno tre lingue perché le barriere spariranno e
vivremo a contatto con persone che parlano lingue diverse”.
M
MAESTRO: “La scuola è l’unica differenza tra l’uomo e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto
quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti”.
MAESTRO E PROFETA: “Il maestro deve essere per quanto può un profeta, scrutare i segni dei
tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e noi
vediamo solo in modo confuso”.
N
NON TI FIDARE: (A Pipetta, una giovane attivista comunista di Cadenzano) “E’ un caso, sai, che
tu mi trovi a lottare con te contro i signori. Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata
di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocefisso”.
O
OBBEDIENZA: “Occorre avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono sovrani, per cui
l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni; che non credano di potersene
far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico
responsabile di tutto”.
OBIETTORI: “Aspettate a insultarli (gli obiettori di coscienza). Domani forse scoprirete che sono
dei profeti…”
OSPEDALE: “Lo abbiamo visto anche noi che con loro (i ragazzi difficili, i bocciati) la scuola
diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la
scuola non è più scuola: è un ospedale che cura i sani e respinge gli ammalati”.
P
PAROLA: (Ai suoi ragazzi) “Ogni parola che non conosci è una pedata in più che avrai nella vita”.
PATRIA: “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel
vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”.
POLITICA: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la
politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Q
QUANDO: Quando i ragazzi tornavano dai loro viaggi all’estero, don Lorenzo faceva suonare le
campane di Barbiana. “Ecco i miei bambini” esultava felice.
QUATTRO: “Consegnandomi un tema con un quattro lei mi disse: ‘Scrittori si nasce, non si
diventa’. Ma intanto (lei professore) prende lo stipendio come insegnante di italiano. La teoria del
genio è un’invenzione borghese. Nasce da razzismo e pigrizia mescolati insieme”.
R
RAGAZZI: “ Ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo posto”.
RASOIO: “La scuola siede tra passato e futuro e deve averli presenti entrambi. E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi sul filo del rasoio: da un lato formare il loro senso della legalità, dall’altro la
volontà di leggi migliori, cioè di senso politico”.
S
SCUOLA: “Il fine ultimo della scuola è dedicarsi al prossimo; quello immediato, da ricordare
minuto per minuto; è di intendere gli altri e di farsi intendere”.
SCUOLA: “La scuola non deve consegnare ai poveri le cose che abbiamo costruito e che stanno
cadendo da tutte le parti, ma solo gli arnesi del mestiere perché costruiscano loro cose tutte diverse dalle nostre e non sotto il nostro patrocinio né paterna compiacenza”.
SCUOLA: “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Quello che
loro credevano di stare imparando da me, sono io che l’ho imparato da loro. Io ho insegnato loro
soltanto ad esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere”.
T
TRAGEDIA: “Quale tragedia più grossa di essere derisi dai poveri?”.
U
UGUAGLIANZA: “Perché il sogno dell’uguaglianza non resti un sogno, vi proponiamo tre
riforme: 1- Non bocciare, 2- A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno,
3- Agli svogliati basta dargli uno scopo”.
UOMINI: “Da bestie si può diventare uomini e da uomini si può diventare santi: Ma da bestie a
santi d’un sol passo non si può diventare”.
V
VITA: (Al momento del trasferimento a Barbiana) “La grandezza di una vita non si misura dalla
grandezza del luogo in cui si è svolta e neanche le possibilità di fare il bene si misurano sul numero dei parrocchiani”.
VOI: “Voi (professori) dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza parla come voi.
Appartiene alla ditta”.
Z
ZUCCONE: “Chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come il
primo della classe. Sembrava che la scuola fosse fatta per lui. Finchè non aveva capito, gli altri non andavano avanti”.

(Le citazioni sono tratte dai volumi “Esperienze pastorali”, “L’obbedienza non è più una virtù” e “Lettera a una professoressa”)

giovedì 13 ottobre 2011

Indigniamoci!

