Una rete per decidere
cosa fare dei nostri soldi. Per ricordare a tutti gli italiani che dal
1992 abbiamo tagliato 672 miliardi di euro in spese e investimenti. E se
abbiamo oltrepassato i 2mila miliardi di debito non è perché siamo
«cicale irresponsabili» ma per gli interessi che dal 1980 sono costati
ben 2.230 miliardi di euro
Da più parti si sente dire che faremo la
fine della Grecia: disoccupazione alle stelle, servizi soppressi,
povertà dilagante. Ma se così sarà per gli effetti, non altrettanto si
può dire per le strategie.
Quando, nel 2010, la Troika atterrò ad Atene, i conti della finanza pubblica greca facevano tremare i polsi ai creditori. Le entrate fiscali non coprivano neanche la spese della macchina pubblica, figurarsi se c'erano soldi per gli interessi. Il rischio era che la Grecia diventasse un debitore insolvente, procurando guai non tanto al suo popolo, quanto alle banche di mezza Europa che avevano i cassetti pieni di titoli del debito greco. Perciò intervennero i mastini del capitalismo finanziario mondiale per costringere Atene a organizzarsi affinché i soldi per gli interessi venissero trovati. Non importa se per riuscirci bisognava affamare i bambini, costringerli all'analfabetismo e alla morte per tetano. L'importante è che da qualche parte i soldi saltassero fuori. Perché l'unico obiettivo perseguito dal Fondo Monetario Internazionale, dall'Unione Europa e la Banca Centrale Europea, la troika appunto, è garantire gli interessi ai creditori, che poi sono quel famoso 1% della popolazione mondiale che da sola controlla il 40% dell'intero patrimonio privato mondiale.
E benché strutture pubbliche, che funzionano con i soldi di tutti (per cui dovrebbero prendere le nostre difese, non delle banche), non appena uno stato è in affanno i tre gendarmi gli saltano addosso per imporgli la solita camicia di forza: più tasse e meno spese in modo da generare un avanzo da destinare agli interessi. Eppure lo sanno che per questa strada si arriva a quel disastro economico che oltre a creare disoccupazione e povertà mette sempre più a repentaglio la finanza pubblica. Perché se l'economia si contrae si riduce, anche il gettito fiscale e i conti dello stato entrano in un circuito perverso che impone altri aumenti fiscali e altri tagli alle spese come unico modo per recuperare le somme da dare ai creditori. I signori della Troika lo sanno che in fondo a questo percorso non c'è che la morte del paese, ma vanno avanti imperterriti come lupi attratti dal sangue. E di fronte a una Grecia con un buco di bilancio colossale, non hanno sentito ragioni: hanno messo i greci in catene e hanno saccheggiato le loro case per prendersi tutte le cibarie possibili da consegnare ai creditori.
Mossa rischiosa, perché quando un popolo è sottoposto a sacrifici pesanti può anche ribellarsi nell'impeto dell'esasperazione. E allora addio sogni di gloria, perché nei conflitti sociali non si sa chi ne uscirà vittorioso. Non a caso le elezioni greche del 2012, con Syriza diventato secondo partito del paese, hanno tenuto il potere finanziario col fiato sospeso. Il che conferma che quando le condizioni lo permettono, il potere preferisce le mazzate per piccole dosi, perché inducono i popoli alla sottomissione per la nostra innata propensione ad adattarci alle piccole malversità. Se non fosse che di malversità in malversità si può arrivare alla morte.
In Italia si adotta la strategia delle piccole mazzate, anche detta del rospo bollito, da una trentina di anni ed è anche per questo se ci pieghiamo con estrema docilità alle politiche di austerità imposte dall'Unione Europea.
Controllando i numeri ci accorgiamo che l'Italia in austerità c'è dal 1992, come dimostrano gli avanzi primari che da allora produciamo ogni anno. Detta in un altro modo, dal 1992 le nostre spese per servizi e investimenti sono sempre state al di sotto del gettito fiscale. Ciò non di meno continuiamo a ripetere come un mantra che siamo indebitati perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e che i sacrifici a cui siamo sottoposti sono la giusta punizione per i nostri stravizi.
Qualcuno dovrà ben raccontarlo agli italiani che dal 1992 abbiamo risparmiato 672 miliardi di euro e se abbiamo oltrepassato i 2000 miliardi di debito non è per effetto delle nostre serate galanti, ma degli interessi che dal 1980 ci sono costati 2230 miliardi di euro. Ma chi lo farà? Non certo i partiti, le televisioni o i giornali. A loro i cittadini servono acefali.
La nostra unica speranza risiede in noi stessi, nella nostra capacità di auto-organizzarci. Per questo il Centro Nuovo Modello di sviluppo ha lanciato la campagna «Debito pubblico decido anch'io» con lo scopo di favorire l'attività dei gruppi locali decisi a promuovere sul proprio territorio l'informazione e l'attenzione sul debito pubblico attraverso le iniziative più varie: dalle rappresentazioni teatrali ai giochi di strada, dai momenti informativi ai dibattiti in consiglio comunale, dal controllo popolare sui bilanci comunali, alle verifiche sulle gare d'appalto.
Il primo obiettivo della campagna è favorire i contatti. Spesso le iniziative stentano a decollare semplicemente perché i militanti di uno stesso territorio non si conoscono fra loro. Per questo, il Centro invita chiunque condivida la campagna a segnalare la propria disponibilità tramite il formulario approntato nella pagina della campagna «Debito pubblico decido anch'io» pubblicata nel sito www.cnms.it
I dati raccolti serviranno a facilitare la formazione dei nodi locali, a partire dai quali potranno essere organizzati corsi e scambi di esperienze a livello regionale e nazionale.
