mercoledì 28 maggio 2014

28 maggio 1974-2014: a Giulietta, Livia, Euplo, Luigi, Bartolomeo, Alberto, Clementina, Vittorio

Alle 10.12 di 40 anni fa in Piazza della Loggia a Brescia esplode una bomba uccidendo in totale 8 persone e ferendone più di 100.
Si tratta di militanti politici appartenenti a diverse strutture organizzate dell’epoca (dai sindacati confederali ai gruppi extraparlamentari) scesi in piazza quella mattina per il comizio organizzato dai sindacati confederali e dal Comitato Antifascista.
La manifestazione era stata indetta per rispondere al clima di paura provocato da diversi attentati e violenze fasciste in città e davanti alle scuole; fra di essi, nella notte tra il 18 e il 19 maggio, la morte di un giovane neofascista che salta in aria in Piazza Mercato, in pieno centro, in sellla alla Vespa sulla quale trasporta un ordigno.
In Piazza della Loggia è immediatamente chiaro a tutti la matrice fascista della bomba. Dopo il boato, il panico, il fuggi-fuggi disordinato, l’evacuazione della piazza il questore ordina inspiegabilmente ai pompieri di pulire detriti e sangue dal selciato distruggendo così la possibilità di raccogliere reperti importanti per le indagini e per i riscontri probatori. Questo porta a capire che i
l mandante ha a che fare con lo Stato italiano governato dalla Democrazia Cristiana. Quella di piazza della Loggia, si comprende presto, è una strage fascista e di Stato.
A dimostrazione di ciò, non solo la distruzione immediata di parte delle prove col lavaggio della piazza da parte di una “istituzione democratica”, ma decenni di depistaggi, false testimonianze, fughe di indagati e smarrimenti di prove; oltre alla responsabilità di un allora sconosciuto capitano dei carabinieri (che fece poi una brillante carriera diventando generale) e di alcuni neofascisti risultati a libro paga dei servizi segreti italiani e statunitensi. Quarant’anni di processi che ancora, nonostante la Cassazione abbia recentemente disposto di “ripartire dal via”, non sono giunti ad individuare nettamente dei responsabili.
In un periodo storico caratterizzato da una forte messa in discussione del sistema politico ed economico dominante da parte dei movimenti antagonisti di studenti e operai, la Strage di Brescia, insieme a quelle di Milano (1969), del treno Italicus (1974), di Bologna (1980) e altre, fu parte della risposta dello Stato, progettata dai Servizi Segreti e messa in atto dai neofascisti: la cosiddetta “strategia della tensione”. Bombe, attentati, aggressioni avevano un fine: seminare terrore e panico per stabilizzare e legittimare un potere e un ordine forte ed autoritario.
Non è un caso se, oggi più che mai, il discorso costruito nel tempo dalle istituzioni promotrici del calendario delle commemorazioni ufficiali tende ad eliminare il carattere conflittuale di questi avvenimenti storici.
Gli interventi che negli anni si sono susseguiti  dai palchi dei vari incontri sul tema e della commemorazione in piazza hanno rappresentato un’ipocrita memoria condivisa, fatta di riconciliazione e di pacificazione, sostenendo che “i morti sono tutti uguali” e che di fronte a queste tragedie non possono esistere divisioni. Questa lettura genera mistificazione e confusione sul piano storico-culturale, gettando nell’unico calderone del terrorismo e delle sue vittime crimini sociali radicalmente differenti come quelli del terrorismo fascista, dello stragismo e della lotta armata dell'estrema sinistra. 
Tale costruzione ha trasformato le commemorazioni in liturgie, in una ritualità passiva utile a riprodurre immaginari e comportamenti compatibili con l’esistente, governato da chi oggi, mentre con il Jobs Act e il Piano Casa smantella servizi e diritti sociali, finge di restituire dignità alla memoria storica rendendo pubblici sulle stragi documenti di archivio che, in realtà, erano già accessibili alla magistratura.
Ancora c'è però chi non dimentica la realtà che ha vissuto e patito, convinto che finché dura la memoria sia possibile creare comunità libere dalla violenza e dall'oppressione, spazi e luoghi resistenti e conviviali, con la parola e, soprattutto, l'esempio e l'azione quotidiana al servizio della verità.

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