lunedì 5 luglio 2010

ALDO BUSI RECENSISCE 'BROTHERHOOD'



Bisogna assolutamente promuovere il film più bello in circolazione, "Brotherhood" (2009) di Nicolo Donato, origini italiane e cultura danese, gli impressionanti interpreti principali si chiamano Thure Lindhardt e David Dencik, distribuito in Italia dal coraggiosissimo Occhipinti (un nome con una garanzia di segno opposto: molto impegno e pochissimo mascara). Dobbiamo fare in modo che almeno i nostri occasionali lettori vadano a vederlo prima che la grande distribuzione se lo inghiotta togliendolo dal cartellone. E' un'opera magnificamente brutale e brutalmente magnifica sul machismo del branco (con relative sguince tam-burine) e la subcultura ispirata da Dio Patria Famiglia nelle giovani menti, non sempre già tossicodipendenti, gestite da fanatici vecchi nostalgici del mito della Natura Naturale. Potente affresco, drenato da ogni visionarietà, sulle sette neonaziste proliferanti da decenni in ogni paese europeo e no, dà fiato al compresso grido di dolore e rabbia autolesionista sulla difficoltà per un uomo di accettare i suoi sentimenti e la sua voglia per un altro uomo, infine sulla rivelazione che il tuo vero e più impensato nemico sociale è sempre l'amore che provi, anche quando sia condiviso, e da segreto e da manifesto. Pestaggi di omosessuali e omofobia come antidoto alla propria repressa omosessualità, raid contro extracomunitari, adunate all'insegna della svastica e della birra, mellifluo proselitismo e plagio violento e razzismo e sessuofobia, questa "Fratellanza" illustra tutto l'armamentario che concorre all'invenzione del nemico ovvero del capro espiatorio. Le sequenze, le più raccapriccianti comprese, sono dispiegate con una forza icastica non comune, mai un cliché ideologico di parte, un sentimentalismo "gay" (neppure nel finale molto Giulietta e Romeo, finalmente), attori tutti straordinari in un paesaggio che sembra senza profondità tanto aderisce psichicamente alle facce e agli ambienti, e un ritmo che non lascia tregua un istante per ben novanta minuti di proiezione.
Uscito recentemente dopo cinquanta minuti da "Avatar" e a suo tempo dopo venti di "Gomorra", era dai tempi di "Tutta la vita davanti" di Virzì e di "Il divo" di Sorrentino che non vedevo un film fino ai titoli di coda. Il mio Oscar personale per il miglior film straniero lo do a "Brotherhood" (dopo averne dato solo un altro nel 2003, a "Magdalene", di Peter Mullan). Lo consiglio in modo particolare alle donne che non sanno distinguere tra un uomo e la sua pantomima viriloide, ai dissociati genitori associati in organismi cattolici ai limiti della fantascienza e alle congreghe che lottano contro i pedofili a patto che non siano preti o famigliari e per le quali il pedofilo sarei io, ai fan rasati di una qualche milizia di Cristo e a quei loro emuli di poveri diavoli che di giorno predicano i valori del focolare e di notte vanno a tirare coca facendolo tirare più ai trans che a se stessi, nonché agli allevatori di bestiame nostrani perché imparino che la stalla non esime dall'essere intellettuali fino in fondo e quindi dall'iniziare la giornata con una piccola ma suntuosa colazione con quotidiano e fiori freschi (di conseguenza la visione dovrebbe essere imposta a tutti i fighetti di papà e mammà che, magari con l'hobby leghista del disprezzo per gli extracomunutari che sgobbano al posto loro, ancora pensano che una laurea, magari in Psicologia o in Scienze della Comunicazione o in Giurisprudenza, non comporti lo sporcarsi le mani con un lavoro manuale per guadagnarsi la vita e uscire dalle palle, anche delle statistiche sulla drammatica disoccupazione giovanile).
Aldo Busi

2 commenti:

  1. Perchè hai trattato il termine trans con disprezzo e associandolo alla prostituzione?
    simoncello89@gmail.com

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  2. la recensione decisamente favorevole mi induce a lasciar perdere quelle del manifesto e di repubblica redatte a proposito dello stesso film. eh, la forza della discordanza è magica nel suo farci muovere ed interessare:)

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