Da Brescia, per la manifestazione nazionale del movimento che sis volgerà il 15 ottobre a Roma, partiranno dei pullman alle ore 6.00 dal piazzale Iveco.
Per prenotazioni e informazioni si può chiamare Radio Onda d’Urto allo 030.45670. Il costo del viaggio a/r è di 10 euro.
Qui sotto pubblichiamo l’appello di convocazione.
Gli uomini e le donne vengono prima dei profitti, non sono merci nelle mani di politici e banchieri. Chi pretende di governarci non ci rappresenta, l’alternativa c’è ed è nelle nostre mani, democrazia reale ora!
Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, Governi nazionali, imprenditori, banchieri e multinazionali ci presentano come dogmi intoccabili il pagamento del debito, il pareggio del bilancio pubblico,gli interessi dei mercati finanziari, le privatizzazioni, i tagli alla spesa sociale, la precarizzazione del lavoro e della vita. Sono ricette inique e profondamente sbagliate, utili a difendere rendite e privilegi, a renderci tutti più schiavi. Distruggono il lavoro e i suoi diritti, il contratto nazionale, le pensioni, l’istruzione, la sanità, la cultura, i beni comuni, il territorio, la società e le comunità.
Non è vero che siano scelte obbligate. Noi le rifiutiamo.
Qualunque schieramento politico le voglia imporre, avrà come unico effetto un’ulteriore devastazione sociale, ambientale, democratica. Ci sono altre strade, e quelle vogliamo percorrere riprendendoci pienamente il nostro potere di decidere che è il fondamento di qualunque democrazia reale.
Non vogliamo fare un passo di più verso il baratro del “modello greco, in cui l’Europa e l’Italia si stanno dirigendo e che la manovra del Governo, così come le politiche economiche europee, ci continuano ad avvicinare.
Si deve ridistribuire radicalmente la ricchezza tassando in modo fortemente progressivo i grandi patrimoni, le transazioni finanziarie, le rendite, colpendo l’evasione fiscale e contributiva. Bisogna tagliare tutte le spese militari, ritirare le truppe da tutti i fronti di guerra, annullare tutte le missioni militari e risarcire le popolazioni colpite. Bisogna accogliere i migranti, salvaguardare i loro diritti rompendo il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro.
Non si devono fare le gradi opere come la TAV in val Susa, il Ponte sullo Stretto che devastano l’ambiente, i territori e le comunità: non sono altro che regali alle imprese e alle banche.
Vogliamo ripartire dal risultato dei referendum del 12 e 13 giugno, per restituire alle comunità i beni comuni ed il loro diritto alla partecipazione. Vogliamo sviluppare una mobilitazione dal basso che dichiari il debito illegittimo, un debito da non pagare. Le alternative vanno conquistate, insieme in Europa, in Italia, nel Mediterraneo, nel mondo in tanti e tante, diversi e diverse, uniti. E’ il solo modo per combattere le politiche di austerità, di devastazione sociale e ambientale.
Invitiamo tutti e tutte a preparare la mobilitazione a Brescia e a essere in piazza a Roma il 15 ottobre 2011 per la manifestazione continentale e mediterranea contro le misure imposte da FMI, BCE, Commissione europea.
Le politiche liberiste sono la causa della crisi, queste politiche non possono essere la soluzione. Il debito è illegittimo, noi non vogliamo pagarlo!
Linea Indipendente

mercoledì 12 ottobre 2011

Banca d’Italia: e metterci un governatore al di sopra delle parti?

Magari la finissero tutti quanti con questo tira-e-molla delle nomine ad personam e venisse nominato non Ignazio ma Vincenzo Visco quale governatore di Banca d’Italia! Noi italiani contribuenti fiscali totali vogliamo lui, Vincenzo Visco per intero, non ci accontentiamo più di una semi omonimia! Del resto, dalle mie dichiarazioni all’ “Isola dei Famosi” su papa e omofobia e riduzione delle tasse promessa e mai mantenuta da Berlusconi, anzi, al contrario, e inesistenza di un segretario della Sinistra, all’assoluzione di Dominique Strauss-Kahn da me confermata a “Agorà” quattro mesi prima della sentenza americana, dal nome di Draghi come eccellenza italiana su cui puntare per un cambio di Governo o per recuperare credibilità in Europa un sei mesi fa a “Linea notte” di Bianca Berlinguer al lontano “Babele” di Corrado Augias in cui dissi a uno sperduto e semisconosciuto Prodi che presto sarebbe diventato Primo Ministro e al grande odore di sagrestia & letterarietà che emana da Nicki Vendola eccetera eccetera, io non ho mai sbagliato un colpo.

Anni e anni fa, ebbi un breve ma intenso scambio epistolare con l’allora Ministro delle Finanze Vincenzo Visco, che mai e poi mai sono riuscito ad associare a Sinistra o a Destra: troppo antidemagogico e antiretorico qual è, mi è sempre apparso come uomo a servizio delle istituzioni e basta. Dalle sue lettere, traspare intanto un umanesimo solido, ben articolato, elegante, mai una reticenza, una vera umiltà da aristocratico intellettuale formatosi alla dura bottega della Realpolitik, una competenza fuori dall’ordinario nel suo mestiere di servire al meglio il Denaro Pubblico di cui servirsi; ricordo che nel 2008, dopo la sua iniziativa, da me appoggiata incondizionatamente e affossata dal Garante sulla privacy, di mettere on line le dichiarazioni dei redditi con nome e cognome regione per regione, tutto quello che gli evasori piccati e i delinquenti pettegoli riuscirono a scovare di scandaloso sul suo conto, equivaleva a quanto i mafiosi scovarono su Francesco Saverio Borrelli (da me adorato almeno quanto il p.m. Ilda Boccassini): se l’illustre magistrato aveva l’imperdonabile tic di andare a cavallo e alla Scala, Visco guidava niente meno che una fuoriserie! L’epistolario si concluse, ma può essere un caso, dopo che avevo espresso più di una riserva sull’operato politico di Massimo D’Alema (che già albergava in sé un che di destrorso alla Felce & Mirtillo che poi sarebbe stato esplicitato quasi a manifesto dal suo attuale oppositore da nemesi storica più acerrimo, il Renzi sindaco di Firenze); io avevo ancora troppa difficoltà a inquadrare la Bicamerale (1997!) nei miei ideali e nelle mie conseguenti azioni di uomo di vera e sanguigna Sinistra anticlericale, ecco, per fidarmi di D’Alema (e infatti ho letto recentemente che ha permesso al Vaticano di insignirlo di un non so quale titolo nobiliare e non capisco che pro gli faccia e, soprattutto, che pro faccia un conte o un barone o un marchese agli elettori, sempre più virtuali, del Pd). Visco non fece seguire più risposta alcuna, ma ho sempre ritenuto che era meglio così, che era stato fin troppo generoso con me e che mi aveva dedicato fin troppo del suo prezioso tempo e, non ultimo, se davvero le mie critiche a D’Alema erano state il motivo del suo silenzio, era semmai una dimostrazione di lealtà verso colui al quale ne doveva la priorità, non altro.

