Vi sarà capitato di vedere al termine del mercato a Calcinato aggirarsi tra le bancarelle anziani e non che rovistano tra gli scarti della frutta e della verdura cercando qualcosa di recuperabile. Si muovono con la rapidità e la discrezione di chi ha fatto da tempo i conti con il pudore e con la mancanza di soldi. Voi stessi avrete cercato di rispettare la loro dignità non fermando lo sguardo.
Ci sono persone che in relazione alle modalità di procurarsi il cibo hanno fatto una scelta di vita fuori dalla norma, perseguita con coerenza, ma che non sembra aver richiesto particolari rinunce o sacrifici. Sono gli attivisti del Freeganism , un movimento di opposizione al consumismo che pratica la raccolta del cibo scartato dai supermarket: cibo buono, sano, eliminato dalla catena produttiva e distributiva, piatti pronti preparati in quantità eccessiva, verdure che non rientrano nella misura standard, pane o yogurt di prossima scadenza (non scaduti!) dato che tra il 30 e il 40% del cibo ancora commestibile, diventa scarto e rifiuto solido urbano. Il recente appuntamento romano della FAO ha denunciato che il numero delle persone affamate nel mondo è salito a 1,02 miliardi, una persona su sei. Ma, allora: nel mondo è più grande la fame o la quantità di cibo scartata?
Ci occorre un altro sguardo che, a partire dai cassonetti dietro gli ipermercati arrivi alla deforestazione tropicale utile alle coltivazioni intensive per i biocarburanti per capire la considerazione di uno degli economisti FAO: «Il nostro modo di gestire il settore agricolo a livello mondiale e il sistema di sicurezza alimentare non funziona», ha dichiarato Kostas G. Stamoulis. «C'è il paradosso di un aumento della produzione alimentare globale, anche nei paesi in via di sviluppo, ma c'è ancora la fame». La cosiddetta «rivoluzione verde» degli anni 1960 e '70 mise fine alle carestie, ma il costo ambientale dei fertilizzanti chimici e dell'intensiva irrigazione pesante ha prodotto un amaro divario nel pianeta. L'impiego diffuso di fertilizzanti azotati ha contribuito pesantemente alla produzione di gas ad effetto serra, e le vaste risorse idriche necessarie per l'irrigazione non sono sostenibili. La domanda di biocarburanti può utilizzare terreni fino ad ora coltivati per la produzione alimentare. La combinazione di siccità e inondazioni, di carestia e di recessione globale può costituire una miscela generativa di onde migratorie altamente problematiche. Eppure in Italia i negozi e i ristoranti hanno a disposizione l'88 per cento di cibo in più rispetto al fabbisogno alimentare della popolazione, circa il doppio delle 2000 kcal necessarie a persona. Lo spreco di cibo è la grande emergenza ambientale del nostro tempo, di cui nessuno parla; limitandolo, si potrebbe ridurre la superficie di terreni coltivati, e perciò risparmiare acqua, abbattere meno alberi, produrre meno CO2. E potremmo ridistribuire in maniera diversa il cibo, risolvendo in parte l'enorme sperequazione tra chi ne ha troppo e chi troppo poco. Chi ci propone un altro sguardo documentatissimo è un laureato in letteratura di Cambridge, Tristram Stuart, attivista del Freeganism , che ha viaggiato e rovistato nei cassonetti da Londra alla Russia, all'Asia centrale, e poi in Pakistan, India, Cina, Corea del Sud e Giappone. L'esperienza, i dati e le comparazioni sono contenute in un libro in uscita nei prossimi, Sprechi. Il cibo che buttiamo, che distruggiamo, che potremmo utilizzare . Il risultato di questa indagine è inequivocabile: il comparto della grande distribuzione arriva a distruggere fino al 50% del cibo prodotto. Dobbiamo tutti rovistare nei cassonetti? No, dobbiamo ottimizzare il nostro sistema produttivo/distributivo per evitare che il cibo diventi rifiuto e dove diventa eccedenza ridistribuirlo. Stuart fa l'esempio di FareShare , un ente benefico che in Gran Bretagna recupera parte del cibo in eccesso prodotto e lo ridistribuisce ai soggetti indigenti. In Italia Last Minute Market , spin off dell'Università di Bologna, in decine di città italiane, in collaborazione con diversi enti benefici fra cui la Caritas nel 2009 ha collaborato con 12 ipermercati, 2 mercati all'ingrosso e 64 negozi. Ha recuperato 800 tonnellate di cibo per un valore di 2.400.000 euro, ed offerto 1.600.000 pasti. Stuart parla di cibo e del suo spreco con cognizione di causa dato che si nutre quasi esclusivamente di cibo scartato, recuperato dai supermercati e dai cassonetti.
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