80 anni fa l’11 marzo fu una giornata particolare per Benito Mussolini: era domenica e quella mattinata aveva deciso di partire da Gardone Riviera per andare a Cavriana dove, accompagnato dalla consueta scorta armata e dal generale nazista Karl Wolff, intendeva assistere alla parata di un battaglione di giovani fascisti della tredicesima Brigata Nera Marcello Turchetti, formata da reclute fresche della Guardia Nazionale Repubblicana, che si stavano addestrando sulle colline circostanti secondo una procedura marziale codificata nelle terribili scuole di guerra del Terzo Reich.
Uscito verso le sette da Villa Feltrinelli - il duce intabarrato si era accomodato su sedile posteriore di un’Alfa Romeo - il convoglio militare dopo un’oretta giunse a Desenzano del Garda, da dove sarebbe poi sceso verso le colline moreniche mantovane.
Fu pochi istanti dopo che accadde l’imprevedibile, un fatto clamoroso ma assai poco noto, per non dire sconosciuto, dell’ultimo periodo del fascismo nell’entroterra benacense: sulla strada che collega Desenzano a Castiglione delle Stiviere, esattamente a Castel Venzago dove ora sorge il centro commerciale Il Leone, nel territorio comunale di Lonato, il corteo di automobili, insolito per le campagne di quelle parti, viene avvistato da una pattuglia aerea di alcuni cacciabombardieri britannici che lo mitragliano a più riprese.
Si alza un rombo fragoroso che sovrasta quello delle macchine. Gli autisti sono repentinamente costretti a manovre azzardate, mentre Mussolini riesce a vedere dal lunotto posteriore dell’Alfa Romeo un aereo sorvolare a bassissima quota il manto stradale e sventagliare una pioggia di pallottole che bucherellano l’asfalto con centinaia di piccole esplosioni, fino a che si rialza in volo per ripetere il fittissimo mitragliamento e andarsene poi via per sempre scomparendo in direzione del lago.
Diverse automobili sono improvvisamente costrette a rifugiarsi nel cortile della cascina Traversino. Karl Wolff, che viaggia su una Mercedes più indietro rispetto al duce, salta in un fosso mentre il suo autista rimane seriamente ferito ad un braccio, così come alcuni altri soldati. Colpito a morte, l’ufficiale che comandava la scorta tedesca giace nei pressi dell’automobile su cui viaggiava. Mentre le vetture sono ormai inutilizzabili, Mussolini trova riparo in una stalla del cascinale, dove trascorre alcune ore, incontrando Angela, una giovane donna del posto che vedendolo se ne esce con una esclamazione che dà ora il titolo al libro interamente dedicato al singolare episodio.
Chi intendesse approfondire questa storia straordinaria non può infatti non leggere l’avvincente monografia ad essa dedicata dagli scrittori Giorgio Mora e Morando Perini, che l’hanno analiticamente ricostruita, anche grazie a una nutrita serie di testimonianze, nel romanzo storico “Lo conosco io, quello lì!”, pubblicato da Liberedizioni (156 pagine, 17 euro).
Il resoconto della giornata è tutto autentico: le parole del protagonisti sono vere, così come la dinamica dei fatti, grazie al minuzioso lavoro svolto da Perini (figura assai apprezzata nella zona, visto che dal 2000 al 2005 è stato sindaco di Lonato del Garda e da anni è studioso di vaglia della storia del Novecento locale) nel recupero, nell’esame e nella verifica delle fonti, coniugato con la verve affabulatoria di Mora, una fra le voci più significative della narrativa bresciana contemporanea, avendo spaziato in lungo e in largo nel panorama editoriale con libri come “Pablo, Parigi e Alba”, “Dammi il cinque”, “Che Giro quel Giro”, “Il sacrista del Borgone” e “Irregolari”.
Facendo il verso a un noto adagio calcato sul nostro dialetto, “Io lo conosco, quello lì!” evidenzia la precisa volontà degli Alleati di uccidere il dittatore fascista e non di risparmiargli la vita se egli si fosse consegnato loro, come ancora si attardano a credere alcune correnti storiografiche.
Emblematiche sono le pagine che raccontano di un Mussolini che appare rassegnato e amareggiato nel cascinale, mentre la ventiduenne Angela, dopo averlo riconosciuto, lo incalza interloquendo con lui a più riprese.