L’uomo è di assoluto valore, e sarebbe ridicolo appioppargli un’etichetta partitica sorpassata: di sicuro, a differenza dei bei nomi della friabilissima sinistra italiana, Vincenzo Visco non ha una mentalità né berlusconizzata né, se mai l’ha avuta al di fuori del normale do-ut-des tra confratelli di partito, dalemiana, e di questo il Paese ha oggi bisogno per rinnovare i suoi vertici. Inoltre, Visco non ha mai piegato l’economia a sé o a una ideologia di parte contro il restante tutto, sa, eccome, che l’economia risponde solo all’economia, spietatamente, visto che non esiste più un’economia comunista da nessuna parte al mondo, a parte quella criminogena delle agenzie di rating anglosassoni, ed è un bene.

Visco non solo è onesto, ma all’altezza tecnica e umana del compito di dirigere la Banca d’Italia, e non è lontanamente pensabile che possa volere farsi forza con la stessa debolezza costituzionale dei deboli e dei poveri di spirito e di coscienza che ci governano: licitare oggi un solo condono. A proposito: che fine ha fatto? Non importa: lo si vada a prendere di peso e lo si porti dove gli spetta e ci spetta che stia.

Aldo Busi

martedì 11 ottobre 2011

Verrà sgomberato il campo nomadi di Calcinatello?

La quarta sezione del Consiglio di Stato martedì scorso ha respinto l’istanza del capo della comunità nomade di Calcinatello, Branko Radulovic, il quale chiedeva di sospendere gli effetti della sentenza del Tar di Brescia che dava il via libera allo sgombero del campo di via Campagna, dopo un lungo contenzioso fra i proprietari dell'area e il Comune.
Si tratta di un insediamento da tempo al centro di polemiche, dislocato da anni in un'area di 2.400 mq adiacente all'autostrada Serenissima, che ospita appunto alcune famiglie di nomadi.
Formalmente ora è quindi aperta la strada ai mezzi e al personale che potrebbero demolire le costruzioni abusive – baracche in legno, porticati e servizi igienici – realizzati nella zona senza licenza edilizia.
Come si ricorderà, nel gennaio scorso il Tar cittadino aveva dichiarato fondata e legittima l’ennesima diffida del Comune, che sta tentando di ripristinare la legalità dal lontano 1999 con una nutrita serie di ordinanze di demolizione non rispettate. I giudici di via Zima autorizzavano la demolizione dei manufatti illegali e disponevano l’acquisizione da parte dell’amministrazione comunale di alcune parti dell’area occupate dai nomadi, il cui ricorso ha fatto slittare i tempi di qualche mese.
Per la quarta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Anna Leoni che aveva come giudice relatore Sandro Aureli, “il doppio vincolo costituito dalla zonizzazione agricola e dalla presenza della fascia di rispetto autostradale non permette di considerare ammissibile la realizzazione di una serie di moduli abitativi”.
Le due sentenze quindi consentirebbero ora al Comune di procedere all'abbattimento delle strutture presenti sulla superficie e all’acquisizione dell’area. Ma i giudici di Palazzo Spada lasciano spazio ad un’ulteriore interlocuzione fra le parti, ventilando la possibilità che “siano concesse delle proroghe per motivi umanitari o si avvii tra le parti un confronto per definire il progetto di un campo nomadi regolare”. E la questione potrebbe diventare materia da plasmare con le adeguate opportunità, in vista della redazione del Piano di governo del territorio, magari prevedendo nell’ambito del nuovo strumento di programmazione urbanistica una struttura attrezzata, da costruire da parte del Comune con i fondi della Unione Europea (in Italia sovente sottoutilizzati dagli enti locali), nel quale possano accedere famiglie che si impegnano a mandare i minori a scuola, a garantire visite periodiche dei servizi sociali in relazione alla situazione dei minori e dei servizi tecnici comunali per la tutela del patrimonio pubblico affidato, a dichiarare l'identità e il numero degli ospiti entro un limite massimo da stabilire. Ciò eviterebbe quello a cui abbiamo assistito in passato: situazioni di degrado e di marginalità, brodo di coltura di forme di illegalità che qualche volta sono salite pure alla ribalta delle cronache.

