Ho conosciuto un uomo che aveva spiegato le sue ali di libertà
contro le maglie intricate e semplificanti di mille macchine automatiche
un uomo che cantava mentre gli altri facevano lunghi discorsi
che mai si fregiava di aver letto Marx Lenin e Mao
perché alle stalattiti dell'ideologia comunista
di gran lunga preferiva i voli nel cielo libero del Susquehanna,
le rotondità della sorella dello zio Wiggily del Connecticut,
la ribellione all'appiattimento egualitario propugnato da novelli Cesari
che bruciavano l'aria con i loro moti di stizza.
Un uomo che, ubriaco di parole, se ne tornava alle cinque del mattino
nel santuario in riva al fiume di acqua agrodolce e scura
nel suo letto di tessuto bianco formato John Donne
tra i suoi libri sporchi del sudore degli indici rosicchiati.
Un uomo che le tenaglie della vita avevano ridotto a pezzi
immediatamente rimontati nel libero cielo della sua creatività
lontano dalla pazza folla del paese sudicio e invisibile
vicino alle formiche, alle cicale, agli scriccioli girovaghi,
sempre cercando di risalire la china della nostra vita.
Un uomo che da tempo immemorabile e ormai consunto
aveva smesso di aspettare la liberazione e cercava spazi
in cui i suoi occhiali potessero posarsi e le sue scarpe riposare
senza che fosse costretto a salutare un dongiovanni dall'aria pellegrina
magari involontariamente incontrato per la stretta via.
Un uomo il cui andare era fermo e tuttavia ritmato,
simile alla peluria del pulcino che, bagnato dal liquido materno,
se ne esce pigolando dal pollaio ben deciso ad affrontar la vita
e a coglierne i teneri frutti senza timore reverenziale.
Un uomo fuori posto, fuori età, fuori senso in questa maledetta terra
dove la bontà è il pensiero del domani ed il niente è ancora tutto.
Dove il vecchio Neal con le sue dodici amanti pagate a rate
non riuscirebbe a rimediare nemmeno una donna da marciapiede.
Dove Zoroastro non farebbe che parlare alle stelle in cielo
inascoltato in mezzo a tanto clangore, fragore, clamore, rumore.
Dove Angela non è riuscita a resistere più di vent'anni
rimirando cogli occhi il contrario di questo grigio deserto.
Dove non nasceranno più le menti più belle,
offuscate dal progetto orripilante di una massificazione omologante.
Dove Pasolini, genio tra i pochi che in questa terra mai rifulsero,
finì sotto le ruote di un'automobile la sua splendida esistenza.
Un uomo che la saggezza ha mantenuto giovane vecchio tra vecchi giovani,
un uomo che l'arte ha consacrato sulla strada della divinità.
Un uomo scevro da violenze e menzogne ma continuamente proteso
verso le montagne magiche in cui si dice vivesse Seymour
dopo la sua morte terrena e quella dei suoi innumerevoli fratelli.
E se Socrate ritornasse a vivere
darebbe a lui il posto accanto al fuoco nella sua povera stanzetta
e si farebbe insegnare a oltrepassare le Scilla e i Cariddi
del moralismo contrabbandato per bene comune.
Un uomo che per diciassette ore ho visto zufolare con allegria
davanti a tristi e grigi terreni occupati da tristi e grigi soldatini imberbi,
che si è fumato sessanta sigarette in sei ore
chiedendo ancora un vermouth prima di uscire nella notte
piena di stelle e tuttavia oscura
della sua pungente e dolorosa solitudine invecchiata.
Un uomo che raccoglie pietre come altri contano anni
che rosicchia i dogmi addestrati o sinistrati
e impazzisce per The Raven, per la scoppiettante Suite
e per i biondi capelli di una ragazza il cui nome mi ricorda
la felice età delle pecore intente ed occupate
a bere il sudore delle compagne.
Un uomo che ha spezzato i flutti del tempo
e i ritmi senza meta della vita vuota e vana
di milioni di persone che passando da uno scatolone all'altro
trascorrono e gettano piccoli pezzi di storia
in pasto a piovre affamate di plastica e assetate di Coca-Cola.
Un uomo che urlava e urla la sua gioia disperata
dietro a tutta quella brava gente che purifica i propri cancri
con Chanel acquistato nell'ennesimo negozio metropolitano
che - se non sai dov'è - ci arrivi appena voltato l'angolo.
Un uomo che non ha bisogno
di calze, cappelli, maglie o pantaloni
perché la sua carne grimaldelliana
spezza tutte le serrature,
rompe tutti i cardini,
apre a tutti tutte le porte dell'infinito.
© flavio marcolini, 1987
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