mercoledì 1 luglio 2009

L'OTTO PER MILLE





Solo un quinto dei soldi va davvero ai poveri

Il contributo usato dalla Chiesa per pagare la pubblicità



Luca Kocci
[da il manifesto del 30 giugno 2009]


«Con l'otto per mille alla Chiesa cattolica avete fatto molto, per tanti». È la frase che accompagna gli spot radiotelevisivi e le inserzioni su quotidiani, riviste e siti web per invitare i contribuenti a destinare alla Chiesa cattolica l'otto per mille dell'Irpef. Una campagna pubblicitaria redditizia, che frutta circa un miliardo di euro di incasso annuo, e costosa: lo scorso anno, la Conferenza episcopale italiana ha speso quasi 22 milioni di euro. Nel bilancio consuntivo del 2008, documento riservato dei vescovi reso noto dall'agenzia di informazioni Adista, la Cei ha iscritto nella sezione «proventi» 11 milioni di euro ricevuti dall'Istituto centrale per il sostentamento del clero (Icsc) per promuovere il «sostegno economico» e altri 11 milioni come «quota dell'otto per mille per attività promozionali». Denaro poi quasi interamente investito in pubblicità, visto che nel capitolo «oneri» è scritto che il «Servizio promozione sostegno economico» è costato 21.628.882 euro. Le spese pubblicitarie sono cresciute di oltre un milione di euro rispetto al 2007 anche perché, dopo un decennio di costante incremento, quest'anno le entrate dell'otto per mille caleranno: è diminuita del 4% la percentuale di coloro che hanno scelto di dare l'otto per mille alla Chiesa cattolica - mentre aumentano le firme per lo Stato (+3,5%) e i valdesi - e soprattutto è diminuito l'incasso di 35 milioni di euro, passato dai 1.002 milioni del 2008 ai 967 del 2009. Tanto che, per fare fronte alle spese, i vescovi dovranno attingere al fondo di riserva, prelevando 42 milioni di euro. «In Italia e nel Terzo Mondo, il tuo aiuto arriverà dove c'è bisogno di aiuto» ricordano gli spot pubblicitari. In realtà però solo un quinto dei soldi incamerati verrà destinato ad «interventi caritativi»: 205 milioni, di cui 85 per interventi nei Paesi del Terzo mondo. Quasi la metà dei soldi raccolti, 423 milioni, verrà invece utilizzata per «esigenze di culto e pastorale»: in particolare 187 milioni serviranno per l'edilizia (costruzione nuove chiese e ristrutturazioni), 156 milioni andranno alle diocesi «per culto e pastorale», 32 al Fondo per la catechesi e l'educazione cristiana, 10 milioni e mezzo ai Tribunali ecclesiastici regionali e 37 milioni e mezzo per «esigenze di rilievo nazionale», cioè campagne pubblicitarie, grandi raduni e la vasta rete di associazioni che intervengono nei diversi ambiti della vita sociale. Circa un terzo dell'intero introito, 381 milioni di euro, verrà infine riversato nelle casse dell'Icsc, che paga gli stipendi ai 38mila sacerdoti in servizio in Italia e ai 600 preti delle missioni: poco più di 860 euro al mese ad «inizio carriera», 1.350 euro mensili per un vescovo alle soglie della pensione. Salari che poi vengono arrotondati poiché ogni sacerdote attinge anche alla cassa parrocchiale e gode dei cosiddetti «diritti di stola», ovvero le offerte date dai fedeli, secondo un preciso tariffario, per battesimi, matrimoni, funerali, ecc..In calo anche le «offerte deducibili» volontarie dei fedeli per il sostentamento del clero: è diminuito sia il numero di offerte (160.878, -6,2% rispetto all'anno precedente), sia l'incasso (16,5 milioni di euro, -1,4%). In confronto a dieci anni fa, quando le offerte superarono i 21 milioni di euro, la perdita è del 25%. L'introito resta alto, ma inferiore a quanto riescono a raccogliere altre organizzazioni con le sole donazioni volontarie (Unicef Italia e Airc 60 milioni, Medici senza frontiere 35 milioni, Telethon 30 milioni, Save the children e Emergency 20 milioni), segno che si fa strada una certa resistenza da parte dei cattolici a mettere mano al portafogli per sostenere la Chiesa e i sacerdoti. I vescovi se ne sono accorti: le offerte dei fedeli «non sono in grado di incidere in misura significativa sul fabbisogno complessivo del sistema di sostentamento del clero», ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, presentando il bilancio all'ultima assemblea generale. E allora sono scattate le contromisure per tentare di arrestare l'emorragia di denaro, a partire dall'intensificazione della pubblicità sull'otto per mille: è necessario «continuare a puntare sulle campagne di promozione al sostegno economico per la Chiesa cattolica, per tenere alta la percentuale delle firme in nostro favore», dicono i vescovi. Poi, per incrementare le offerte deducibili, un rigido sistema di controllo delle parrocchie, ritenute le principali responsabili del pessimo risultato: tutte le 26mila parrocchie italiane d'ora in poi verranno schedate in modo che l'Icsc possa controllare le offerte provenienti da ogni singola parrocchia e, successivamente, come in una sorta di cottimo, premiare le più efficienti con incentivi economici proporzionali agli incassi. Infine la finanza: «i nostri uffici - si legge in un altro documento dei vescovi - hanno predisposto un nuovo piano di allocazione e diversificazione degli strumenti finanziari» per il prossimo triennio. Anche per evitare il tracollo del 2008 quando, riporta ancora il bilancio della Cei, i «proventi finanziari» sono scesi dai 33 milioni del 2007 a meno di 2, con una perdita secca di 31 milioni di euro. Forse qualche operazione spericolata finita male. Oppure, come spiega mons. Crociata, la colpa è della «crisi dei mercati finanziari».

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