lunedì 10 ottobre 2011

Mercoledì 12 ottobre riapre il Cineforum Libertario

Con la proiezione del film “Tomorrow’s land” mercoledì 12 ottobre riapre a Calcinato il Cinematografo Libertario gestito dal Gruppo Spartaco. Diretta da Andrea Mariani e Nicola Zimbelli, la pellicola è ambientata nel villaggio palestinese di At-Tuwani, minacciato di evacuazione e costantemente attaccato dai coloni israeliani del vicino insediamento di Ma’on. Le storie di resistenza nonviolenta degli abitanti sono fulgidi esperimenti che indicano la possibilità di una futura convivenza fra i due popoli.
Lo spettacolo avrà inizio alle ore 20.45 nella sala civica Morelli in Piazza della Repubblica. L’ingresso è gratuito. Per informazioni e prenotazioni si può telefonare al n. 338/4721505.
Nelle prossime settimane la rassegna proseguirà con la proiezione dei film “Processo per stupro” di Loredana Dordi il 26 ottobre, “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti il 9 novembre e “Nuovomondo” di Emanuele Crialese il 23 novembre.

sabato 8 ottobre 2011

Così, per sport...

Linea Indipendente chiede all’amministrazione comunale un chiarimento sui lavori e l’utilità delle commissioni assessorili.
Lo fa con una interrogazione a risposta scritta, stesa dai consiglieri comunali William Spassini e Flavio Vida “a seguito di reiterate segnalazioni da parte dei membri della commissione indicati dai gruppi di minoranza”.
“In luglio – raccontano - per mezzo di formale comunicazione i membri di minoranza (Enzo Bianchi, Bruno Bonera e Pino Campione – ndr), ai sensi del regolamento avanzavano richiesta di convocazione della commissione; essa non ha trovato accoglimento entro i termini stabiliti e non le è stata data una risposta”.
“Nel frattempo – sottolineano i due consiglieri di opposizione - l’amministrazione ha patrocinato numerose attività sportive, alcune di rilevanza sovracomunale, senza coinvolgere gli organi consultivi. Lamentiamo quindi il venir meno del senso della commissione: quella della partecipazione e del coinvolgimento del maggior numero possibile di persone alle attività municipali”.
“Il caso particolare di quella dello sport diventa generale” per Spassini e Vida. “e può essere esteso al funzionamento di tutte le Commissioni. Noi riteniamo che, una volta costituite, debbano diventare lo spazio del confronto e di un primo passaggio di informazioni. Valorizzarle significa accrescere un interesse attivo nei confronti della cosa pubblica; relegarle al ruolo di passaggio secondario, impedimento o strumento di avvallo di decisioni prese altrove, rallenta i tempi dell’amministrazione e non ha senso”.
Nel merito chiedono all’assessore allo sport “un resoconto delle attività sportive promosse sul territorio e di quelle patrocinate”, nonché “una quantificazione dei costi sostenuti dal Comune a sostegno di queste iniziative”.

venerdì 7 ottobre 2011

Reinventare la purdah!

La tragedia di Hina Saleem, la ragazza pakistana uccisa dai familiari per essersi opposta alle tradizioni che le impedivano di avere un fidanzato italiano, continua a suscitare riflessioni nella nostra provincia.
La psicopedagogista bresciana Maria Grazia Soldati, docente di Pedagogia all’Università di Verona, ha appena pubblicato il saggio “Purdah o della protezione” (Franco Angeli editore, pagg. 160, euro 19), dedicato al tema della trasmissione culturale nelle famiglie migranti pakistane. Partendo dal dramma di Hina, Maria Grazia Soldati, con l’aiuto di mediatrici culturali, ha incontrato molte donne pakistane che vivono dalle nostre parti e nel libro racconta le loro storie con l’obiettivo di aiutare i lettori a comprendere la complessa identità femminile nella tradizione di quel paese orientale.
“Il 90% dei pakistani a Brescia sono punjabi, provenienti cioè dal Punjab, un’area divisa fra India e Pakistan quando avvenne la separazione” racconta l’autrice. “I punjabi non sono tutti musulmani, molti sono sikh, ma la religione si innesta su una medesima tradizione culturale”.
La parola chiave del libro è ‘purdah’. “Si legge ‘parda’ ed è un modo di stare nelle relazioni fra uomo e donna e fra diverse generazioni: nuora-suocera, nipote-zio ecc.” spiega la studiosa. “Si acquisisce attraverso l’educazione familiare e per le donne si manifesta anche attraverso la pratica del coprirsi con la sciarpa chiamata ‘dupatta’: non si tratta solo di nascondersi dagli sguardi maschili, ma può essere un segno di rispetto, per esempio in presenza della suocera”.
A questa tradizione appartiene anche il concetto di ‘sharam’, qualcosa a metà fra il pudore o vergogna. “È ciò che porta le donne a tacere o abbassare lo sguardo” precisa la Soldati. “La società pakistana è patriarcale: l’obiettivo dell’educazione di una figlia è prepararla a entrare in un’altra famiglia ed essere una buona moglie e madre”.
L’emigrazione dal Pakistan, la nascita dei figli in Italia, il confronto con il nostro stile di vita in cui è l’individuo e non la comunità a venire al primo posto fa scattare una serie di problematiche. “Per una ragazza punjabi - racconta la Soldati - uscire a mangiare una pizza con le amiche indossando i jeans può costituire una grave infrazione. Una giovane pakistana italiana, Rubina, ha scatenato un putiferio in famiglia perché ha osato incontrare un ragazzo pakistano conosciuto al telefono, cugino di un’amica della moschea. Quando si è rifiutata di uscire una seconda volta, lui l’ha denunciata al fratello maggiore. Rubina è stata picchiata e segregata in casa perché ha violato le regole del purdah, ha macchiato l’onore della famiglia. E lei, temendo il peggio, ha chiamato i carabinieri”. Ma qualche volta pure le forze dell’ordine e i nostri servizi sociali trovano difficoltà ad interagire con un universo valoriale così diverso dal nostro. E allora può essere utile reinventare la pratica del purdah, con il lavoro educativo e di cura, attraverso incontri narrativi al femminile corredati di dispositivi di mediazione etnoclinica.
Sul futuro la Soldati appare cautamente fiduciosa: “Anche il Pakistan sta cambiando. I ragazzi che tornano per le vacanze se ne rendono conto e vedono che a volte nell'applicare la tradizione sono più puriste le famiglie all’estero che in patria”.
Flavio Marcolini

