mercoledì 22 gennaio 2014

Le parole insidiose

Il filosofo del linguaggio Jason Stanley (Yale University) venerdì prossimo terrà una conferenza alle ore 16.30 all'Auditorium di Roma, nell'ambito del Festival delle Scienze. Il quotidiano il manifesto ieri ne ha anticipato un estratto che di seguito pubblichiamo.

Pla­tone  aveva una scarsa con­si­de­ra­zione della demo­cra­zia. Rite­neva che la poli­tica fosse un’arte ed era con­vinto che per com­pren­dere l’essenza di quell’arte biso­gnasse avere delle com­pe­tenze. Il filo­sofo ha sem­pre soste­nuto che non c’è alcuna spe­ranza che la mol­ti­tu­dine possa con­se­guire le abi­lità richie­ste per gover­nare, poi­ché viene facil­mente ingan­nata dai sofi­sti. Da ciò ne è con­se­guito, per il pen­sa­tore greco, un rifiuto netto per la demo­cra­zia come sistema di potere pra­ti­ca­bile. È «pro­ba­bile che le ori­gini della tiran­nia si tro­vino pro­prio in un regime demo­cra­tico e in nes­sun altro luogo» (Pla­tone, La Repub­blica). Un giu­sto sistema di governo deve inse­diare al potere i filo­sofi, sono loro gli unici in grado di com­pren­dere l’essenza delle cose.
Pla­tone aveva ragione a con­si­de­rare le sue opi­nioni incom­pa­ti­bili con la demo­cra­zia. L’idea che i cit­ta­dini non siano capaci di dare giu­dizi sull’amministrazione pub­blica, che l’economia e la poli­tica siano aree di com­pe­tenza, come il campo medico, è qual­cosa di pro­fon­da­mente anti­de­mo­cra­tico. Cosa è neces­sa­rio dun­que per una demo­cra­zia al fine di evi­tare la minac­cia che si «tra­sformi in tiran­nia»? Secondo quanto affer­mato da molti stu­diosi, la demo­cra­zia esige una cit­ta­di­nanza infor­mata, qual­cuno che possa impe­gnarsi in dibat­titi pub­blici moti­vati su que­stioni poli­ti­che. È uno stan­dard elevato.
Un’idea più «mode­sta» dei requi­siti neces­sari alla demo­cra­zia è tut­ta­via difen­di­bile: i cit­ta­dini devono avere una ragio­ne­vole capa­cità nel rico­no­scere quando un’azione poli­tica viene fatta nel loro inte­resse. La visione di Pla­tone è anti­de­mo­cra­tica per­ché parte dal pre­sup­po­sto che anche que­sto livello sia troppo alto. La mol­ti­tu­dine sarà sem­pre ingan­nata dalla pro­pa­ganda e dalla falsa reto­rica, indotta a votare con­tro i pro­pri interessi.
Una pro­fonda com­pren­sione di come il lin­guag­gio venga uti­liz­zato per insi­diare la demo­cra­zia stessa è, quindi, essen­ziale in ogni stato democratico.
Non è neces­sa­ria nes­suna spe­cia­liz­za­zione in filo­so­fia del lin­guag­gio o in lin­gui­stica per riu­scire a indi­vi­duare alcuni usi della pro­pa­ganda. Per esem­pio, è pra­tica comune negli Stati Uniti dare un nome fuor­viante ai dise­gni di legge. Quello del 2001, che ha per­messo alle forze gover­na­tive di vio­lare la Costi­tu­zione degli Stati Uniti, con lo spio­nag­gio dei suoi cit­ta­dini, senza un man­dato, è stato chia­mato «Patriot Act», un nome che ha inde­bo­lito la pos­si­bi­lità di fare opposizione.
Più di recente, nel novem­bre 2013, la Camera dei Rap­pre­sen­tanti ame­ri­cana ha appro­vato la legge «Swap Regu­la­tory Impro­ve­ment Act». Il nome del dise­gno di legge sug­ge­riva che quel dispo­si­tivo avrebbe dovuto miglio­rare la rego­la­men­ta­zione del mer­cato nel campo dei deri­vati, lo stesso che pro­vocò il crollo del sistema finan­zia­rio mon­diale nel 2008 e obbligò al sal­va­tag­gio di grandi isti­tu­zioni finan­zia­rie in Usa. Eppure, scritto quasi inte­ra­mente dalla mega­banca Citi­group, il dise­gno di legge per­mette pro­prio alle ban­che di uti­liz­zare i depo­siti assi­cu­rati dal governo fede­rale per spe­cu­lare sul mer­cato dei deri­vati. Tutela in tal modo le stesse ban­che: saranno infatti nuo­va­mente «sal­vate» se i mer­cati dei deri­vati, ancora una volta, subi­ranno un col­lasso. È que­sto in realtà l’unico «miglio­ra­mento nor­ma­tivo» che il dise­gno di legge propone.
