I giorni passano ma non san cancellare la tristezza per la dura perdita di Fernanda Pivano.
Donna caparbia e solare, la Nanda, che da trent’anni ha accompagnato le mie giornate su questa terra. Dai giorni del liceo giostrati fra Spoon River e On the Road, complici De André e il movement. Era naturale e rasserenante, come percorrere la terra che si srotola nell’ultima pagina benedetta dall’Orsa Maggiore, bere a giumella tutto Kerouac, tutto Ginsberg, e Corso e Felinghetti e poi più tardi scoprire David Leavitt, McInerney, Easton Ellis, De Lillo. E intanto vagabondare sul suo Pianeta Fresco e seguirne le scorribande da un lato all’altro del piano padano.
In lei trovavo finalmente la perfetta fusione della letteratura che amavo con la nonviolenza che corteggiavo. Nonviolenza come grimaldello della coscienza propria ed altrui. Nonviolenza come prassi di vita, arte e politica.
Come a molti, anche a me la Pivano ha insegnato che la beat generation proponeva soprattutto un generalizzato, disperato e vitalistico anelito libertario: morale, spaziale, sessuale e ambientale.
Come lei l’ha intesa, la nonviolenza diventava nobile e incruenta arma di comunicazione. “Chi comunica non confligge” amava ripetere.
E poi l’abolizione della schiavitù da denaro e ricchezze. Il rigore morale. L’etica del lavoro. L’antiaccademismo. E - su tutto - l’enorme intelligenza della sua fantasia.
”Senza di lei non” è il mantra tamburellato per giorni da televisioni e giornali.
Senza di lei non io come sono. Senza quella donna paffuta e divertita che ha migliorato la mia giovinezza trasformando per sempre la mia esistenza. Senza la gioia dei suoi occhi narranti la vita ed il mondo da fare, nella sera d’estate fra i giardini di via dei Mille, senza la potenza delle sue braccia incrociate a salutarmi a Conegliano, rincorrendo uno strampalato Ginsberg, senza la lezione morale del suo candore canticchiante chissà quali canzoni fuori san Barnaba. Addio, Nanda. Con te finisce la mia vita così come l’ho sin qui conosciuta.
flavio marcolini
Donna caparbia e solare, la Nanda, che da trent’anni ha accompagnato le mie giornate su questa terra. Dai giorni del liceo giostrati fra Spoon River e On the Road, complici De André e il movement. Era naturale e rasserenante, come percorrere la terra che si srotola nell’ultima pagina benedetta dall’Orsa Maggiore, bere a giumella tutto Kerouac, tutto Ginsberg, e Corso e Felinghetti e poi più tardi scoprire David Leavitt, McInerney, Easton Ellis, De Lillo. E intanto vagabondare sul suo Pianeta Fresco e seguirne le scorribande da un lato all’altro del piano padano.
In lei trovavo finalmente la perfetta fusione della letteratura che amavo con la nonviolenza che corteggiavo. Nonviolenza come grimaldello della coscienza propria ed altrui. Nonviolenza come prassi di vita, arte e politica.
Come a molti, anche a me la Pivano ha insegnato che la beat generation proponeva soprattutto un generalizzato, disperato e vitalistico anelito libertario: morale, spaziale, sessuale e ambientale.
Come lei l’ha intesa, la nonviolenza diventava nobile e incruenta arma di comunicazione. “Chi comunica non confligge” amava ripetere.
E poi l’abolizione della schiavitù da denaro e ricchezze. Il rigore morale. L’etica del lavoro. L’antiaccademismo. E - su tutto - l’enorme intelligenza della sua fantasia.
”Senza di lei non” è il mantra tamburellato per giorni da televisioni e giornali.
Senza di lei non io come sono. Senza quella donna paffuta e divertita che ha migliorato la mia giovinezza trasformando per sempre la mia esistenza. Senza la gioia dei suoi occhi narranti la vita ed il mondo da fare, nella sera d’estate fra i giardini di via dei Mille, senza la potenza delle sue braccia incrociate a salutarmi a Conegliano, rincorrendo uno strampalato Ginsberg, senza la lezione morale del suo candore canticchiante chissà quali canzoni fuori san Barnaba. Addio, Nanda. Con te finisce la mia vita così come l’ho sin qui conosciuta.
flavio marcolini
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