giovedì 6 ottobre 2011

Fare thee well, Steve!

Stanotte è morto Steve Jobs.
Questo è il testo integrale del suo più celebre discorso, tenuto in occasione della consegna dei diplomi il 12 giugno 2005 alla Università di Stanford.

Sono onorato di essere con voi oggi, per la vostra laurea in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Ad essere sincero, questo è la cosa più vicina ad una laurea, per me. Oggi voglio raccontarvi tre storie che mi appartengono. Tutto qui. Niente di particolare. Solo tre storie.
La prima storia parla di unire i puntini. Ho smesso di frequentare il Reed College dopo i primi 6 mesi, ma gli sono rimasto attorno per altri 18 mesi prima di lasciarlo definitivamente. Perchè lo feci? Tutto cominciò prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa universitaria nubile e decise di darmi in adozione. Sentiva nel suo cuore che io dovessi essere adottato da un laureato, così venne preparata la mia adozione, alla nascita, per un avvocato e sua moglie. Solo quando vidi la luce questi decisero all'ultimo momento di desiderare una bambina. Quindi i miei genitori, che erano in lista d'attesa, vennero chiamati nel mezzo della notte da una voce che chiedeva: "Abbiamo un bambino indesiderato, lo volete?" Essi dissero: "Certo". Mia madre biologica scoprì in seguito che mia madre non si era mai laureata a che mio padre non aveva neanche il diploma di scuola superiore. Rifiutò di firmare i documenti per l'adozione. Accettò, riluttante, solo qualche mese dopo quando i miei genitori promisero che un giorno sarei andato all'università. 17 anni dopo andai all'università. Ma ingenuamente scelsi un istituto universitario costoso quanto Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori lavoratori furono spessi per la retta. Dopo sei mesi non riuscivo a vederne l'utilità. Non avevo idea di cosa fare nella vita e nessun indizio su come l'università avrebbe potuto aiutarmi a capirlo. Così spesi tutti i soldi che i miei genitori avevano risparmiato in un'intera vita di lavoro. Decisi di non seguire il piano degli studi obbligatorio, confidando nel fatto che tutto si sarebbe sistemato. Ero molto spaventato da quella decisione, ma col senno di poi, sarebbe stata una delle migliori decisioni che avessi mai preso. Nel momento in cui scelsi un piano di studio personalizzato avevo la possibilità di ignorare le lezioni che non mi interessavano e di scegliere quelle che mi apparivano più interessanti. Non era per niente romantico. Non avevo una stanza al dormitorio, così dormivo sul pavimento in stanze di amici. Restituivo i vuoti di cocacola per i 5 centesimi di deposito, ci compravo da mangiare, e mi facevo più di 10 kilometri a piedi attraverso la città, ogni domenica notte, per avere un pasto a settimana al tempio Hare Krishna. Che bello. Tutto quello in cui inciampai semplicemente seguendo la mia curiosità ed il mio intuito si rivelarono in seguito di valore inestimabile. Per esempio: il Reed College all'epoca offriva quello che era probabilmente il miglior corso di calligrafia del paese. In tutto il campus, ogni manifesto, ogni etichetta su ogni cassetto, era meravigliosamente scritto a mano. Decisi di prendere lezioni di calligrafia. Appresi la differenza tra i tipi di caratteri con grazie e senza grazie. Imparai l'importanza della variazione dello spazio tra combinazioni diverse di caratteri. Mi insegnarono quali elementi fanno della tipografia, una grande tipografia. Era affascinante: si trattava di storia, bellezza ed arte come la scienza non può catturare. Niente di tutto ciò aveva la benchè mnima speranza di una qualunque applicazione nella mia vita. Ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Macintosh, tutto mi tornò utile. E lo mettemo interamente nel Mac. Era il primo computer che curasse la tipografia. Se non avessi mai scelto quel corso, al college, il Mac non avrebbe mai avuto font proporzionali e font a larghezza fissa. E siccome Windows ha copiato il Mac, è probabile che nessun computer li avrebbe avuti. Se non avessi scelto di interrompere il piano degli studi obbligatorio non avrei scelto quel corso di calligrafia ed i personal computer avrebbero potuto non avere la stupenda tipografia che hanno. Era ovviamente impossibile unire i puntini guardando al futuro mentre ero al college e capire in cosa si sarebbe concretizzato. Ma la realizzazione era estremamenta chiara, guardardando alle spalle, dieci anni dopo. Ve lo ripeto, non puoi unire i puntini guardando al futuro, puoi connetterli in un disegno, solo se guardi al passato. Dovete quindi avere fiducia nel fatto che i puntini si connetteranno, in qualche modo, nel vostro futuro. Dovete avere fede in qualcosa - il vostro intuito, il destino, la vita, il karma, quello che sia. Questo approccio non mi ha mai deluso e ha fatto tutta la differenza nella mia vita.
La seconda storia parla d'amore e di perdita. Sono stato fortunato - ho scoperto quello che amavo fare molto presto. Woz ed io fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo vent'anni. Lavorammo duro, e in 10 anni la Apple crebbe dai due che eravamo in un garage ad una società da 2 miliardi di dollari con più di 4000 impiegati. Avevamo appena creato il nostro miglior prodotto - il Macintosh - un anno prima, e io avevo appena compiuto 30 anni. E fui licenziato. Come si fa ad essere licenziati dalla compagnia che hai fondato? Beh, non appena la Apple si espanse assumemmo qualcuno che pensavo fosse molto capace nel gestire l'aziende con me, e per il primo anno le cose andarono bene. Ma la nostra visione del futuro cominciò a divergere e alla fine decidemmo di rompere. Quando ci fu la rottura i nostri dirigenti decisero di stare dalla sua parte. Così, a trent'anni, ero fuori. E molto pubblicamente. Il centro della mia vita da adulto era completamente andato, sparito, è stato devastante. Non ho saputo che pesci pigliare per un po' di mesi. Sentivo di aver deluso la precedente generazione di imprenditori per aver mollato la presa. Incontrai David Packard e Bob Noyce per cercare di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Fu un fallimento pubblico, pensai addirittura di andarmene. Ma qualcosa, lentamente, si faceva luce in me. Amavo ancora quello che avevo realizzato. L'inaspettato e repentino cambiamento alla Apple non avevano cambiato quello che provavo, neanche un poco. