domenica 8 marzo 2015

Per la Festa della Donna

Tutto si logora, anche le ricorrenze.
Nella perdita di senso e di significati indotta dall'azione percussiva e incessante degli ideologi del potere onnisfruttatore che gestisce la comunicazione globale e le tecnologie totalitarie e cosi' impone anche le mode e le amnesie, per molte persone ormai il primo maggio e' l'occasione per una scampagnata, il 25 aprile una pasquetta laica, "e cosi' via", direbbe Kilgore Trout.
Figurarsi se l'otto marzo puo' sfuggire a questo processo di svuotamento e riconfigurazione alienata, a questa massiccia pressione omologatrice agli immanenti ferrigni decreti della societa' dello spettacolo, all'universal mercificazione.
Non solo: l'opera degli ideologi del potere vi si accanisce particolarmente, cercando di capovolgerlo nel suo opposto: una ripigliata stracca e sbilenca della zuccherosa festa della mamma, quasi una sorta di giuliva festa della fidanzata modesta e virtuosa o della moglie fedele custode della casa, in cui l'iniziativa e' ancora una volta del maschio padrone e dei suoi istituti, con dispiegamento degli strumenti e dei rituali del corteggiamento e finanche della momentanea carnevalizzazione funzionale al richiamo all'ordine che subito segue: all'ordine patriarcale della societa' gerarchica, della produzione disciplinata, della gabbia di ferro e della famiglia del padre padrone.
E quindi: le magnifiche rose e la libera uscita semel in anno, ovvero l'ora d'aria e naturalmente l'onnipresente comando: "sii bella e taci".
Invece.
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Invece l'otto marzo e' ancora quello memore delle operaie in lotta bruciate vive dal padrone.
E' ancora quello di Clara Zetkin e "se non si puo' ballare, questa non e' la mia rivoluzione".
E' ancora quello di Aleksandra Kollontaj e del suo bicchier d'acqua.
E' ancora quello di Virginia Woolf e della sua stanza tutta per se' e delle tre sue ghinee.
E' ancora e sempre quello di Simone Weil insegnante e miliziana, operaia e contadina.
E' quello delle madres de Plaza de Mayo.
Di Rigoberta Menchu' e di Shirin Ebadi, di Bertha von Suttner e di Wangari Maathai. E di Jane Addams e di Emily Greene Balch, di Mairead Corrigan e di Betty Williams, di madre Teresa di Calcutta e di Alva Myrdal, di Aung San Suu Kyi e di Jody Williams, di Ellen Johnson Syrleaf e di Leymah Gbowee, di Tawakkul Karman e di Malala Yousafzai.
Del pane e delle rose, dell'insurrezione nonviolenta, della dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, della dichiarazione d'indipendenza di Seneca Falls.
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L'otto marzo e' il giorno della resistenza contro il fascismo femminicida.
L'otto marzo e' il giorno che convoca alla lotta contro la dittatura maschilista e patriarcale.
L'otto marzo e' l'appello alla lotta per l'eguaglianza di diritti di tutte le persone umane.
E da tre anni l'8 marzo comincia gia' il 14 febbraio con l'azione diretta nonviolenta globale One Billion Rising che sta trasformando il mondo nella direzione indicata da Rosa Luxemburg e da Hannah Arendt, da Simone de Beauvoir e da Shulamith Firestone, da Franca Ongaro Basaglia e da Laura Conti, da Bianca Guidetti Serra e da Assia Djebar.
L'otto marzo e' il giorno in cui ci si ricorda che la rivoluzione nonviolenta in cammino.
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Uscire dalla subalternita'. Uscire dall'amnesia.
Entrare nella lotta di liberazione dell'umanita' cominciando col contrastare la violenza maschilista, che di tutte le violenze e le menzogne e' la prima radice.
La verita' e' in marcia, e niente potra' fermarla.
Questo significa l'otto marzo.

Peppe Sini

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