[Laura Eduati - Liberazione]
Scuole vuote, negozi chiusi. Coloratissimo corteo nella città con il 20% di migranti
Brescia - nostra inviata
Oltre cinquanta fabbriche chiuse per lo sciopero, il 90% dei negozi stranieri con le serrande abbassate, scuole vuote, diecimila migranti a Piazza della Loggia per protestare, pacificamente, contro il razzismo e le politiche vessatorie del governo.
Brescia non delude. Anzi. E’ l’unica città italiana dove il 1 marzo è stato accompagnato massicciamente dallo sciopero dei lavoratori migranti e italiani, e non solo: gli stranieri hanno promosso l’astensione dagli acquisti e, molti, hanno preferito non mandare a scuola i bambini. Non è un caso: la comunità straniera bresciana è una delle più antiche e organizzate d’Italia. In città gli immigrati sono ormai il 20% della popolazione. I primi sono arrivati venticinque anni fa, ora le scuole sono popolate dai loro figli che parlano in bresciano stretto ma per legge non possono ottenere la cittadinanza italiana prima dei diciotto anni. Peggio: rischiano di perdere, oltre al lavoro, anche il permesso di soggiorno e dunque il diritto di risiedere nell’unico Paese che conoscono, l’Italia.
Mettici poi le decine di ordinanze razziste di Brescia e provincia, l’ultima a Villa Carcina dove il sindaco leghista vorrebbe controllare i documenti ai migranti che tornano in autobus verso la Val Trompia. Così, per beccare il clandestino. Perché non esiste soltanto Coccaglio con l’operazione White Christmas. Nei mesi scorsi Trenzano propose di obbligare gli stranieri a parlare italiano. Anche fra di loro. Tutte ordinanze impugnate dalla Cgil e bocciate dal Tar. Come il bonus bebé ideato dalla giunta di centrodestra, a Brescia, e che escludeva i bambini nati dagli stranieri. Cassato anche quello. Senza contare le lungaggini per il rinnovo dei documenti. «Ho fatto la richiesta nel marzo 2009, non ho ancora ricevuto notizie dalla questura e l’anagrafe mi richiede il permesso in originale per concedermi la residenza», commenta una signora indonesiana con la bimba nel passeggino e un palloncino giallo al polso, simbolo dell’iniziativa.
Ma è il clima che è cambiato. «Stiamo peggio di prima», riassume Iqbal Mazhar, leader della comunità pakistana, la più numerosa nel capoluogo: «Troviamo difficoltà ad ottenere spazi per la preghiera, il Comune mette sempre i bastoni tra le ruote. Per loro l’integrazione significa abbandonare l’Islam». Sul palco allestito a Piazza della Loggia, sotto un sole primaverile, un gruppo di ragazzi pakistani vestiti come tutti gli adolescenti di questo mondo partecipa con urla e applausi. «Siamo la squadra di cricket, il sindaco ci vieta un campo dove allenarci», dicono. Tra loro una giovane promessa, gioca nella nazionale: «Se proviamo a giocare ci fanno una multa da 130 euro». Sono tanti i giovani della seconda generazione che hanno deciso di saltare la scuola, spesso incoraggiati da insegnanti solidali, per partecipare al coloratissimo corteo. Raccontano episodi di razzismo, e sono stanchi. «Perché nelle partite di calcio noi neri dobbiamo sempre rimanere in panchina? E perché quando c’è crisi il padrone lascia sempre a casa mio padre, unico straniero in ditta?», si lamenta Abdul, alunno dell’istituto professionale Moretto, oltre il 50% di studenti stranieri con punte del 90% nelle prime classi. Se l’integrazione comincia sui banchi di scuola, il Moretto fa sicuramente la sua parte organizzando tornei di calcio, cortometraggi multietnici e assaggi di pietanze dei diversi Paesi per facilitare la conoscenza delle diverse culture. Il risultato viene dalle parole di Khalid, diciottenne di origine marocchina, anche lui studente dell’istituto: «Da cinque anni ho un compagno di banco leghista. Andiamo d’accordissimo».
La giunta comunale, dopo aver chiuso lo sportello immigrati alla fine del 2008, prese di mira anche il Moretto facendo saltare il corso di arabo che doveva tenersi nei locali della scuola. E i giovani della Lega Nord vennero un giorno davanti ai cancelli per distribuire volantini contro l’esperienza multietnica colpevole, a loro dire, di uccidere la cultura padana. «Ma noi invitiamo anche poeti dialettali bresciani» precisa Antonio Viceconte, professore di religione e responsabile dell’accoglienza degli studenti stranieri
Tutto è peggiorato con l’arrivo della crisi. Numerose famiglie straniere – ma anche italiane – hanno ricevuto lo sfratto per morosità perché andare in cassintegrazione significa guadagnare 7-800 euro ed è impossibile farcela. Poi l’incubo della clandestinità e dell’espulsione. Dal palco si succedono gli interventi dei delegati Fiom stranieri che hanno voluto fortemente lo sciopero, ottenendo una copertura da parte della Cgil (Cisl e Uil si sono dichiarate contrarie). Lanciano parole forti e disperate all’indirizzo del governo. Un leader della comunità senegalese racconta scandalizzato il caso di una connazionale che, a causa di un aborto spontaneo, ha perduto la possibilità di usufruire del permesso di soggiorno di sei mesi accordato alle donne incinta. «Ha bisogno di cure ma non può andare dal medico» urla al microfono: «Non c’è umanità, di questo passo diventeremo tutti clandestini».
La piazza è gremita, decine e decine di nazionalità diverse, donne velate e ragazze musulmane col rossetto lucido, sikh con il turbante tradizionale e la famiglia al completo, africani con gli occhiali da sole, pakistani con bambini al seguito, vanno tutti in visibilio quando una bambina di origine pakistana, lunga treccia nera e voce angelica, prende la parola per leggere una lettera agli italiani razzisti sotto gli occhi del padre che quasi sviene dall’emozione: «Anche gli italiani erano migranti», dice Sarma. Poi tocca a Ibrahim Njane, sindacalista, ricordare che gli stranieri producono l’11% del Pil italiano. «Se gli stranieri incrociassero davvero le braccia, l’Italia affonderebbe», sono le parole pronunciate con orgoglio. «Se lo sciopero delle aziende ha funzionato dobbiamo ringraziare le rsu straniere», commenta Driss Enniya, responsabile dell’ufficio immigrati della Cgil: «Da anni attendevano una iniziativa di questo tipo». Il 73% delle imprese bresciane impiega lavoratori di origine straniera, ma soltanto quelle a forte componente migrante hanno deciso di scioperare spesso dopo un braccio di ferro col sindacato. L’Iveco e la Beretta, per esempio, sono rimaste fuori dell’iniziativa. E non sono pochi i lavoratori italiani che, per solidarietà, hanno scioperato con gli operai stranieri. Soddisfatto il comitato 1 marzo, composto dalle associazioni migranti e antirazziste di Brescia e provincia: al razzismo «c’è un antidoto: la mobilitazione dei migranti dal basso e in prima persona». Senza delegare. Che la mobilitazione bresciana fosse necessaria lo dimostra il commento del vicesindaco leghista Fabio Rolfi: “sciopero etnico” contro “presunti comportamenti razzisti”, organizzato da migranti che evidentemente «vogliono la cittadinanza dopo pochi mesi per potere comandare a casa nostra».
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