Lasciatisi alle spalle un tappeto di bossoli, quella domenica Mussolini, Wolff e gli altri militari riprendono la marcia ancora impauriti per il pericolo scampato e arrivano a Cavriana in tempo per vedere la manovra a fuoco dimostrativa della Turchetti diretta da istruttori tedeschi. Quarantanove giorni dopo il duce finirà la sua tragica e infame epopea appeso a testa in giù a Piazzale Loreto.
Uscito verso le sette da Villa Feltrinelli - il duce intabarrato si era accomodato su sedile posteriore di un’Alfa Romeo - il convoglio militare dopo un’oretta giunse a Desenzano del Garda, da dove sarebbe poi sceso verso le colline moreniche mantovane.
Fu pochi istanti dopo che accadde l’imprevedibile, un fatto clamoroso ma assai poco noto, per non dire sconosciuto, dell’ultimo periodo del fascismo nell’entroterra benacense: sulla strada che collega Desenzano a Castiglione delle Stiviere, esattamente a Castel Venzago dove ora sorge il centro commerciale Il Leone, nel territorio comunale di Lonato, il corteo di automobili, insolito per le campagne di quelle parti, viene avvistato da una pattuglia aerea di alcuni cacciabombardieri britannici che lo mitragliano a più riprese.
Si alza un rombo fragoroso che sovrasta quello delle macchine. Gli autisti sono repentinamente costretti a manovre azzardate, mentre Mussolini riesce a vedere dal lunotto posteriore dell’Alfa Romeo un aereo sorvolare a bassissima quota il manto stradale e sventagliare una pioggia di pallottole che bucherellano l’asfalto con centinaia di piccole esplosioni, fino a che si rialza in volo per ripetere il fittissimo mitragliamento e andarsene poi via per sempre scomparendo in direzione del lago.
Diverse automobili sono improvvisamente costrette a rifugiarsi nel cortile della cascina Traversino. Karl Wolff, che viaggia su una Mercedes più indietro rispetto al duce, salta in un fosso mentre il suo autista rimane seriamente ferito ad un braccio, così come alcuni altri soldati. Colpito a morte, l’ufficiale che comandava la scorta tedesca giace nei pressi dell’automobile su cui viaggiava. Mentre le vetture sono ormai inutilizzabili, Mussolini trova riparo in una stalla del cascinale, dove trascorre alcune ore, incontrando Angela, una giovane donna del posto che vedendolo se ne esce con una esclamazione che dà ora il titolo al libro interamente dedicato al singolare episodio.
Chi intendesse approfondire questa storia straordinaria non può infatti non leggere l’avvincente monografia ad essa dedicata dagli scrittori Giorgio Mora e Morando Perini, che l’hanno analiticamente ricostruita, anche grazie a una nutrita serie di testimonianze, nel romanzo storico “Lo conosco io, quello lì!”, pubblicato da Liberedizioni (156 pagine, 17 euro).
Il resoconto della giornata è tutto autentico: le parole del protagonisti sono vere, così come la dinamica dei fatti, grazie al minuzioso lavoro svolto da Perini (figura assai apprezzata nella zona, visto che dal 2000 al 2005 è stato sindaco di Lonato del Garda e da anni è studioso di vaglia della storia del Novecento locale) nel recupero, nell’esame e nella verifica delle fonti, coniugato con la verve affabulatoria di Mora, una fra le voci più significative della narrativa bresciana contemporanea, avendo spaziato in lungo e in largo nel panorama editoriale con libri come “Pablo, Parigi e Alba”, “Dammi il cinque”, “Che Giro quel Giro”, “Il sacrista del Borgone” e “Irregolari”.
Facendo il verso a un noto adagio calcato sul nostro dialetto, “Io lo conosco, quello lì!” evidenzia la precisa volontà degli Alleati di uccidere il dittatore fascista e non di risparmiargli la vita se egli si fosse consegnato loro, come ancora si attardano a credere alcune correnti storiografiche.
Emblematiche sono le pagine che raccontano di un Mussolini che appare rassegnato e amareggiato nel cascinale, mentre la ventiduenne Angela, dopo averlo riconosciuto, lo incalza interloquendo con lui a più riprese.
Lasciatisi alle spalle un tappeto di bossoli, quella domenica Mussolini, Wolff e gli altri militari riprendono la marcia ancora impauriti per il pericolo scampato e arrivano a Cavriana in tempo per vedere la manovra a fuoco dimostrativa della Turchetti diretta da istruttori tedeschi. Quarantanove giorni dopo il duce finirà la sua tragica e infame epopea appeso a testa in giù a Piazzale Loreto.
Flavio Marcolini
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