lunedì 30 luglio 2012
Il pomeriggio dello spettacolo
Il pomeriggio dello spettacolo
la nebbia si affievolì.
Le rotaie riportavano
gli emigranti verso casa
e i giocattoli per santa Lucia
furono depositati
sulle soglie delle abitazioni.
Nelle camerette linde e calde
i bimbi della zia Maria
pregustavano già il profumo
dei balocchi deformati
in arrivo sui carretti
spinti a mano per le strade
nell'oscura notte di dicembre.
Nell'aria c'era un chiaro
che invitava a non lavorare
gli operai passanti sul selciato
dei magazzini Calibai
con le mani rosse e sudate
e la bocca sporca ancora
degli hamburger preconfezionati.
Il pomeriggio dello spettacolo
al gobbo fu tolta la parola,
la piazza chiedeva più calcio
e i gendarmi internazionali
cancellarono le risorse
con moderati equilibrismi
nelle pieghe di un golfo assonnante.
Tutti gli abitanti del continente
aspettavano il cielo sorridente
naufragando sulle loro automobili
in locali affumicati e stinti,
ordinando anonimi alcolici
bevuti in vacanze esotiche
lontanissime dalla mamma.
E c'era il vate che trastullava
la sua soave fantasia
torturando dolcemente
i bianchi tasti di un piano,
canticchiando a bassa voce
dei suoi ultimi incidenti
con viandanti ubriacati.
Il pomeriggio dello spettacolo
i mille e novanta libercoli
messi a mucchi e a pile
in scaffali rischiarati dal sole
illuminavano tiepidamente
la desolata stanza sognante
armoniche architetture zen.
Il fantasma di Thomas Bernhard
fu visto vagare nei prati
rasati nei pressi di Schönbrunn
in cerca della sua felicità
smarrita in un marzo impazzito
salendo deserte scale a chiocciola
con la persona della sua vita.
Per gli schiavi della ragione
l'incubo sembrava finito.
Anche Geremia sorrideva
osservando dal balcone
tre bimbi contenti giocare
a rincorrersi per la strada
dei suoi umili sogni infantili.
Il pomeriggio dello spettacolo
anche per gli ospizi c'era un posto
nell'ammuffito libro della storia:
se ne stavano sbadigliando
quattro vecchi avvinazzati
sulle soglie del reparto notte
dileggiando divertiti il personale.
Nelle carceri c'era un sogno.
Un impaziente idealista
lo andava predicando
alle gabbie e alle inferriate
mentre i prigionieri di turno
giocavano con i computer
nella sala-divertimento centrale.
In quello splendido pomeriggio
non avevo parole per dire
il sorriso e il sospiro,
lo sguardo abbacinante
della fanciulla dei miei sogni
volteggiante sulla collina
con leggendaria leggiadria.
Il pomeriggio dello spettacolo
lei - penso - cosa faceva?
Calcolava attentamente
numeriche combinazioni
dilatate all'infinito
e ripetute a voce bassa
ticchettando il lapis sul foglio.
Sereni, io e la mia bicicletta
ce ne andavamo per i campi
pensando ai funerali raggelanti
dei nostri ultimi ideali
impiccati sui fili spinati
dell'acquiescenza esasperata
di otto storpi manichini.
Sereni, parlavamo con cura
della grande follia tedesca
finalmente ricostruita
nel sacrosanto nomignolo
di un capitale putrefatto
che ha disperso le speranze
della mansuetudine fatta carne.
Il pomeriggio dello spettacolo
era uno di quei pomeriggi
in cui ti senti in gola
briciole umide di verità
che non sanno e non vogliono
essere digerite o scatarrate
mentre il sole tiepido sorride.
L'abete chinato a sinistra
feriva la terra amata da sempre
con forti e profumate radici.
Attraverso la scura finestra
mandava colori di verde sfumato
all'occhio attento e inclinato
di chi pensa all'estate ammazzata.
I bianchi gigli nei campi
scompigliati dalla tramontana
sussurravano sommessi e tremuli,
impavidi, mesti e puri,
le risposte a lungo cercate
dagli aedi nei libri ingialliti...
..................................
(©flavio marcolini, 21.10.1990–10.11.1990)
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