giovedì 3 settembre 2020

Ci ha lasciati Gianni Serra

Oggi è morto al Policlinico Gemelli di Roma il regista Gianni Serra, un pezzo fondamentale del cinema italiano del secondo Novecento. Con riconoscenza e gratitudine lo ricordiamo pubblicando la sua ultima intervista, rilasciata a più riprese lo scorso giugno a Flavio Marcolini. Chi poi volesse approfondirne la conoscenza può vedere i suoi splendidi film e consultare il blog https://gianniserracinema.wordpress.com/, una miniera di materiali preziosi che aprono infiniti percorsi di ulteriore ricerca sulla sua figura e le sue opere.    

Dalla nativa Montichiari sessant’anni fa Gianni Serra spiccò il volo per la capitale, dove ha lavorato a lungo per cinema e televisione attraverso un itinerario artistico e politico controcorrente i cui prodotti ha da tempo tutti riversati sul web.

Anche adesso che va per gli 87, il regista della leggendaria Domenica Sportiva condotta a metà degli anni ‘60 da Enzo Tortora, di lungometraggi come Dedicato a un medico (1973) e Fortezze vuote (1975) sulla riforma degli ospedali psichiatrici e Il nero muove (1977) sull’eversione neofascista, girato in parte in un’osteria a Cunettone di Salò, resta pervicacemente fedele agli ideali della giovinezza.“Il primo sceneggiato memorabile - precisa - fu La rete del 1970, dedicato alla Rete Jeanson, il gruppo di francesi a sostegno della resistenza algerina: ebbe enorme risonanza internazionale, sconvolse i tradizionali canoni dello sceneggiato (infatti con altri miei film fa parte del Patrimonio Langlois della Cinémathèque française)”.Altra miniserie a cui è legato è il rivoluzionario Che fare?, tratto “dall’omonimo romanzo  scritto in prigione da Černyševskij tra il 1862 e il 1863 e andato in onda nel 1979 in cinque puntate”.Unica incursione nel teatro fu nel 1974 “la regia di Cassio governa a Cipro di Giorgio Manganelli dall’Othello shakespeariano e realizzato al Petrolchimico di Marghera con polemiche violentissime”.Per ottobre il Glocal Film Festival di Torino gli sta preparando un omaggio a 40 anni da La ragazza di via Millelire, pellicola targata Rai2 che allora fece epoca e verrà presentata in una versione digitalizzata dalle Teche Rai; la proiezione era in cartellone a marzo, ma è stata rimandata per l’emergenza Covid-19, allo storico Cinema Massimo nella stessa data della prima.Ambientato nel degrado non solo antropologico della periferia di Mirafiori Sud, in uno slang da mercabul il film racconta ordinarie vicende di droga, prostituzione, furti, stupri, facendo recitare quasi tutti attori non professionisti, fra i quali la 15enne Oria Conforti. 110 minuti di no future punkeggiante e violento: prima, durante e dopo le riprese non si contano esposti, interpellanze, gragnole di stolide stroncature e improvvisati comitati di censura. Betty, la protagonista, se ne infischia: randagia fra i randagi, a 13 anni e già tossicodipendente scappa da una comunità di suore portandosi dietro solo un mangianastri rosso e la voglia di non tornare. Scappa, ma ogni volta torna dall’assistente sociale  Verdiana, senza nemmeno riuscire a chiederle quell’aiuto di cui ha un disperato bisogno.Avversato dall’establishment, il film scatenò una tempesta che da Torino raggiunse il Festival di Venezia 1980, anche se Umberto Eco e il critico americano Andrew Morris, membri della giuria del Festival si schierarono per il Leone d’Oro. Per Serra “quel film fu fatto a pezzi perché non esistevano precedenti di questo genere. Mery per sempre di Marco Risi, altrettanto crudo, arrivò una decina di anni dopo”.Da allora quasi più nulla, se si eccettua qualche pièce teatrale per la televisione e un cult movie della filmografia ambientalista come il pluripremiato Una lepre con la faccia di bambina (1988) sul disastro ecologico di Seveso.

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