Quando, nel 2010, la Troika atterrò ad Atene, i conti della finanza pubblica greca facevano tremare i polsi ai creditori. Le entrate fiscali non coprivano neanche la spese della macchina pubblica, figurarsi se c'erano soldi per gli interessi. Il rischio era che la Grecia diventasse un debitore insolvente, procurando guai non tanto al suo popolo, quanto alle banche di mezza Europa che avevano i cassetti pieni di titoli del debito greco. Perciò intervennero i mastini del capitalismo finanziario mondiale per costringere Atene a organizzarsi affinché i soldi per gli interessi venissero trovati. Non importa se per riuscirci bisognava affamare i bambini, costringerli all'analfabetismo e alla morte per tetano. L'importante è che da qualche parte i soldi saltassero fuori. Perché l'unico obiettivo perseguito dal Fondo Monetario Internazionale, dall'Unione Europa e la Banca Centrale Europea, la troika appunto, è garantire gli interessi ai creditori, che poi sono quel famoso 1% della popolazione mondiale che da sola controlla il 40% dell'intero patrimonio privato mondiale.
E benché strutture pubbliche, che funzionano con i soldi di tutti (per cui dovrebbero prendere le nostre difese, non delle banche), non appena uno stato è in affanno i tre gendarmi gli saltano addosso per imporgli la solita camicia di forza: più tasse e meno spese in modo da generare un avanzo da destinare agli interessi. Eppure lo sanno che per questa strada si arriva a quel disastro economico che oltre a creare disoccupazione e povertà mette sempre più a repentaglio la finanza pubblica. Perché se l'economia si contrae si riduce, anche il gettito fiscale e i conti dello stato entrano in un circuito perverso che impone altri aumenti fiscali e altri tagli alle spese come unico modo per recuperare le somme da dare ai creditori. I signori della Troika lo sanno che in fondo a questo percorso non c'è che la morte del paese, ma vanno avanti imperterriti come lupi attratti dal sangue. E di fronte a una Grecia con un buco di bilancio colossale, non hanno sentito ragioni: hanno messo i greci in catene e hanno saccheggiato le loro case per prendersi tutte le cibarie possibili da consegnare ai creditori.
Mossa rischiosa, perché quando un popolo è sottoposto a sacrifici pesanti può anche ribellarsi nell'impeto dell'esasperazione. E allora addio sogni di gloria, perché nei conflitti sociali non si sa chi ne uscirà vittorioso. Non a caso le elezioni greche del 2012, con Syriza diventato secondo partito del paese, hanno tenuto il potere finanziario col fiato sospeso. Il che conferma che quando le condizioni lo permettono, il potere preferisce le mazzate per piccole dosi, perché inducono i popoli alla sottomissione per la nostra innata propensione ad adattarci alle piccole malversità. Se non fosse che di malversità in malversità si può arrivare alla morte.
In Italia si adotta la strategia delle piccole mazzate, anche detta del rospo bollito, da una trentina di anni ed è anche per questo se ci pieghiamo con estrema docilità alle politiche di austerità imposte dall'Unione Europea.
Controllando i numeri ci accorgiamo che l'Italia in austerità c'è dal 1992, come dimostrano gli avanzi primari che da allora produciamo ogni anno. Detta in un altro modo, dal 1992 le nostre spese per servizi e investimenti sono sempre state al di sotto del gettito fiscale. Ciò non di meno continuiamo a ripetere come un mantra che siamo indebitati perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e che i sacrifici a cui siamo sottoposti sono la giusta punizione per i nostri stravizi.
Qualcuno dovrà ben raccontarlo agli italiani che dal 1992 abbiamo risparmiato 672 miliardi di euro e se abbiamo oltrepassato i 2000 miliardi di debito non è per effetto delle nostre serate galanti, ma degli interessi che dal 1980 ci sono costati 2230 miliardi di euro. Ma chi lo farà? Non certo i partiti, le televisioni o i giornali. A loro i cittadini servono acefali.
La nostra unica speranza risiede in noi stessi, nella nostra capacità di auto-organizzarci. Per questo il Centro Nuovo Modello di sviluppo ha lanciato la campagna «Debito pubblico decido anch'io» con lo scopo di favorire l'attività dei gruppi locali decisi a promuovere sul proprio territorio l'informazione e l'attenzione sul debito pubblico attraverso le iniziative più varie: dalle rappresentazioni teatrali ai giochi di strada, dai momenti informativi ai dibattiti in consiglio comunale, dal controllo popolare sui bilanci comunali, alle verifiche sulle gare d'appalto.
Il primo obiettivo della campagna è favorire i contatti. Spesso le iniziative stentano a decollare semplicemente perché i militanti di uno stesso territorio non si conoscono fra loro. Per questo, il Centro invita chiunque condivida la campagna a segnalare la propria disponibilità tramite il formulario approntato nella pagina della campagna «Debito pubblico decido anch'io» pubblicata nel sito www.cnms.it
I dati raccolti serviranno a facilitare la formazione dei nodi locali, a partire dai quali potranno essere organizzati corsi e scambi di esperienze a livello regionale e nazionale.
Francesco Gesualdi, il manifesto, 5 novembre 2013
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