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Quindi decisi di ricominciare. All'epoca non me ne accorsi, ma il mio licenziamento dalla Apple fu la cosa migliore che poteva capitarmi. Il peso del successo fu rimpiazzato dall'illuminazione di essere un principiante ancora una volta, con molta meno sicurezza su tutto. Questo mi liberò e mi consentì di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita. Durante i cinque anni successivi, fondai una società di nome NeXT, un'altra di nome Pixar, a mi innamorai di una meravigliosa donna che sarebbe poi diventata mia moglie. Pixar finì per creare il primo film animato al computer della storia, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione più famoso al mondo. Apple, con una mossa notevole, acquisì NeXT, io tornai ad Apple, e la tecnologia che sviluppo con NeXT è oggi nel cuore dell'attuale rinascimento di Apple. Laurene ed io abbiamo una stupenda famiglia. Sono sicurissimo che niente di tutto ciò sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato da Apple. E' stato un boccone amarissimo da buttar giù, ma era la medicina di cui avevo bisogno. A volte la vita ti colpisce in testa come un mattone. Non perdete la fede. Sono convinto del fatto che l'unica cosa che mi ha consentito di proseguire sia stato l'amore che provavo per quello che facevo. dovete trovare ciò che amate. E' questo è tanto vero per il vostro lavoro quanto per chi vi ama. Il lavoro riempirà gran parte della vostra vita e l'unico modo per essere veramente soddisfatti e quello di fare quello che pensate sia il lavoro migliore. E l'unico modo per fare il lavoro migliore e quello di amare quello che fate. Se non lo avete ancora trovato, continuate a cercare. Non vi fermate. Come tutti gli affari di cuore, lo saprete quando lo troverete. E, come nelle migliori relazioni, diventerà sempre migliore al passare degli anni. Quindi, continuate a cercarlo fino a quando non l'avrete trovato. Non fermatevi.
La terza storia parla di morte. Quando avevo 17 anni, lessi un brano che diceva più o meno: "se vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo, prima o poi lo sarà veramente". Rimasi impresso, e da allora, per gli ultimi 33 anni, ho guardato nello specchio ogni mattina e mi sono chiesto: "se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei veramente fare quello che sto per fare oggi?" E ogni volta che la risposta fosse "No" per troppi giorni di seguito sapevo di aver bisogno di cambiare qualcosa. Ricordare che morirò presto è stato lo strumento più importante che mi ha consentito di fare le scelte più grandi della mia vita. Perchè praticamente tutto - tutte le aspettative, l'orgoglio, le paure di fallire - tutte queste cose semplicemente svaniscono di fronte alla morte, lasciandoci con quello che è veramente importante. Ricordarsi che moriremo è il modo migliore che conosco per evitare le trappola di pensare di avere qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c'è nessun motivo per non seguire il vostro cuore. Circa un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto una TAC alle 7:30 del mattino e mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava sicuramente di un tipo di cancro incurabile, e che avrei avuto un'aspettativa di vita non superiore ai 3-6 mesi. Il mio dottore mi consigliò di andare a casa e di sistemare le mie cose, che è il messaggio in codice dei dottori per dirti di prepararti a morire. Significa che devi provare a dire ai tuoi bambini ogni cosa che pensavi di dirgli nei prossimi dieci anni, in pochi mesi. Significa che devi assicurarti che ogni cosa sia a posto così che sarà la più facile possibile per la tua famiglia. Significa che devi dire addio. Ho vissuto con quella diagnosi tutto il giorno. Più tardi, nel pomeriggio, mi è stata fatta una biopsia. Mi hanno infilato un endoscopio nella gola che è passato per il mio stomaco ed il mio intestino. hanno messo un ago nel mio pancreas e hanno prelevato alcune cellule dal tumore. Ero sotto sedativi, ma mia moglie, che era lì, mi ha detto che quando hanno analizzato le cellule al microscopio i dottori cominciarono a piangere perchè scoprirono che si trattava di una rarissima forma di cancro pancreatico curabile con la chirurgia. Sono stato operato. Ora sto bene. E' stata la mia esperienza più vicina alla morte e spero che rimanga tale per qualche decennio ancora. Avendola superata posso finalmente dirvi con più certezza di quando la morte era semplicemente un utile concetto ma puramente intellettuale: Nessuno vuole morire. Neanche chi vuole andare in paradiso vuole morire per arrivarci. E nonostante tutto, la morte è la destinazione che condividiamo. Nessuno vi è mai sfuggito. E così dovrebbe essere perchè la Morte è probabilmente l'unica, migliore invenzione della Vita. E' l'agente di cambiamento della Vita. Elimina il vecchio per far spazio al nuovo. Proprio adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo distante da oggi, diventerete gradualmente il vecchio che deve essere eliminato. Mi dispiace essere così drammatico, ma questa è la verità. Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non lasciatevi intrappolare dai dogmi - che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altri. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui lasci affogare la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore ed il vostro intuito. Loro sanno già quello che voi volete veramente diventare. Tutto il resto è secondario. Quando ero giovane, c'era un'incredibile pubblicazione chiamata The Whole Earth Catalog, che era una delle bibbie della mia generazione. Era stata creata da un tizio di nome Stewart Brand non troppo lontano da qui, a Menlo Park, e la portò alla luce con il suo tocco poetico. Stiamo parlando dei tardi anni '60, prima dei computer ed il desktop publishing, quidi era tutta fatta con macchine da scrivere, forbici e Polaroid. Era una sorta di Google di carta, 35 anni prima della venuta di Google: era idealistico, e pieno di strumenti utili ed informazioni preziose. Stewart ed il suo gruppo pubblicaro molti numeri del Grande Catalogo Mondiale fino all'ultima edizione. Eravamo a metà degli anni '70 ed io avevo la vostra età. Sul retro di copertina dell'ultimo numero c'erà la foto di una strada di campagna all'alba, quel tipo di strada sulla quale potreste trovarvi a fare l'autostop se voste così avventurosi. Sotto c'erano queste parole "Siate affamati, siate folli siate assurdi". Questo era il messaggio di congedo. Rimanere affamato. Rimanere folle Rimanere assurdo. Me lo sono sempre augurato. Ed ora, per voi che state per laurearvi, lo auguro a voi. Siate affamati. Siate folli. Grazie.

