sabato 11 settembre 2021

New York, 11 settembre: i danni ai sopravvissuti

Nel 2012 il medico del lavoro bresciano Roberto Lucchini fu chiamato a dirigere il World Trade Center Health Programme della Mount Sinai School of Medicine di New York.
“Il programma - racconta - si occupa del monitoraggio epidemiologico di tutte le persone coinvolte nel crollo delle Torri Gemelle, sottoposte ogni anno a controlli sanitari che, se individuano patologie che possono essere certificate come relazionabili alla esposizione avvenuta dopo il crollo, sono curate a carico di un programma finanziato dal governo federale”. 
“Le patologie - spiega - derivano da due tipi di esposizione. Innanzi tutto, dagli effetti della nube tossica che si sprigionò dallo sbriciolamento delle due torri, che conteneva moltissime sostanze tossiche; in particolare la polvere di cemento ha un ph alcalino assai irritante per le mucose degli apparati respiratorio e dirigente, allora provocò la cosiddetta ‘tosse dell’11 settembre’, un primo sintomo incontrollabile, per cui in molti si rivolgevano alla Medicina del Lavoro di Mount Sinai, una struttura fondata alla fine degli anni ’60 dallo pneumologo Irving J. Selikoff, noto per aver osservato negli Stati Uniti gli effetti cancerogeni dell'esposizione ad amianto”. 
Ricorda che “fino al 40esimo piano per costruire la prima delle due torri avevano usato l’amianto, poi vietato proprio in seguito agli studi di Selikoff, che dimostrarono come le sue polveri potessero sviluppare mesoteliomi in chi lo maneggiava, anche a distanza di 30 o 40 anni. Quella nube conteneva anche metalli pesanti, pcb, diossine, idrocarburi, prodotti da combustione del carburante degli aerei che ustionò e uccise molte vittime all’impatto. Insomma, si ebbe una miscela di veleni mai registrata prima: perdurò per mesi e mesi, diffondendo su Ground Zero una nebbia tossica composta anche da polveri molto fini”. 
“L’altro elemento - aggiunge - è riferito alla esposizione ai traumi psichici derivati dall’aver visto persone che si gettavano dai piani nella vana speranza di sfuggire all’ecatombe, dalla ricerca dei sopravvissuti, dal doloroso recupero di parti umane”. 
“Il programma sanitario - sottolinea Lucchini – garantisce gratuitamente la sorveglianza sanitaria e, qualora si certifichino patologie relazionabili a quelle esposizioni, anche le cure. Un po' come da noi quando le malattie professionali sono riconosciute e indennizzate dall'Inail. Fra le patologie respiratorie più frequenti abbiamo rinosinusiti, faringolaringiti, ma anche asma, broncopneumopatia ostruttiva, fino ad arrivare alla fibrosi interstiziale, difficilmente curabile e simile alla silicosi. Vi sono poi diffusi problemi alle vie digerenti, perché le polveri irritanti vennero ingerite da molti soccorritori, che svilupparono un reflusso gastroesofageo cronico e, negli ultimi anni, anche tumori riconducibili alle componenti contenute nella nube: leucemie e tumori alla tiroide”. 
“Ho diretto il programma al Data Center per otto anni e ancora vi collaboro” dichiara. “Studiamo tutti i dati registrati per capire se la frequenza delle patologie in questi pazienti sia più elevata rispetto alla media della popolazione locale”. 
“Da non sottovalutare sono i disturbi mentali - osserva - dalla sindrome postraumatica da stress, ad ansia, depressione, crisi di panico. Gli effetti dell’11 settembre in chi l’ha vissuto non si riescono a cancellare: la memoria della tragedia è sempre presente e riemerge soprattutto in occasione di eventi significativi, come il recente ritiro dall’Afghanistan”. 
“Non vennero registrati tutti i coinvolti” ricorda il medico. “Sono registrate nel programma oltre 100 mila persone, ma c’è sempre chi si iscrive anche ora per farsi controllare”. 
“Quelli che si sottopongono regolarmente al monitoraggio - precisa - sono circa 40 mila: lavoratori, pompieri, agenti di polizia, edili, soccorritori, saldatori. C’è poi una sezione che si occupa dei residenti nell’area; non sono sottoposti a controlli periodici, ma vengono presi in cura qualora dovessero sviluppare tali patologie”. 
Da un anno Lucchini si è trasferito alla Florida International University di Miami, ma la collaborazione al progetto prosegue. “Anche per un motivo particolare: molti soccorritori ora vanno in pensione e si trasferiscono in Florida per il clima più mite. Sono ormai a migliaia, tanto che di recente ho proposto la costruzione di un centro clinico qui per offrire la necessaria assistenza. Cominciano ad emergere in questi soggetti anche danni sulle funzioni della memoria, deficit cognitivi, problemi di concentrazione, campanelli d’allarme da considerare con molta attenzione per la prevenzione delle demenze”. 
“Si tratta di persone più suscettibili anche al Covid - prosegue - per la pregressa esposizione a polveri con le relative patologie. All’insorgere della pandemia ci furono proteste da parte dei soccorritori, che avrebbe voluto una corsia preferenziale per i vaccini. Tuttavia i dati precisi sull'incidenza della patologia e della mortalità da Covid non sono ancora stati analizzati”. 
“Un disastro di queste proporzioni può insegnare molto” conclude lo specialista. “Abbiamo imparato che le autorità devono prendere in considerazione l’impatto devastante che può avere sulla salute delle persone coinvolte anche per lunghi anni, con le inevitabili spese sanitarie per le cure. Gli effetti non devono essere sottovalutati, come era accaduto nei primi anni dopo l'11 settembre, quando le autorità mostravano atteggiamenti negazionisti sulle problematiche di qualità dell’aria intorno a Ground Zero. In casi come questi servono rilevatori e sensori per capire cosa c’è nell’aria e misurarne in tempo reale la pericolosità. Servono dispositivi di protezione individuale come respiratori con filtri adeguati, da distribuire con immediatezza; bisogna individuare tutti i soccorritori, la zona deve essere subito delimitata, con accessi autorizzati e tracciabili; si devono controllare le persone coinvolte, individuando i sintomi respiratori e di salute mentale. E infine bisogna stare molto attenti a essere sì trasparenti, ma empatici: descrivere i danni alla salute può generare messaggi negativi nei diretti interessati, per cui il rapporto con loro deve essere basato su solidarietà e condivisione. È incredibile la dedizione che ho visto in tutto il personale sanitario coinvolto nel programma, che consente a quei lavoratori di convivere comunque positivamente con gli effetti fisici e psichici del trauma”.

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