sabato 29 maggio 2021

IsraeIe-Palestina: l'analisi della ricercatrice calcinatese Giulia Macario

Dal cuore del Medio Oriente ci giunge la lettura che del conflitto israelo-palestinese esacerbatosi nei giorni scorsi dà la studiosa calcinatese Giulia Macario. 27 anni, formatasi al Liceo Don Milani di Montichiari, la giovane dopo una nutrita serie di studi internazionali, lavora ora come ricercatrice al Center for Strategic Studies di Amman.
"Molti fatti e fenomeni vengono omessi dai media occidentali nella narrazione di questa vicenda" esordisce, senza negare "le complessità di un conflitto che dura da oltre 70 anni. Le asimmetrie di potere ad oggi sono chiare e dovrebbero guidarci ad una comprensione necessaria per quanto scomoda che non cerca parti immacolate".
“Quello che è accaduto nell’ultimo mese non è che l’ultimo esempio di letture dei fatti che non si intersecano” ."All'inizio dell'ultimo Ramadan - ricorda - l'esercito per una questione di ordine pubblico ha transennato la Porta di Damasco, luogo fortemente simbolico per la comunità palestinese, che invece ha visto in questa decisione l’ennesimo attacco ai propri spazi a cui ha reagito violando il divieto. Le forze di sicurezza hanno risposto con granate, acqua putrescente e cariche della polizia. Le transenne verranno rimosse solo dopo una marcia autorizzata nel centro della Città Vecchia Gerusalemme di gruppi suprematisti ultranazionalisti che a centinaia urlavano 'Morte agli arabi!'.
Successivamente "nel quartiere di Sheikh Jarrah proseguivano le espulsioni forzate dalle case in cui gli abitanti palestinesi avevano vissuto per tutta la vita inserite all’interno di politiche di sostituzione e pulizia etnica documentate. La Corte israeliana ritiene perfettamente legali tali pratiche che inserisce invece in un discorso sulla 'proprietà privata' che diventa mainstream nell'opinione pubblica israeliana che considera legittima l'espropriazione".
"Alle iniziali pacifiche proteste palestinesi che sono montate - prosegue - la polizia ha reagito sparando proiettili rivestiti di gomma colpendo, alle volte irreversibilmente, viso e occhi di decine e decine di manifestanti. Fra il 9 e 10 maggio l’acuirsi degli scontri ha visto molti manifestanti rifugiarsi nella moschea di Al Aqsa, dove l'esercito ha fatto irruzione il mattino seguente in assetto da guerra violando un luogo sacro, azione ascritta all’interno dei crimini di guerra dal diritto internazionale".
"Le cronache di tutto questo in Occidente sono state avvolte da una manipolazione che ne ha appiattito il racconto sulle posizioni del governo israeliano, in coincidenza con un periodo in cui per il premier Netanyahu è urgente distrarre l'opinione pubblica dai suoi guai con la giustizia" sottolinea.
Per Macario "mentre i palestinesi vivono in uno stato di forte vulnerabilità, Israele parla sempre di diritto alla difesa declinando la realtà esclusivamente alle proprie esigenze. Quella fra la supposta democrazia israeliana e il radicalismo della leadership palestinese di Hamas è una antinomia semplicistica. Al di là dei formalismi, la democrazia di Tel Aviv si fonda su un principio di esclusività etnico-religiosa e sulla sostituzione del popolo palestinese a vantaggio della componente ebraica, così facendo nega i diritti fondamentali ai palestinesi, attraverso un regime di apartheid documentato dall'Onu e Human Rights Watch che vede tra vari esempi, processi arbitrari e sommari, la limitazione gli spostamenti e le libertà fondamentali attraverso check point e un’aggressiva militarizzazione. Da anni sta crescendo ad un ritmo assai preoccupante il numero e il peso dei coloni ultraortodossi, usciti rafforzati anche in Parlamento dalle ultime elezioni, si tratta ormai di 667 mila persone e 145 insediamenti illegali e irremovibili".
"D'altro canto - secondo la ricercatrice - è inutile nascondere la problematicità dell'universo di Hamas, movimento che ha una matrice identitaria religiosa, frange militarizzate e scarsa credibilità presso le diplomazie occidentali e internazionali, che preferiscono continuare a interloquire con un'Olp sempre più in crisi, non solo di rappresentanza. A Gaza - dove le condizioni sono disastrose e la vita media si aggira sui 24 anni - servirebbe ben altro. Le forme di clientelismo e i razzi sono armi viete e rudimentali; questi ultimi fra l'altro sono quasi sempre neutralizzati dall'efficientissimo sistema di difesa israeliano Iron Dome e si configurano come reazione sporadica e spesso controproducente alle violenze sistematiche e quotidiane di Israele, che gode in modo esclusivo di impunità e senza essere chiamato alle responsabilità delle proprie azioni criminali davanti alle corti e alla comunità internazionale".
Anche se minoritarie, dall'interno dello Stato ebraico persistono voci di dissenso. "Hanno purtroppo scarso peso politico - osserva Macario - ma dimostrano comunque l'insostenibilità di un modello statuale che nasce e si sviluppa secondo schemi coloniali".
Più in generale, "rispetto alle altre rivolte questa ennesima escalation di violenza è stata maggiormente sotto i riflettori dei social media, che hanno rivelato le censure della stampa internazionale. Stimolata forse anche da ciò, la mobilitazione planetaria è stata impressionante, in termini di dimensioni e partecipazione dopo anni di acritico sostegno a Israele".
"Non so quanto reggerà questa tregua proclamata sotto l'egida dell'Egitto, nazione che sta giocando la sua partita nel tentativo di ritrovare un ruolo di preminenza nell'area" dichiara.
"Era chiaro a tutti che era impossibile continuare così, il problema è capire cosa succederà ora. Con tutta probabilità si tornerà allo status quo e alla violazione dei diritti, fino al prossimo incendio. Se non si affrontano i nodi che impediscono di trovare una coesistenza pacifica si susseguiranno continui eventi di violenza e stallo”.
Ma ci sarà mai una convivenza pacifica? “Ad oggi nessun attore internazionale è interessato a trovare una via d'uscita sostenibile: alcuni parlano di un Israele secolare, non più fondato sull’ebraicità. Col numero di fedi cristiane e musulmane presenti, questo Stato dovrebbe rimettere in discussione se stesso nella sua natura più essenziale e fondante, praticamente fantascienza o romantica utopia. Gli accordi di Oslo sono rimasti lettera morta - due popoli, due stati, si diceva; ad oggi tutto questo è impraticabile, l'edilizia vorace dei coloni e l’espansionismo su più fronti concertato con il silenzio e la viltà della comunità internazionale hanno portato a una domanda molto meno ambiziosa: 'come gestire i diritti dei palestinesi?'. Un processo di riscrittura così importante deve passare dalle soluzioni che le comunità troveranno".

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