mercoledì 19 febbraio 2020

Da Calcinato in Cina ai tempi del coronavirus

La giovane designer calcinatese Laura Mimini vive a Shunde, un villaggio di 230 mila abitanti in provincia di Foshan, nella regione del Guangdong, polo industriale e tecnologico situato fra Hong Kong, Shenzhen e Canton. 
Salita recentemente alla ribalta delle cronache per essersi aggiudicata l'edizione 2020 dell’If Design Award (uno dei massimi premi internazionali nel campo della progettazione) con un basso elettrico da lei realizzato, Laura lavora part time per la Ewel, una azienda locale che vende prevalentemente prodotti legati al riscaldamento e alla ventilazione e investe su merci che esporta in tutto il mondo, soprattutto in Italia. Per il resto del suo tempo da qui si occupa di progetti personali e per vari clienti sparsi per il mondo. 
“In Cina - racconta - siamo in situazione di quarantena generale, soprattutto qui nel Guangdong, la seconda regione fra le più colpite dal coronavirus. Io non ho paura, ma faccio molta attenzione, prendo le giuste precauzioni e sto attenta”.
“La situazione igienico-sanitaria qui è sotto controllo” precisa. “La Cina si è mossa egregiamente per contenere il virus. Sinceramente, se questo fosse accaduto in Italia non riesco ad immaginare il conteggio delle vittime o degli infetti. La mia routine giornaliera è casa- lavoro, lavoro- casa, qualche uscita per fare le spese. Non ci sono molte altre possibilità, i negozi son chiusi e anche i ristoranti, su richiesta governativa, una manovra pesante ma necessaria al fine del contenimento della diffusione dell’epidemia”.
“Da lunedì 10 febbraio - informa - hanno riaperto gli uffici, ma non le fabbriche: i dipendenti non son riusciti a rientrare dalle vacanze del Capodanno cinese a causa dei diversi blocchi, o magari anche solo per paura. Questo causerà un enorme danno all'economia cinese, e lo sta già causando di fatto”.
La nostra concittadina si dice “profondamente delusa da ciò che sento dall'Italia e dagli italiani in generale, con la diffusione di false notizie e la volontà di divulgare il panico. Ho visto e sentito mie connazionali che non vanno più nei ristoranti cinesi o non comprano più da negozi cinesi. Si trattano i cinesi in Italia come untori, quanta ignoranza! E’ come se io qui in Cina venissi additata e respinta per la piaga della meningite che di recente ha afflitto le nostre zone in particolare”.
“I cinesi - sottolinea - sono estremamente diversi e al contempo profondamente simili a noi. Hanno un cuore caldo e accogliente come il nostro. In compenso hanno un senso del dovere e della patria molto più forte del nostro. Si uniscono, soffrono in silenzio e obbediscono per il bene comune, non perché non abbiano un cervello, come spesso si sente dire, ma perché in queste circostanze è giusto osservare le regole. Noi italiani, avremmo polemizzato, alzato la voce, cercato i colpevoli, accusato, creato scompiglio.. e poi?” “Guardo i miei colleghi e i miei amici e li vedo sconfitti e sofferenti” conclude. “Non parlano, vanno avanti e cercano soluzioni: rispettano”.

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