Era solo un povero disertore e per questo la storia l’ha dimenticato. Sembrerebbe un racconto uscito dalla penna di Jean Giono, invece è una vicenda dimenticata per decenni e ora illuminata dall’attenzione dello storico Mauro Pellegrini il quale, attraverso l'incrocio delle fonti archivistiche analizzate per la ricerca “Calcinato, zona di guerra” (il cui primo volume è appena uscito dall’editore Gaspari), ha corretto il numero totale dei caduti calcinatesi della Grande Guerra, dando risalto ai 31 omessi; commemorati nel consiglio comunale di mercoledì scorso, essi ora andranno ad aggiungersi agli 83 già iscritti nel monumento ai caduti sulla facciata della torre civica.
“Tra di loro - racconta Pellegrini - vi è Tommaso Tognini, disertore dopo la disfatta di Caporetto, che fu catturato nel dicembre 1917 nella sua casa di Calcinato. Il processo per direttissima gli comminò la condanna all'ergastolo e causò pesanti conseguenze per i suoi congiunti, come la sospensione del sussidio, l'affissione di un cartello alla porta di casa, l'esecrazione della parte benpensante e interventista del paese. Al padre fu inflitta una pesante condanna per favoreggiamento. Il sindaco Lorenzo Fanelli intervenne presso il tribunale militare per mitigare le responsabilità del genitore ed evitarne l’incarcerazione, certificando chei tre figli minorenni di 14, 12 ed 8 anni sarebbero restati «completamente abbandonati a se stessi, senza cura e vigilanza alcuna, avendo il Tognini Pietro da anni perduta la moglie»”.
Il padre era - è ancora il primo cittadino di allora che scrive - «affatto povero, e se fosse [stato] obbligato a costituirsi in carcere, ai figli [sarebbe venuto] a mancare ogni qualsiasi mezzo di sussistenza; era analfabeta, di limitatissimo sviluppo intellettuale, e non al corrente delle disposizioni legislative, ed era notorio in paese che il Tognini Tomaso come a tutti i suoi compaesani aveva fatto credere anche al padre suo di essere venuto a casa in regolare licenza».
Ciononostante anche il padre fu portato a Canton Mombello, da dove fu rilasciato il 28 novembre 1918, quando il figlio Tomaso era morto di polmonite già da un mese, il 25 ottobre, nella casa penale dell'Asinara dove stava scontando l'ergastolo.
Un altro probabile disertore fu Cesare Sigurtà, nato a Ciliverghe ma residente a Calcinato all'atto della morte il 12 marzo 1918 nel campo di prigionia di Milowiz in Boemia. Caduto prigioniero il 25 ottobre 1917 a Canale d'Isonzo nello sfondamento di Caporetto, condivise con altre centinaia di migliaia di soldati italiani il pregiudizio e la stigmatizzazione riservata a chi era stato fatto prigioniero durante quel disastro. “Le direttive ministeriali emanate nel dopoguerra ai sindaci – osserva lo studioso - li invitavano chiaramente nel redigere gli elenchi dei caduti ad ispirarsi al criterio di una «stretta e necessaria dipendenza delle circostanze della morte dalle ragioni della guerra e della dignità del militare d'essere ricordato ai posteri come nobile vittima di una grande causa. E' superfluo dire che di un disertore morto in prigionia ovvero di un autolesionista deceduto in seguito al suo delitto, sarebbe assurdo parlare»”.
Orfano dei due genitori e ignorato dai familiari già in una situazione precedente, “Sigurtà non trovò nessuno disposto a patrocinare nel dopoguerra la sua iscrizione nel monumento” conclude lo storico “fatto che avrebbe significato un'implicita riabilitazione da un'accusa per la quale non poté mai difendersi.
flavio marcolini
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