La stra­te­gia è par­ti­co­lar­mente dif­fusa nella poli­tica eco­no­mica, in cui le parole uti­liz­zate per rac­con­tare ciò che sta acca­dendo con gli Stati ven­gono pre­le­vate dai con­te­sti che descri­vono le finanze di una fami­glia nor­male. La parola «debito» è diversa se appli­cata all’Unione euro­pea, che può stam­pare la pro­pria moneta, piut­to­sto che ad una fami­glia, che non può farlo. Ma un capo­fa­mi­glia, che si iden­ti­fica in colui che cerca di evi­tare di debito, può essere ingan­nato e appog­giare poli­ti­che che, di fatto, vanno con­tro gli inte­ressi della sua fami­glia; l’imbroglio sta nell’incapacità di com­pren­dere che «debito» signi­fica qual­cosa di molto dif­fe­rente se riguarda un governo o una unione politica.
Ci sono poi forme più sot­tili di pro­pa­ganda, per le quali un’analisi det­ta­gliata del lin­guag­gio e dell’uso lin­gui­stico risulta assai utile. I lin­gui­sti distin­guono tra ciò che è pre­sup­po­sto da un enun­ciato e il punto focale del mede­simo. Chi è in disac­cordo, deve accet­tare prima i pre­sup­po­sti di quell’enunciato. Se affermo: «È Gio­vanni che ha risolto il pro­blema», e qual­cuno non è d’accordo, deve sug­ge­rire che un altro abbia agito. È dif­fi­cile dire «no» e voler con ciò asse­rire che il pro­blema non sia stato affatto risolto. L’espressione «È Gio­vanni che ha risolto il pro­blema» fa pre­su­mere che qual­cuno lo abbia comun­que districato.
Allo stesso modo: «È stato il pre­si­dente Obama a cau­sare il disa­stro», ci dice qual­cosa circa il suo ten­ta­tivo di ampliare l’accesso alle cure sani­ta­rie, ma ipo­tizza che la legge sani­ta­ria sia cata­stro­fica, affer­mando però che la causa è pro­prio il pre­si­dente Obama (piut­to­sto che le assi­cu­ra­zioni sani­ta­rie). L’attenzione al dibat­tito in lin­gui­stica circa il «pre­sup­po­sto» è essen­ziale per com­pren­dere a fondo cosa stia accadendo.
Un altro tipo di esem­pio. Lo slo­gan di canale Fox descrive l’emittente come «impar­ziale ed equi­li­brata». Ma è abba­stanza ovvio, anche al suo stesso pub­blico, che il canale Fox News non sia né l’uno né l’altro. La ragione per cui sfog­gia que­sto slo­gan è quello di invi­tare a pen­sare che non esi­ste qual­cosa che sia giu­sto ed equi­li­brato — che non vi è alcuna pos­si­bi­lità di dare noti­zie obiet­tive, esi­ste solo la pro­pa­ganda. Lo scopo è quello di insi­nuare che tutti i media siano gene­ral­mente insin­ceri. Gli effetti di un tale pre­giu­di­zio sono evi­denti nelle società in cui i media sta­tali usano il lin­guag­gio sol­tanto come un mec­ca­ni­smo di con­trollo, invece che come fonte di infor­ma­zione. I cit­ta­dini che cre­scono in uno stato in cui le auto­rità distri­bui­scono esclu­si­va­mente pro­pa­ganda non svi­lup­pano alcuna dome­sti­chezza con i mec­ca­ni­smi della fiducia.
Quindi, anche se i mem­bri di quella società hanno accesso a noti­zie atten­di­bili, magari via Inter­net, non si fidano. Sono adde­strati al sospetto. Senza fidu­cia, non vi è alcun modo, per qual­siasi spea­ker, di essere preso sul serio nel pub­blico domi­nio. Il risul­tato di que­sto atteg­gia­mento? È una società in cui le distin­zioni tra poli­tici e clo­wns svaniscono.
Uno Stato demo­cra­tico è quello in cui l’ingresso delle per­sone comuni nelle scelte poli­ti­che le rende legit­time. Ma la dif­fu­sione e l’accettazione della pro­pa­ganda da parte dei poli­tici e dei media mina la pre­gnanza della loro par­te­ci­pa­zione. Se l’opinione pub­blica è stata diso­rien­tata dalla pro­pa­ganda costruita da chi detiene il potere, l’entrata in poli­tica dei cit­ta­dini è irri­le­vante e lo stato non demo­cra­tico. Uno Stato demo­cra­tico neces­sita una cit­ta­di­nanza sem­pre vigile, in grado di moni­to­rare e punire i suoi poli­tici e i media quando pie­gano il lin­guag­gio ad un mec­ca­ni­smo di con­trollo, dimen­ti­cando che è invece una fonte di informazione.

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