mercoledì 5 ottobre 2011

Cercasi due volontari per un servizio civile di pace

Il Movimento nonviolento bresciano ha emesso un bando per il reclutamento di due giovani volontari per il servizio civile nazionale, disponibili a prestare la propria opera per 30 ore settimanali nellíarco di un anno, retribuiti 433,80 euro mensilmente. La proposta Ë rivolta ai cittadini di et‡ compresa fra i 18 e i 28 anni in possesso del diploma di scuola media superiore.
Presente in citt‡ da quarantíanni, il Movimento nonviolento crea e organizza quotidianamente attivit‡ e iniziative per la pace, il disarmo, le obiezioni di coscienza, la opposizione contro gli insediamenti militari e le industrie belliche, líeducazione alla mondialit‡, la difesa della salute dellíambiente e dei cittadini. Promuove ogni mese líora di silenzio per líaccoglienza in Piazza Rovetta e dispone di una biblioteca con 3.500 volumi in consultazione e in prestito, 38 riviste in abbonamento e circa 75.000 documenti (volantini, opuscoli, dossier, articoli di giornale, lettere, studi critici e saggi brevi), ponendosi come punto di aggregazione ed animazione culturale sul territorio provinciale.
Il bando scade venerdÏ 21 ottobre. Gli interessati possono rivolgersi alla sede in via Milano 65 oppure cliccare in rete http://nonviolenti.org o telefonare al numero 339.6243617 o ancora inviare una e-mail allíindirizzo mir.brescia@libero.it.

