giovedì 1 aprile 2010

DISARMIAMO LE BANCHE




Nel 2008 nel mondo si sono spesi 1464 miliardi di dollari (di cui quasi la metà soltanto dagli USA) per gli armamenti. Giusto per farsi un'idea, è una cifra maggiore del PIL di un paese come la Spagna.
A dispetto della crisi mondiale, il valore è aumentato del 4% rispetto all'anno precedente e del 45% in un decennio (credevo che la guerra fredda fosse finita...).

E l'Italia? La spesa militare italiana è superiore ai 40 miliardi di euro (spesa pro-capite inferiore soltanto a USA, Francia e Regno Unito) e il governo ha recentemente comunicato che gli stanziamenti per la difesa nel prossimo trienno saranno in costante crescita. Nei giorni scorsi è stato approvato la spesa di 13 miliardi di euro (occhio alle cifre) per l'acquisto di 131 cacciabombardieri F-35 (http://www.disarmo.org/rete/a/31431.html). Mi chiedo cosa si abbia intenzione di andare a bombardare.... Nel 2008 le esportazioni italiane effettive di armamenti sono state di 1,7 miliardi di euro, con un aumento del 39% rispetto al 2007 (http://www.disarmo.org/rete/docs/3058.pdf). E dove vanno queste armi? Se il 70% è diretto verso paesi UE/NATO, gran parte del rimanente è diretto verso paesi in cui sono presenti conflitti e/o pesanti violazioni dei diritti umani. Le esportazioni verso l'Africa sono passate dai 76 milioni di euro del 2007 ai 268 milioni del 2008 (+350%).

Restringendo il campo, vale la pena ricordare che Brescia è la capitale italiana (e una tra le più grandi al mondo) nella produzione delle armi leggere: da Gardone Val Trompia escono ogni anno circa un milione di pistole, fucili e carabine (non mi sembra che il tiro al piattello sia così diffuso in Italia...).

Credo fermamente che la prosperità dell'economia di una nazione non debba prescindere dalle ricadute della sua attività sui diritti umani; la produzione e il commercio di armi contribuiscono necessariamente ad alimentare guerre e conflitti in tutto il mondo. Alla luce dei dati indicati, è però evidente che la politica del disarmo non è applicata né in Italia né all'estero.

Quali strumenti abbiamo come singoli cittadini per opporci a questa situazione? E' con questa domanda che è nata nel 1999 la "Campagna Banche Armate" ad opera delle redazioni di tre riviste missionarie (Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di Pace), come movimento di pressione al sistema bancario sul tema del supporto al commercio delle armi. E' così che a cavallo del Giubileo le banche italiane ricevettero centinaia di lettere da parte di comuni cittadini in cui viene chiesto di confermare o smentire, per iscritto, il coinvolgimento in azioni di appoggio bancario (con relativo compenso di intermediazione) all'esportazione di armi: in caso di non risposta o di risposta vaga, tagliare i ponti con la banca e rendere pubblica la scelta.
Molte banche giustificano il proprio operato dicendo di essere soltanto soggetti passivi in questo commercio, oppure sostenendo che spesso non si tratta di armi ma di prodotti di alta tecnologia; i risultati comunque non tardano ad arrivare: UniCredito, Monte dei Paschi, Banca Intesa e altri istituti di credito, spinti dall'opinione pubblica si impegnano ad azzerare le operazioni di import-export sugli armamenti.

E ora, a distanza di un decennio, qual è la situazione? La risposta è abbastanza semplice da trovare, in quanto della base della legge 185/1990, che regola la trasparenza nell'esportazione degli armamenti, ogni anno la Presidenza del Consiglio dei Ministri è tenuta a fornire un dettagliato rapporto in merito al coinvolgimento delle banche in questo settore; questa legge, grande conquista per la società civile e pacifista, è ovviamente osteggiata da chi finanzia, produce e commercia armi in Italia, e l'attuale governo ha recentemente presentato una proposta di legge per la sua sostanziale abolizione. Nella tabella allegatasi può vedere un riassunto di questi dati negli ultimi anni: BNL, Intesa San Paolo e UniCredit da sole gestiscono quasi il 60% dei movimenti bancari nell'area militare, ducuplicati dal 2007 al 2008.

Se condividi quanto scritto, un'azione possibile e doverosa da fare è quella di chiedere chiarezza al proprio istituto di credito (se, come probabile, coinvolto). A tal proposito su richiesta a linea.indipendente@hotmail.it possiamo girare un fac simile che è possibile inviare.

La coscienza civica può e deve fare molto. Ma bisogna essere in molti.

Marco Gamba

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