martedì 4 ottobre 2011

Mercoledì 5 un'ora di silenzio a Brescia con i migranti

Mercoledì 5 ottobre torna in Piazza Rovetta l’ “ora di silenzio” organizzata dal Movimento nonviolento dalle ore 18 alle 19 in solidarietà con i migranti che quotidianamente attraversano il Mediterraneo per cercar fortuna in Europa. “È una storia che dura da vent’anni, lungo i confini dell’Europa” racconta il portavoce Adriano Moratto. Giorno per giorno, da anni, le morti e le storie di sofferenza drammaticamente si ripetono. Dal 1988 ad oggi almeno quasi 18mila giovani sono morti tentando di espugnare i ‘confini’ dell’Europa. Dall’inizio dell’anno, intensificatisi i fenomeni migratori con la recente guerra in Libia, sono già quasi 2mila persone”. “I mari italiani – osserva - sono diventati il territorio protagonista di queste storie di disperazione. È disumano ciò che continua ad accadere. Nel canale di Sicilia, tra Libia, Egitto, Tunisia, Malta e Italia, le vittime totali sono 5.962, tra cui 4.547 dispersi. Altre 189 persone sono morte navigando verso la Sardegna. Le cifre sono moltissime, ma ciascuna nasconde una storia individuale, personale e degna di attenzione. Sono vite di esseri umani, sofferenze di persone quotidianamente sotto attacco militare, aspirazioni per conquistare una condizione migliore e fatiche per ottenere protezione”. La strage ogni giorno continua sotto i nostri occhi, nell’indifferenza dei più. Per Moratto “ci rifiutiamo di riflettere sul significato e sulle ragioni di questo esodo.Invece, dal maggio 2009 in accordo con l’allora ‘amico’ Gheddafi, abbiamo attivato le politiche scellerate dei respingimenti in mare, nonostante le denunce di variorganismi internazionali. Abbiamo introdotto inoltre il reato di clandestinità e abbiamo deportato migliaia di persone nei Centri di identificazione ed espulsione, luoghi d’intollerabile sospensione dei diritti in cui vengono umiliate le dignità personali e in cui si crea un totale isolamento civile e democratico”. Nel bresciano sono giunti centinaia di profughi da guerre e dittature in attesa di essere riconosciuti rifugiati politici. “Sono stati mandati il più lontano possibile – sottolineano i nonviolenti “in mezzo ai monti senza assistenza e con ancora i loro vestiti da climi africani. I nostri amministratori, cinicamente e senza riconoscere l’emergenza di tale situazione, sembrano non porsi il problema delle prospettive concrete per queste persone. Risolvono la questione parlando di espulsioni, ignorando ogni altra possibilità di accoglienza e regolarizzazione mentre si spendono sempre più miliardi per missioni militari e solo percentuali ridicole per aiuti alle popolazioni”. E invece “dobbiamo ricordare che stiamo parlando di persone, di esseri umani, ognuno con la sua tragica storia, di cui spesso la responsabilità risale alle politiche scellerate dei nostri governi e dei nostri silenzi indifferenti. Dobbiamo riscoprire il valore dellasolidarietà e della fraternità, dell’armonia per il vivere civile. Buttiamo a mare il cinismo globalizzato della finanza. Riconosciamo nello sguardo e nei gesti di questiprofughi la nostra stessa umanità”. Per informazioni e adesioni si può telefonare ai numeri 347.8640893 o 339.6243617 oppure inviare una e-mail all’indirizzo movimentononviolento.bs@alice.it.

lunedì 3 ottobre 2011

Con la Palestina nel cuore

Omaggio a Vittorio Arrigoni domenica 9 ottobre a Calcinato, dove il Gruppo libertario Spartaco organizza una manifestazione di solidarietà con il popolo palestinese. A partire dalle ore 17.nella Sala civica Morelli in piazza della Repubblica sono in programma una conferenza di Alfredo Barcella (portavoce dell’Associazione di amicizia Italia-Palestina)
sulla situazione attuale, la presentazione del rapporto di Human Right Watch “Separate and unequal” sull’occupazione dei territori palestinesi, la proiezione del film documentario “Staying Human” sull’attività del pacifista assassinato lo scorso 15 aprile a Gaza. Attivista dell’International Solidarity Movement, Arrigoni era arrivato in città nell’agosto 2008 e con il suo impegno si era guadagnato le minacce sia dell’estrema destra israeliana che dei salafiti islamici accusati del suo assassinio. Nel suo blog “GuerrillaRadio” raccontava le sofferenze del popolo palestinese; le sue corrispondenze si concludevano sempre allo stesso modo: “Restiamo umani”, titolo anche del suo libro tradotto in quattro lingue.